Acabnews Bologna

È sciopero generale: “Prima la salute!”

Usb raccoglie foto della “piazza virtuale”, domani incontro in Regione. Fra adesioni Noi Restiamo: “Molti giovani hanno perso il lavoro in questi giorni”; Smaschieramenti: “A tutt* sia garantito l’accesso alla salute”; Riders Union: “Fermarsi atto di responsabilità”. In Gd (chiusa da lunedì) niente cig, e ci sarebbe un caso di coronavirus, non comunicato ai lavoratori.

25 Marzo 2020 - 17:17

Un “assembramento cittadino per lo sciopero generale del 25 marzo” nella forma di una “piazza virtuale“, perchè “ogni sciopero ha la sua manifestazione, e anche in questi tempi difficili non ce ne vogliamo privare”. Era l’invito a partecipare in via telematica (i contributi possono essere caricati sull’evento Facebook “Sciopero Generale, Piazza Virtuale: Prima la salute!”) alle iniziative per lo sciopero generale di oggi, promosso da Usb Bologna insieme ai nodi provinciali del sindacato di base in tutta la regione Emilia-Romagna. In queste ore lavoratrici e lavoratori hanno scattato fotografie con cartelli che chiamano allo sciopero, per poi postarle sul social network.

“Durante la mattinata è arrivato l’invito da parte della Regione Emilia-Romagna per un incontro che dovrebbe svolgersi domani”, ha scritto poco fa il sindacato in un comunicato in cui ha tirato il bilancio di “una giornata di sciopero che coinvolge le lavoratrici e i lavoratori sia dei settori non essenziali che scioperano per l’intera giornata ma anche gli addetti ai servizi essenziali, quali sanità, trasporti, servizi ambientali che potranno aderire con un simbolico minuto di sciopero. Una giornata di lotta, anche per ricordare Daniela, l’infermiera di terapia intensiva suicida al San Gerardo di Monza, e tutte le altre vittime mietute dal Covid-19 tra gli operatori sanitari. Tantissimi sono stati i messaggi di solidarietà e di appoggio allo sciopero specie da parte degli operatori della sanità impegnati in prima linea, mentre nella scuola si sono astenuti dal servizio gli ATA che ancora svolgono attività lavorativa nelle scuole aperte e i docenti che si sono astenuti per solidarietà dallo svolgere didattica a distanza per rivendicare la tutela della salute di tutte e tutti. Uno sciopero per dire che la salute viene prima delle logiche del profitto e del mercato, per chiedere che si attui un vero blocco delle attività non essenziali, cosa non prevista nell’ultimo decreto che al contrario concede una deroga ampia come richiesto dalla Confindustria. Si sono tenute assemblee virtuali tramite piattaforme on line, tra queste anche a Bologna dove hanno partecipato lavoratrici e lavoratori dei vari settori del pubblico e del privato che hanno sottolineato la drammaticità della situazione e la determinazione a proseguire le lotte contro la mancanza di vere misure anticontagio nei luoghi di lavoro ancora aperti e per chiudere le attività non indispensabili che costringono, ogni giorno, milioni di lavoratori alla continua esposizione alla pandemia”.

Intanto, è proprio Usb a denunciare la situazione creatasi alla Gd di Bologna, azienda che da lunedì scorso ha deciso di effettuare la chiusura fino al 3 aprile e dove il sindacato di base è primo per numero di iscritti: Gd ha infatti deciso di non utilizzare la cassa integrazione per quei lavoratori che non lavoreranno in smart working, obbligandoli ad attingere da ferie residue, permessi, e banca ore. Inoltre non ha tempestivamente avvertito rsu e lavoratori quando ha scoperto di un caso di positività al coronavirus nello stabilimento di GD8. La notizia del contagio sarebbe arrivata sabato, ma non sarebbe stata comunicata ai lavoratori in considerazione del fatto considerato che lunedì la fabbrica sarebbe stata chiusa. Un fatto “grave” che dimostra le “pressioni del management sui lavoratori”, dice Usb. Quanto alla chiusura, il sindacato di base fa notare che non riguarderà tutti i dipendenti di Gd-Coesia: 1.200 continueranno lavorare da casa da remoto e continueranno a percepire lo stipendio intero. “Per tutti gli altri, che non possono farlo, l’azienda ha deciso che siano loro stessi a far fronte all’emergenza, attingendo forzatamente ai residui di ferie del 2018 e del 2019, per poi attingere dalla banca ore e dal permesso retribuito da trasferta, infine dal prestito ‘ore’ aziendale, quando tutti gli altri istituti saranno terminati”. Dunque, continua Usb, “perchè l’azienda non ricorre agli ammortizzatori sociali per tutti i dipendenti che non possono lavorare da remoto, contribuendo per compensare il minor salario? Perchè costringere i lavoratori a prendere un prestito ore dall’azienda senza spiegare come saranno restituite?”. La richiesta del sindacato di base dunque è che venga istituito un fondo ore straordinario su base volontaria, permettendo a quelli che non utilizzeranno quanto maturato di metterlo a disposizione dei colleghi in difficoltà. Anche per questo Usb non ha firmato l’ultimo verbale d’incontro con l’azienda.

Fra gli appelli collegati alla piazza virtuale dello sciopero c’è quello di Noi Restiamo, che lancia “una foto petizione per dare sostegno a questa importante iniziativa di lotta, mandiamo un segnale al governo per dirgli che i costi di questa emergenza non devono essere scaricati sulle fasce più deboli della società. Molti di noi giovani abbiamo perso il lavoro in queste settimane e, a causa dell’assenza di tutele, per noi il governo ha disposto poco o niente, mentre non si fa cenno a nessuna politica per fermare le spese, come affitto e utenze, e si prepara un ‘dopo’ in cui ci chiederanno ulteriori sacrifici, dopo 13 anni di crisi economica in cui sono state salvate le banche a discapito del nostro futuro. Facciamoci sentire! Per partecipare fai cosi: Prendiamo carta e penna e scriviamo su un foglio i motivi per cui la classe dirigente e quella padronale ce la dovranno pagare. (Es. ‘Ferie forzate’; ‘Licenziamento’; ‘Nessuna tutela’; ‘Una pizza è più importante della salute’…). Scattiamoci una foto. Inviateci le vostre foto alla pagina facebook di Noi Restiamo”.

Fra le adesioni alla giornata di mobilitazione si segnala poi quella del Laboratorio Smaschieramenti: “Come tutt* siamo spiazzate dalla rapida diffusione del #coronavirus, dalle profonde implicazioni e contraddizioni che scoperchia, dalle trasformazioni del nostro quotidiano che impone e dal susseguirsi degli interventi di gestione dell’emergenza. Continuiamo a pensare collettivamente e a cospirare in forme nuove. Non abbiamo una lettura generale e univoca, ma cerchiamo di riallacciare e rilanciare una serie di ragionamenti e intuizioni: ci scopriamo drammaticamente interconnesse a livello globale con tutte le forme di vita, con l’ambiente, le altre specie e vogliamo agire questa responsabilità come una risorsa collettiva per ripensare le forme di produzione/riproduzione/attivismo/affetto. Se, come istituzioni e media ripetono incessantemente, ‘c’è ancora troppa gente in giro’, il motivo non è che tutti si sono riscoperti di colpo sportivi, ma che troppa gente è ancora costretta ad andare a lavorare, anche se non produce beni di prima necessità. Il decreto #curaitalia è una farsa, dato che, grazie alle pressioni di #Confindustria, i settori inclusi nella lista delle produzioni indispensabili sono tantissimi, si aprono clausole per il proseguimento delle attività, e non si definiscono le sanzioni e le modalità di controllo per i datori di lavoro inadempienti”.

Con questo elenco di rivendicazioni il collettivo spiega le ragioni della partecipazione alla serrata: “A tutt* le categorie sia garantito l’accesso alla #salute, al lavoro in sicurezza nei settori davvero essenziali, alle informazioni e ai dispositivi di protezione. Perché siano bloccate tutte le forme di lavoro non essenziali garantendo invariati i salari o forme di reddito equivalenti. Molte di noi operano nel settore sociale, sanitario e dell’accoglienza, nella riproduzione sociale salariata o gratuita e non possono, o non vogliono, scioperare: anche per quest* lavorator* deve scioperare chi è garantito, chi è in smart working, chi è in condizioni di farlo, per garantire che anche a quest* lavorator* come a tutt* sia garantita la sicurezza sul lavoro. Perché nelle infinite forme di #lavoro e non lavoro, sottopagato, non pagato, naturalizzato che da anni ricattano le nostre vite e che oggi mostrano tutte le gerarchie di privilegio su un piano estremo di corpi e vite che contano o meno, si riconosca un reddito di autodeterminazione universale: per questo sosteniamo tutte le richieste in questa direzione, dal reddito di quarantena (ma da estendere oltre la quarantena, perché quanto durerà? Quali conseguenze economiche e di indebitamento individuale lascerà?); all’estensione del reddito di cittadinanza attualmente esistente senza i vincoli familistici e di workfare attuali; al salario minimo europeo. Perché si intervenga con strumenti di decarcerizzazione: #amnistia, #indulto, pene domiciliari e alternative per chi sta in #carcere dove non si possono rispettare neanche le norme igieniche basilari, figurarsi il distanziamento sociale necessario. Perché si riconoscano le forme di #mutualismo, scambio di beni e solidarietà a livello locale come forme alternative proprio alle economie estrattive e di sfruttamento che hanno generato la pandemia. Perché si garantisca alle categorie vulnerabili come senza fissa dimora e persone ammassate nelle strutture cosiddette ‘di accoglienza’ una condizione abitativa in sicurezza. Perché la #casa, che è da sempre luogo di violenza di genere e di sfruttamento del lavoro riproduttivo tradizionale, oggi crocevia di tutti i flussi produttivi-riproduttivi che mettono a valore ogni forma del tempo/vita, sia rivoltata dalle fondamenta: vogliamo decidere con chi passare la quarantena, poter lasciare in sicurezza la casa e rivolgerci ai centri antiviolenza. Perché a casa non ci resteremo per molto: rispettiamo il distanziamento sociale, ma lottiamo per affermare il diritto alla critica, al conflitto, allo sciopero, alla libera circolazione delle persone e alle #libertà basilari di riunione e assemblea in forme virtuali e vogliamo ripensare anche l’attraversabilità dello spazio pubblico”.

Fra lavoratrici e lavoratori in sciopero già da alcune settimane si leva la voce di Riders Union Bologna, che indirizza una lettera al “Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, del Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, della Ministra del Lavoro Nunzia Catalfo”. Questo il contenuto della missiva: “Nella videoconferenza del Presidente del Consiglio di sabato sera avremmo voluto ascoltare parole capaci di tradursi in realtà. Avremmo voluto una chiusura di tutti i settori non essenziali all’emergenza, con la garanzia di continuità di reddito per lavoratrici e lavoratori. Non avremmo voluto – e lo diciamo con la rabbia dei dimenticati – assistere ad un annuncio degno del paese del Gattopardo dove tutto cambia per non cambiare niente. Troppe attività produttive non essenziali rimangono aperte, troppe fabbriche e troppi settori merceologici. Tra questi, purtroppo, rimane aperto anche il food-delivery nel quale lavoriamo, nonostante al momento ci troviamo non solo sprovvisti di dispositivi di protezione individuale, ma ancora inquadrati come lavoratori autonomi anche se comandati, sorvegliati e puniti dal sistema del cottimo e dalla tirannia del ranking. Lo avevamo ribadito nei giorni scorsi, invitando le/i riders ad astenersi dal lavoro e la cittadinanza al boicottaggio: la consegna di un sushi, di un hamburger, di una pizza, non è un bene di prima necessità, ma un superfluo che può attendere qualche giorno, qualche settimana, la fine della pandemia. Invece, pare che la scelta sia di fondare sul nostro sfruttamento il tentativo di far sopravvivere l’intero settore della ristorazione che, in questi giorni, si è riorganizzato puntando proprio sul food delivery. Così, non solo siamo stati tra i pochi lavoratori ad essere esclusi da qualsiasi tipo di sostegno economico del governo, ma, anche di fronte alla stretta sui servizi non essenziali, ci viene chiesto di accettare passivamente le nostre condizioni di lavoro oltre che il rischio di contagio al quale siamo quotidianamente esposti”.

Continuano i ciclofattorini: “Sono ormai più di due settimane che siamo in sciopero per chiedere di poter restare a casa, di venire anche noi tutelati, a pari degli altri lavoratori, da ammortizzatori sociali che ci consentano di tirare avanti, di vivere, di contribuire allo sforzo collettivo di fermare il contagio. E lo diciamo sapendo di non essere gli unici in questa situazione. Ci sentiamo, infatti, di rigettare le retoriche dell’unità nazionale, soprattutto quando in campo dall’altra parte c’è solo cinismo e mera difesa di interessi economici. Non siamo nella stessa barca di Assodelivery o di Confindustria, di chi antepone il profitto alla salute. La nostra è la barca di chi, in fabbrica o in magazzino, deve continuare a lavorare in settori non essenziali esponendo al rischio di contagio se stessi e le proprie famiglie. Sono queste le ragioni che ci spingono a continuare il nostro sciopero aderendo alla mobilitazione convocata nella giornata di domani (oggi, ndr) 25 marzo. Pensiamo che fermarsi in questo momento sia un atto di responsabilità. Non ci fermeremo per noi, ma per tutte e tutti, per la sanità pubblica, per ribadire che la salute viene prima dei profitti e che da questo momento difficile o ne usciamo tutti insieme o non ne uscirà nessuno. Al governo, dunque, chiediamo altrettanta responsabilità: non ci si può fermare ad ascoltare soltanto le sirene del profitto ignorando il nostro sfruttamento. Per questo chiediamo di essere tempestivamente ricevuti, così da porre le istanze di chi in questi giorni è stato costretto, dalla scelta delle piattaforme digitali e dalle disposizioni dei decreti, a dover lavorare senza la minima tutela. Pensiamo che, al pari di quanto è accaduto per altri lavoratori, anche noi abbiamo diritto ad avere accesso ad una copertura economica e, per questo, vorremmo invitarvi a valutare una possibile estensione di strumenti universali quali il reddito di cittadinanza. Vogliamo però parlare anche delle nostre condizioni di lavoro. Non è forse un paradosso che non solo di colpo le nostre istanze siano state cancellate dall’agenda pubblica del paese, ma che all’improvviso un servizio basato su collaborazioni occasionali diventi un servizio essenziale? Non abbiamo forse atteso già abbastanza e non è il caso di mettere un freno alla costante elusione di tasse e diritti fatte da aziende come le nostre che non solo ci negano una vita degna anche se lavoriamo, ma che sottraggono a tutto il paese risorse da investire nella salute pubblica? Non è giunto forse il momento di dire che non ci sarà mai nessuna ricostruzione se accettiamo che alcuni di noi debbano essere sfruttati? Noi pensiamo che andrà tutto bene solo se si avrà la forza di non lasciare indietro nessuno. Con lo sciopero di domani e con la nostra richiesta di incontro vogliamo tornare a ribadire che non ci dovrà più essere una consegna senza diritti! Il tempo stringe, più che imporre ulteriori vincoli alle nostre condotte individuali (come si vocifera sui media) è fondamentale che il governo scelga da che parte stare: dalla parte delle persone o da quella dei profitti!”.