Editoriale

Editoriale / La cialtroneria degli “smemorati condivisi”

Tra i mezzi militari che hanno sfilato in piazza Maggiore il 25 aprile anche auto delle Ss e della Wehrmacht. Possibile che a nessuno sia venuto in mente che, quanto meno, fosse di cattivo gusto?

27 Aprile 2015 - 13:27

auIl nostro è un paese senza memoria. Qualcuno oggi vuole ricreare il passato attraverso un’immagine che non si basa sul ricordo e sulla memoria, ma sulla nostalgia. La nostalgia viene sostituita alla memoria, per favorire le paure e i disagi del presente. Si sono avviati processi di cancellazione che mandano in frantumi la memoria e la storia. Tutto questo l’hanno chiamato “memoria condivisa”, anche se nessuno ci ha spiegato chi sarebbe che la condivide. Prima hanno voluto “rileggere” la Resistenza. Hanno tentato di mettere sullo stesso piano partigiani e repubblichini, chi era andato a combattere sui monti e i “ragazzi di Salò”. Poi ci hanno immerso come biscotti nella cosiddetta “pacificazione”. Per tutti costoro la storia è una specie di dermatite, sì un’infiammazione della pelle, conseguenza di un’irritazione o di un’allergia. Le cause possono essere le più svariate e tutti ne possono rimanere vittime: chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Ci vorrebbero convincere che la storia è fatalità e dalla fatalità tutto e tutti possono rimanere travolti… per cui vale la pena rimuovere.

Gli esercizi di rimozione della storia non sono come quelli di “bella calligrafia”. Se la scrittura elegante può giovare alla salute del corpo e della mente, l’indifferenza nei confronti di una memoria comune è un peso morto. Per questo siamo rimasti inorriditi, vedendo tra le foto dei siti dei quotidiani (e senza nessun commento), due auto, una delle SS e una della Wehrmacht, con cinque beoti sopra che indossavano le divise dei nazisti della seconda guerra mondiale. Stavano serenamente incolonnati insieme agli altri veicoli della parata di mezzi militari dell’epoca che si è tenuta in piazza Maggiore, a lato delle celebrazioni ufficiali del settantesimo del 25 aprile ’45.

E’ mai possibile che a nessuno, tra i nostri “smemorati condivisi”, sia venuto in mente che, quanto meno, fosse di cattivo gusto, nella giornata della Liberazione dai nazifascisti, averne i simboli mischiati insieme a tanti altri?

Ma se alla trascuratezza e alla sciatteria dei rappresentati istituzionali siamo abituati, siamo rimasti stupiti dell’indifferenza dei cittadini che assistevano alla parata, come se stessero guardando un album di figurine di guerra delle Edizioni Lampo.

Ed è per questo ci vengono in mente le parole che un giovane scapestrato digrignava tra i denti nel lontano febbraio del 1917: “Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Quel giovane scapestrato si chiamava Antonio Gramsci… Ed è per questo che, ieri, noi non siamo passati da piazza Maggiore, ma abbiamo preferito sfilare con il corteo antifa “La resistenza continua” e poi mischiarci tra le migliaia di giovani e meno giovani nelle strade del “Pratello R’Esiste”. Lì c’era una vera festa di popolo… vera come dev’essere in una giornata come il 25 aprile.