Attualità

Egitto / Ieri milioni in piazza, oggi la feroce reazione del regime

All’indomani del grande e pacifico sciopero generale, oggi la controffensiva delle squadracce di Mubarak. Non si contano i morti nelle strade del Cairo

02 Febbraio 2011 - 17:21

Ripubblichiamo gli ultimi due articoli di Infoaut

> Egitto: è in arrivo la transizione ordinata!

Ieri notte aveva chiesto all’Egitto, in un messaggio registrato e diffuso dalla TV nazionale, di “scegliere tra caos e stabilità” affermando di aver già dato gli ordini di perseguire e punire chi si era reso colpevole del caos degli ultimi giorni.

In pratica ieri il dittatore del Cairo annunciava ai milioni di manifestanti in piazza che il regime, oltre ad essere sordo alle chiare e nette richieste di dimissioni e di radicale cambiamento, avrebbe iniziato a colpire duro, ben più duro di quanto fatto dall’inizio delle mobilitazioni.

In queste ore è partita infatti l’offensiva sia sul piano militare che politico: per mostrare al mondo (e far tornare sui suoi passi Obama,che ieri ha alzato la voce contro Moubarak) che ormai il regime non può fare a meno del pugno di ferro, di altre, tante fucilate.

L’establishment sta giocando la carta squadrista: sbandati prezzolati, poliziotti senza divisa, militanti del partito del Raiss sono da questa mattina all’attacco del movimento. Hanno puntato su piazza elTahrir armati di pistole (se è vero quanto affermato da aljazeera per cui già si stanno contando i morti da colpi di arma da fuoco), di bastoni, di fruste; arrivati a piedi, a cavallo e in cammello vogliono prendersi la massima visibilità occupando la piazza su cui si concentra da giorni l’attenzione dell’opinione pubblica globale, e di tanti proletari che aspettano di urlare di gioia per una piazza da dedicare concretamente alla liberazione.

Il movimento al Cairo sta attraversando uno dei momenti più critici dalla sua nascita, deve fronteggiare da una parte l’attacco militare degli squadristi di Moubarak e riprendersi piazza elTahrir e poi rompere lo schema caos-stabilità che potrebbe rinsaldare in ultima battuta il Raiss sul trono.

Non a caso il dipartimento di stato americano in questi minuti ha diffuso una nota in cui si dice “preoccupato per gli attacchi” alludendo forse alla necessità di riportare la calma al Cairo appoggiando un ripiego repressivo da parte del regime che potrebbe rimettere le divise ai poliziotti con il via libera di soffocare le mobilitazioni. Ne uscirebbe un Obama candido e un Moubarak, seppur in crisi, in risalita contro le opposizioni. D’altronde ieri ha annunciato di non volersi ricandidare alle elezioni ma ha anche affermato con tono incisivo “morirò in Egitto”, come a dire venite a cacciarmi se ce la fate.

E’ in atto quindi la mossa per consolidare e legittimare la “transizione ordinata” voluta dalla Clinton, utile oltre che all’establishment del regime, anche ad un occidente ancora sotto shock e ad Israele che ha già le sue truppe schierate?

Intanto l’esercito dopo aver dichiarato ad aljazeera per voce di un generale “che l’Egitto è sempre stato democratico, guardate permettiamo a tutti di manifestare!”, ha iniziato a sparare in aria, e nella moschea divenuta un pronto soccorso del movimento si contano già centinaia di feriti.

Per i morti ancora non si hanno notizie certe, ma quella di oggi sembra una giornata per cui neanche centinaia di inchieste riusciranno ad appurare quanti manifestanti sono stati uccisi, visto che da queste ore su piazza elTharir potrebbe rovesciarsi tutta la forza di un regime dittatoriale retto ormai solo da pallottole e censura… contro un movimento che ha già sorpreso tutto il mondo e potrebbe farlo ancora. Ce lo auguriamo

Ieri notte aveva chiesto all’Egitto, in un messaggio registrato e diffuso dalla TV nazionale, di “scegliere tra caos e stabilità” affermando di aver già dato gli ordini di perseguire e punire chi si era reso colpevole del caos degli ultimi giorni.

In pratica ieri il dittatore del Cairo annunciava ai milioni di manifestanti in piazza che il regime, oltre ad essere sordo alle chiare e nette richieste di dimissioni e di radicale cambiamento, avrebbe iniziato a colpire duro, ben più duro di quanto fatto dall’inizio delle mobilitazioni.

In queste ore è partita infatti l’offensiva sia sul piano militare che politico: per mostrare al mondo (e far tornare sui suoi passi Obama,che ieri ha alzato la voce contro Moubarak) che ormai il regime non può fare a meno del pugno di ferro, di altre, tante fucilate.

L’establishment sta giocando la carta squadrista: sbandati prezzolati, poliziotti senza divisa, militanti del partito del Raiss sono da questa mattina all’attacco del movimento. Hanno puntato su piazza elTahrir armati di pistole (se è vero quanto affermato da aljazeera per cui già si stanno contando i morti da colpi di arma da fuoco), di bastoni, di fruste; arrivati a piedi, a cavallo e in cammello vogliono prendersi la massima visibilità occupando la piazza su cui si concentra da giorni l’attenzione dell’opinione pubblica globale, e di tanti proletari che aspettano di urlare di gioia per una piazza da dedicare concretamente alla liberazione.

Il movimento al Cairo sta attraversando uno dei momenti più critici dalla sua nascita, deve fronteggiare da una parte l’attacco militare degli squadristi di Moubarak e riprendersi piazza elTahrir e poi rompere lo schema caos-stabilità che potrebbe rinsaldare in ultima battuta il Raiss sul trono.

Non a caso il dipartimento di stato americano in questi minuti ha diffuso una nota in cui si dice “preoccupato per gli attacchi” alludendo forse alla necessità di riportare la calma al Cairo appoggiando un ripiego repressivo da parte del regime che potrebbe rimettere le divise ai poliziotti con il via libera di soffocare le mobilitazioni. Ne uscirebbe un Obama candido e un Moubarak, seppur in crisi, in risalita contro le opposizioni. D’altronde ieri ha annunciato di non volersi ricandidare alle elezioni ma ha anche affermato con tono incisivo “morirò in Egitto”, come a dire venite a cacciarmi se ce la fate.

E’ in atto quindi la mossa per consolidare e legittimare la “transizione ordinata” voluta dalla Clinton, utile oltre che all’establishment del regime, anche ad un occidente ancora sotto shock e ad Israele che ha già le sue truppe schierate?

Intanto l’esercito dopo aver dichiarato ad aljazeera per voce di un generale “che l’Egitto è sempre stato democratico, guardate permettiamo a tutti di manifestare!”, ha iniziato a sparare in aria, e nella moschea divenuta un pronto soccorso del movimento si contano già centinaia di feriti.

Per i morti ancora non si hanno notizie certe, ma quella di oggi sembra una giornata per cui neanche centinaia di inchieste riusciranno ad appurare quanti manifestanti sono stati uccisi, visto che da queste ore su piazza elTharir potrebbe rovesciarsi tutta la forza di un regime dittatoriale retto ormai solo da pallottole e censura… contro un movimento che ha già sorpreso tutto il mondo e potrebbe farlo ancora. Ce lo auguriamo

> Egitto: Uno sciopero da milioni di no!

Due milioni al Cairo, centinaia di migliaia nelle altre città e poi ancora i villaggi e i piccoli centri rurali. Milioni e milioni di no al regime, no alla crisi. L’Egitto raggiunge il culmine della rivolta nella grande giornata di sciopero generale. L’avevano promesso che avrebbero raggiunto cifre incredibili e così è, visto che mentre scriviamo sembra che i numeri dei manifestanti siano destinati a salire ancora. L’immensa piazza elTahrir, la piazza della Liberazione, è ormai piena e sembra che il movimento voglia anticipare ad oggi il corteo verso Heliopolis, il mega-quartiere che ospita la residenza ufficiale di Moubarak, che era stato fissato per venerdì.

Anche oggi tutta l’attenzione è orientata sul Cairo anche a causa del blocco totale del flusso delle informazioni che potrebbero spiegare al mondo cosa sta succedendo altrove. Ieri mattina è stata staccata la spina anche all’ISP Noor, sui cui server veniva ospitata la Borsa egiziana e su cui si inseriva la residua comunicazione internet proveniente dal paese africano.

E’ stata inficiata anche l’utilità di SpeakToTweet, un servizio lanciato in fretta e furia sempre nella giornata di ieri da Google che permetteva la ripubblicazione su Twitter del contenuto di brevi chiamate telefoniche tramite riconoscimento vocale. Un’opzione sempre meno praticabile in un momento in cui le dinamiche di piazza rendono difficile l’accesso alle uniche connessioni telefoniche apparentemente funzionanti, quelle a linea fissa. Avere un buon numero di fonti certe dalle altre città è molto difficile ma dalle informazioni che possediamo possiamo ritenere che altrove il movimento si è scontrato e si sta scontrando ripetutamente con la polizia riuscendo a far tremare a volte i nodi nazionali del potere statale tramite occupazioni di edifici pubblici, saccheggi, e incendi di posti di polizia e commissariati. C’è chi parla di Suez come della Sidi Bouzid (importante epicentro della rivoluzione tunisina) dell’Egitto, e ancora Alessandria, Ismailia e tante altre città dove studenti, disoccupati, e giovani proletari hanno compattato l’avanguardia sociale della rivolta aprendo la lotta contro la crisi ed il regime. Una narrazione a venire che corre parallela agli eventi di piazza elTahrir ripresa dall’alto dalle telecamere di tutto il mondo e che difficilmente può restituire la complessità, le stratificazioni e le sfumature di un movimento di massa e vasto come quello che si sta sviluppando in tutto l’Egitto.

Seguendo il mainstream si rischia infatti di pensare ad una piazza elTahrir eternamente in attesa di qualche leader o portavoce dell’opposizione ufficiale per un comizio quando a differenza sembra attendere ben altro: il momento propizio per dare una forte e radicale spallata al regime.

Perchè di questo si tratta, mandare a casa tutti e non solo Moubarak, ma il sistema intero che ha garantito tramite repressione e dispotismo, che a pagare la crisi e a non godere delle ricchezze del paese fossero stati sempre e solo quei tanti che oggi sono in piazza. Contro il caro vita e per un salario garantito, si legge nella convocazione della mobilitazione del 25 gennaio, e le interviste e gli slogan ancora oggi ci danno il segno di quanto la contestazione politica al regime e il tentativo del suo rovesciamento siano strettamente legata alla necessità di redistribuire le ricchezze tra la massa degli espropriati.

Espropriati di diritti civili quanto di futuro, è la vitaccia, “la mal vie” contro cui si sono rivoltati i giovani algerini nei primi giorni di gennaio e contro cui la rivoluzione tunisina continua a lavorare. Da qui l’odio per Moubarak, il suo sistema di potere ormai delegittimato e messo in crisi dal movimento. E da qui anche la necessità per l’apparato istituzionale di correre ai ripari per non crollare completamente anche attraverso l’uso di un esercito “neutrale” che ieri ha dichiarato ufficialmente la legittimità della protesta popolare assicurando l’Egitto che non userà le armi per contenere le piazze. Struttura istituzionale terminale per garantire transizioni possibili e continuità dello stato, l’esercito gioca un ruolo ambivalente anche per la composizione delle basse gerarchie coposte in maggioranza da giovani proletari che magari se non avessero avuto la divisa oggi avrebbero tenuto un sasso in mano. L’uso ambivalente dell’esercito potrebbe giocare anche un brutto scherzo a chi punta sulle forze armate per garantire una “transizione ordinata” degli alti poteri in Egitto. Come anche ieri si è augurata la Clinton, che in fretta e furia ha radunato più di 100 diplomatici e ambasciatori a stelle e strisce per “fare il punto” sulla situazione egiziana e sull’area mediterranea.

Senza accelerare contro Moubarak e ben vedendosi di dare l’ok ad ElBaradei (che più di una volta ha funzionato da decisiva spina nel fianco della politica estera della Casa Bianca) la Clinton ha parlato di transizione ordinata, formula che poi è stata in un certo senso ripresa dagli alti ufficiali dell’esercito egiziano. Allo stesso tempo l’elites della Fortezza Europa per l’ennesima volta non riesce a raggiungere una posizione unitaria sulle crisi internazionali.

I comunicati che l’Unione Europea sta diramando sono ipocritamente neutrali, parlano della necessità di dialogo democratico tra piazza e regime lasciando sventolare la bandiera della democrazia e dei diritti umani solo sui carri armati in Afganistan ed in Iraq. Nei fatti la Germania, già incline e togliere ogni sostegno a Moubarak, non l’ha spuntata con il no della Francia e della Gran Bretagna ben attente a non sbilanciarsi troppo ma celando di volere ancora il vecchio despota saldo sulla poltrona.

L’Italia allineata sulla posizione di questi ultimi brilla per originalità in politica estera solo per aver messo il veto alla sottrazione del visto per l’ingresso nell’Unione Europea per Ben Ali e moglie. Frattini garantisce lo shopping a Parigi o a Roma per l’ex-tiranno di Cartagine conquistandosi l’applauso di Gheddafi che il governo Berlusconi non può proprio sottrarsi dal compiacere. Israele ben più pragmatica dell’Unione Europea ha mosso già le truppe e sembra prepararsi al peggio visto che non è bastata la direttiva alla sua diplomazia che avrebbe dovuto pressare i governi occidentali per far tenere la fiducia su Moubarak. In soccorso alla disinformazione di parte del mainstream occidentale e filo sionista, che non perde occasione per paragonare gli eventi egiziani alla rivoluzione iraniana, arriva l’Iran stesso, che legge nella rivolta egiziana l’inizio di una possibile svolta islamista nel medioriente e appoggia pubblicamente gli insorti del Cairo.

Insomma all’appello non sembra mancare più nessuno e ormai tra cancellerie e media ufficiali si fa un gran chiasso non curanti della storica irascibilità dei rivoluzionari e dei rivoltosi che ci fa supporre, con una certa consapevolezza e partecipazione, che una volta tolto il bavaglio della censura anche al resto dell’Egitto potrebbe suonare come un boato:”que se vayan todos!”