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Editoriale / Università, pronta l’austerità del merito

Passa la spending review, e con essa i pesanti aumenti delle tasse universitarie per gli studenti fuoricorso. Sarà la scintilla di un nuovo autunno di rabbia negli atenei?

08 Agosto 2012 - 15:42

Pochi minuti prima delle 16 di ieri la Camera ha approvato con 371 voti favorevoli, 86 contrari e 22 astenuti il decreto legge sulla spending review imposta dal governo Monti. Oltre ai vari provvedimenti che come un’accetta si abbattono sulla spesa sociale una norma sull’Università avvelena la pausa estiva di studenti e studentesse: si tratta dell’innalzamento delle tasse universitarie agitato ormai da settimane dal ministro Profumo.

Che i cosiddetti “fuori-corso” non fossero graditi alla cerchia dei bocconiani è oramai cosa nota e la riforma del merito paventata dal Ministro all’Istruzione nei mesi appena passati sembra essersi attivata già da oggi nella maniera più drastica e più gradita a governi e fondi monetari. Già, ma poiché negli atenei svuotati di ogni risorsa la sola parola “tagli” avrebbe suscitato l’indignazione di tutta la popolazione provocando un’immediata risposta “al di sopra delle righe” come già fu nello scorso 2010, questa volta lo strumento saranno le tasse universitarie. Solo chi non resterà in pari con gli esami sarà colpito da un aumento che viaggia dal 25% per redditi familiari inferiori ai 90.000€ al raddoppio, per i redditi superiori ai 150mila euro. Aumento fino al 50% per chi sta tra le due soglie. Si tratta di tetti massimi, va detto, ogni ateneo sarà libero di fissare aumenti più contenuti, e la legge prevede, in termini in vero ben poco chiari, di “tenere in conto la specifica condizione degli studenti lavoratori”. Ma la sostanza cambia poco o niente.

Si cerca così di colpire quella parzialità che i ministri definisconosenza nemmeno pensare (sempre entro i confini ristretti dell’ottica liberal-meritocratica che li contraddistingue) a quali costi la vita universitaria prevede e a quanti/e sono costretti a ricercare un lavoro oltre lo studio per permettersela.

Se ci limitassimo però alla difesa (sacrosanta, s’intende) di questi ultimi rischieremmo di cadere nella trappola che la nozione di merito comprende: la norma passata oggi alla Camera non rappresenta soltanto l’ennesimo attacco alle tasche della popolazione studentesca composta da fuori-sede, precari, immigrati, indebitati con istituti di credito e con le rispettive famiglie, ma soprattutto questo aumento “discriminato” rappresenta un’altra conquista del pensiero dominante sul terreno dei saperi. Il messaggio che sta dietro le righe (o è forse il caso di dire “dietro le cifre”) è trito e ritrito ed impone la normalizzazione dei percorsi di studio, definisce la qualità e la legittimità di un percorso formativo solo ed esclusivamente in base ai tempi (si guardi bene la proposta che l’allora neo-incaricato Profumo fece riguardo l’abolizione del valore del titolo di studio), pone un termine di scadenza all’apprendimento giudicando come un costo sociale tutto ciò che non rientra in batteria.

Il rientro nelle aule degli atenei, a Ottobre, metterà gli studenti di fronte a questo dispositivo di ricatto, che, andandosi ad aggiungere alla riforma meritocratica annunciata a giugno, pare un ottimo candidato a innescare, tra gli universitari, la scintilla di un nuovo autunno di giusta rabbia.