Speciale

Finestre aperte sulla crisi / Parlano un’operatrice sanitaria e un collaboratore sportivo

Sulle pagine di Zic.it l’iniziativa promossa da Vag61 nel contesto dell’emergenza coronavirus “per raccogliere piccole storie, pezzi di esperienze e racconti, lavorativi e non, per condividere ora ma soprattutto per tenere traccia. Tenere traccia dei profondi cambiamenti a cui siamo costretti, degli adattamenti e delle resistenze”. In questo articolo la settima e l’ottava narrazione.

17 Aprile 2020 - 15:00

Zic.it collabora all”iniziativa “Finestre aperte sulla crisi”, promossa da Vag61 per raccogliere testimonianze e contributi sulle conseguenze che l’emergenza sanitaria in corso produce sulle esistenze delle persone, partendo dalle esperienze quotidiane che in questi giorni si vivono dal punto di vista lavorativo, sociale, familiare. “Una raccolta di istantanee, di finestre aperte sulla crisi- è la presentazione del progetto- di fili rossi che si intrecciano oltre l’isolamento. Questa pagina vuole provare a raccogliere piccole storie, pezzi di esperienze e racconti, lavorativi e non, per condividere ora ma soprattutto per tenere traccia. Tenere traccia dei profondi cambiamenti a cui siamo costretti, degli adattamenti e delle resistenze, degli strappi e delle cuciture che viviamo sulla pelle ogni giorno. Un puzzle da costruire insieme e a cui attingere per il futuro”. In questo articolo la settima e l’ottava narrazione diffuse da Vag61.

Per inviare storie e contributi: infovag61@gmail.com 

* * * * * * * * * *

Storia #7: operatrice sanitaria

Il 9 marzo, forse, non ricordo bene, è scattata una Maxiemergenza. Un evento macroscopico e catastrofico che travalica le potenzialità di risposta delle strutture locali.

Quello che ne deriva per chi nell’emergenza ci lavora, per chi di emergenza vive, è una fase di attivazione psicomotoria, è una fase eroica. Nella psicologia dell’emergenza per fase eroica si intende quel momento in cui i sopravvissuti si occupano della salvaguardia delle vittime, senza occuparsi della propria sicurezza, tralasciando l’amor proprio per l’amor collettivo, sfiorando il rischio, vivendolo.

Sono Dottoressa in Psicologia, lavoro come educatrice e mi occupo dei disturbi del comportamento alimentare, nello specifico assisto pazienti anoressiche ricoverate in emergenza organica in Ospedale. In quella fase la paziente è più vicina alla morte che alla vita, la malattia ha preso il sopravvento sulla persona e sui suoi organi.

L’Ospedale di Parma, dopo qualche giorno dall’esplosione Covid, è in totale collasso. Ho visto scafandri passare, agire velocemente, ho visto la paura nascosta dalle mascherine e dagli occhiali, ho visto la diffusione di responsabilità di fronte ad eventi difficili da gestire. I reparti ogni giorno si riempiono di pazienti in fin di vita. Il personale mi appare una mina impazzita. È necessario in questi casi coordinare i vari linguaggi professionali, conoscere i modelli operativi dei vari professionisti che cooperano e saper adattare i propri schemi, le proprie prassi alle condizioni di precarietà. Bisogna poi per salvaguardare la salute di una paziente immunodepressa e cognitivamente deficitaria, cercare di preservare un barlume di equilibrio o tentare di ripristinarlo qualora compromesso dall’evento catastrofico. Le decisioni vanno prese velocemente, non c’è tempo di pensare, si ricorre alle euristiche, si sbaglia.

Lavorare ai tempi del Covid, non è facile. Gestire la Maxiemergenza per l’operatore persona e per il lavoro dell’operatore, non è facile. Gestire la paziente, l’avanzare della malattia, contestualizzarla, cercare di contrastare l’inevitabile avanzamento dei deficit cognitivi, dei comportamenti disfunzionali in un contesto ospedaliero in crisi, a volte può far sentire noi operatori impotenti e inadeguati.

La precarietà estrema riporta alla luce le vecchie paure…

Ma riconoscerle, riconoscere questa impotenza, accettarla e credere che ogni piccola azione può comunque generare un cambiamento, permette di riattivare la motivazione intrinseca, necessaria in questo lavoro.

Ogni giorno le mie credenze interne mi permettono di emanare energia vitale, quella stessa energia che mi fa agire o lasciar andare, come le fasi lunari.

Il mito dell’eroe abbandoniamolo, ri-emergiamo umani.

Carmen Giordano

(12/04/2020)

* * * * * * * * * *

Storia #8: collaboratore sportivo

Il decreto “Cura Italia” ha previsto l’estensione dell’indennità forfettaria, legata all’emergenza Covid19, per i lavoratori autonomi e parasubordinati anche ai collaboratori sportivi. Forse per la prima volta i collaboratori sportivi erano citati e riconosciuti come categoria professionale. Venendo da una quotidianità di lavoro senza contributi, ferie, malattia, copertura degli infortuni e quant’altro, sembrava una positiva inversione di tendenza, oltre che un aiuto concreto nel momento di emergenza. Nel decreto applicativo è arrivata invece la doccia fredda. Il fondo, limitato a 50 milioni di euro, verrà gestito esaurendo prima le domande di chi nel 2019 non ha superato la quota di 10.000 euro di rimborsi sportivi.

Viene meno quello che doveva essere l’obiettivo dichiarato del provvedimento: tutelare chi vive della professione di collaboratore sportivo. È evidente, infatti, che solo chi si divide con altre professioni, o è ancora di fatto mantenuto almeno parzialmente dai genitori, possa restare sotto i 10.000 euro. Chi realmente vive della professione di allenatore/istruttore supera inevitabilmente tale quota, e peraltro già durante l’anno paga le tasse attraverso una notevole ritenuta del 23% (più addizionali regionali) sui redditi oltre i 10.000 euro.

Il paradosso è che il provvedimento governativo esclude, o tenta di farlo, chi ha anche altri tipi di entrate (reddito da lavoro dipendente o da partita Iva, reddito di cittadinanza, altre indennità legate al Covid19, redditi dei genitori per figli ancora a carico). Per questo penalizzare chi invece ha solo questa entrata e logicamente supera la quota risulta beffardo e inspiegabile. A beneficiare dell’indennità saranno figure ibride di precari che lavorano anche in ambito sportivo e per vari motivi non rientravano nelle altre categorie previste dal decreto, o giovani allenatori ancora aiutati economicamente dalla famiglia senza risultare a carico, e tutto questo è assolutamente positivo. Solo, non può essere a discapito di chi lavora a tempo pieno nel settore. A pensar male, un’altra categoria potenzialmente favorita è quella di chi riceve in nero parte dei compensi in modo da non superare i 10.000 euro e non dover pagare la ritenuta. È una pratica che purtroppo sicuramente esiste, impossibile stabilire quanto sia diffusa.

Come sempre accade, le angolazioni da cui vedere il problema possono essere molteplici, e il meccanismo della “guerra tra poveri” deve essere evitato. L’unica soluzione possibile è l’eliminazione della norma che penalizza chi ha superato i 10.000 euro e l’estensione dell’indennità a tutti gli aventi diritto, con adeguato stanziamento di fondi.

(09/04/2020)