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Il rettore pensa alla marcia indietro e rischia di slittare l’avvio dell’anno accademico

Dionigi dice che i bandi per sostituire i ricercatori sono “un’estrema ratio” ed ipotizza uno slittamento delle lezioni. Poi regala una perla sul concetto di sciopero. I ricercatori vanno avanti, solidarietà da Usb e da Pisa.

16 Settembre 2010 - 20:02

Bandi per docenti a contratto per sostituire i ricercatori che attuano il blocco della didattica? «Un’estrema ratio», ha detto oggi il Rettore ai microfoni di Radio24, usando la stessa espressione scelta ieri dal preside di Agraria Andrea Segrè. «Allo stato attuale non li posso escludere», ha specificato Dionigi, ma «non so se trovo le competenze e non so se ho i soldi».

Dionigi arriva a ipotizzare di «posticipare in modo clamoroso l’inizio dell’Anno accademico», o comunque di sospendere o far slittare di un semestre alcuni insegnamenti, o di chiedere «uno sforzo» ai docenti perché si prendano in carico i corsi scoperti. Per quanto riguarda l’ipotesi di posticipare l’inizio dell’anno accademico, tra i ricercatori si accoglie l’idea con un certo favore: “Se si decidesse di rinviare l’inizio dell’anno accademico non si farebbe altro che certificare il fatto che non si riescono a far partire i corsi senza di noi”.

Tornando alle dichiarazioni rilasciate oggi dal rettore, sono toni molto diversi da quelli degli scorsi giorni: se non è una retromarcia, ci assomiglia molto. Sembra probabile che il rettore non si aspettasse né un adesione così massiccia dei ricercatori alla protesta, né che il caso suscitasse tante polemiche e si proiettasse sui media nazionali.

Dionigi ora tesse a più riprese gli elogi dei ricercatori dell’Alma Mater, che definisce «eccellenti» e in alcuni casi «degni della cattedra più dei loro ordinari». La protesta, ha anche detto, «è sacrosanta, cerco di non depotenziarla, di fare lo stretto necessario» per non comprometterla.

Ma se da una parte ammette che il ricorso all’insegnamento dei ricercatori, negli atenei, «è un anomalia di sistema»,  dall’altra sostiene resta comunque «un lavoro volontario» per il quale «non c’è uno stipendio», e per questo, secondo il curioso ragionamento di Dionigi, il blocco della didattica non può essere considerato uno sciopero, e reclutando eventualmente docenti a contratto «nessuno conculca i diritti di chi sciopera». In sintesi: se si lavora gratis non si ha gli stessi diritti di chi è stipendiato.

Dal canto loro i ricercatori confermano di voler andare avanti sulla scelta di rinunciare alla didattica e in queste ore arrivano nuove adesioni da molte  facoltà, tra cui Scienze, Agraria, Veterinaria, Lettere. Il punto della situazione sarà fatto lunedì nell’aula 5 del rettorato, quando si deciderà come proseguire la loro mobilitazione. Domani, invece, si svolgerà a Roma un’assemblea nazionale dei ricercatori.

Intanto sulla situazione che si è creata in Ateneo interviene il sindacato di base Usb. La decisione sui bandi per docenti a contratto «e’ il metodo Marchionne che fa il suo ingresso negli Atenei. L’ultimatum ai ricercatori di Bologna di oggi e la minaccia di licenziamento da parte del rettore Frati a Roma di qualche mese fa sono operazioni intimidatorie che l’intera comunità universitaria deve condannare». L’apertura dell’anno accademico è in forse «per il colpevole disinteresse alle prospettive dei ricercatori e dei precari della didattica e della ricerca, per i tagli ai bilanci, per una riforma che dequalifica didattica e ricerca e accelera lo smantellamento dell’Università pubblica».  Se quindi si vuole che inizino le lezioni negli Atenei si devono, secondo il sindacato di base, «fermare o revocare quelle decisioni emergenziali che non affrontano il ritiro dei tagli ai bilanci e della riforma su governance, sullo stato giuridico del personale, sul diritto allo studio e non risolvono le questioni di ricercatori e precari».

Infine, la redazione di Pisanotizie ha scritto a Zic per segnalare una lettera firmata da ricercatori, professori e studenti dell’Università pisana contro l’operazione del Senato accademico bolognese, che “rischia di impoverire la qualità della didattica, pregiudicando la missione di eccellenza dell’Università stessa, e mette in effettiva contrapposizione aspettative legittime delle componenti universitarie”.