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Di nuovo all’Usr: “Diritto all’istruzione sia garantito pienamente e in presenza al 100%”

Priorità alla scuola torna a mobilitarsi per chiedere “l’eliminazione delle ‘classi pollaio’, l’assegnazione di più spazi alla scuola, la stabilizzazione dei e delle precarie, il potenziamento del trasporto pubblico, un protocollo di sicurezza unitario e non discriminatorio e tamponi gratuiti per la comunità scolastica su tutto il territorio italiano”. Intanto, rischio Dad anche al Sabin.

20 Settembre 2021 - 20:39
Foto Agenzia Dire

Manifestazione davanti alla sede dell’Ufficio scolastico regionale, oggi a Bologna, nell’ambito della giornata di mobilitazione nazionale lanciata da Priorità alla scuola: il movimento composto da insegnanti, genitori, educator* e student* della scuola e dell’università ha scelto di tornare in piazza “perché il diritto all’istruzione sia garantito pienamente e in presenza al 100%- così il comunicato- attraverso l’eliminazione delle ‘classi pollaio’, l’assegnazione di più spazi alla scuola, la stabilizzazione dei e delle precarie, il potenziamento del trasporto pubblico, un protocollo di sicurezza unitario e non discriminatorio e tamponi gratuiti per la comunità scolastica su tutto il territorio italiano. Priorità alla scuola chiede di nuovo che il Governo adotti una politica adeguata, invertendo la rotta rispetto alle risibili misure prese negli ultimi due anni, per garantire e potenziare il diritto all’istruzione, mettendo fine anche alle profonde e scandalose differenze tra Regione e Regione a cui abbiamo assistito nel 2020/21 e che torneranno a verificarsi nel prossimo a causa della pericolosa discrezionalità lasciata a Comuni e Regioni in nome di una autonomia che penalizza il diritto all’istruzione che invece deve essere garantito uniformemente su tutto il territorio. Un’altra estate è trascorsa tra tentennamenti e tergiversazioni, affermando che tre mesi per sistemare i problemi della scuola sono pochi: ma i mesi trascorsi da quando l’epidemia ha reso evidente la situazione sono almeno diciotto ormai, e un intero anno scolastico dopo quello dimezzato dal lockdown. Il governo ha puntato unicamente sulla campagna di vaccinazione di massa, per di più gestendola con maldestrezza, introducendo ulteriori fonti di tensione in una società già provata da 18 mesi di restrizioni. La scuola subisce l’ennesima stigmatizzazione, quale luogo del contagio per eccellenza, condizione smentita dai dati (sulla base dei quali, anzi, la scorsa primavera numerosi comitati hanno vinto ricorsi contro il buon fondamento delle chiusure). Il personale scolastico si trova a sperimentare obblighi inesistenti in altri luoghi di lavoro, e su di esso si scaricano le responsabilità del malfunzionamento del sistema scolastico”. Fra i problemi sollevati da Priorità alla scuola, anche quello delle quarantene per gli insegnanti in caso si verifichino contagi nelle classi: “Qualora qualcuno all’interno delle loro classi dovesse risultare positivo, queste non vengono remunerate. Questo è inaccettabile, è l’ennesimo accanimento nei confronti del corpo docente che non lo merita”, hanno spiegato oggi i manifestanti.

Le responsabilità vanno attribuite a un altro livello, secondo Priorità alla scuola: “Il piano scuola 2021/22 presentato ai primi di agosto non ha proposto nessuna soluzione concreta a problematiche che affliggono la scuola da decenni, ma che – ce lo ha dimostrato l’andamento dell’anno scorso – sono state le principali responsabili nell’impedire una adeguata gestione dell’emergenza sanitaria, con il risultato di comprimere il diritto all’istruzione in tutta Italia. Ora, il nuovo anno scolastico si avvia in modo ancora più confuso e precario del precedente. La data che Priorità alla scuola ha scelto per riprendere la mobilitazione coincide con il primo giorno di scuola in Puglia – una delle Regioni dove il diritto all’istruzione è stato più penalizzato l’anno scorso –, quando l’anno scolastico sarà ormai avviato in tutta Italia”. Le manifestazioni sono state convocate in tutta Italia “per ribadire che non è accettabile che la scuola sia continuamente sacrificata e subordinata ad altre attività, economiche e sociali, che studenti e studentesse siano penalizzat* e privat* di una scuola pubblica, laica, inclusiva, solidale e di qualità. Non sono più accettabili le classi troppo numerose, la mancanza di spazi, i e le docenti in larga parte precari, le nomine tardive che impediscono un inizio regolare dell’attività scolastica e del raggiungimento del tempo scuola, il sistema di trasporti insufficiente, infine, i pochi investimenti nella prevenzione e nella medicina scolastica. I problemi strutturali non si vaccinano. Andavano risolti, come rivendicato dal movimento nelle manifestazioni e con gli appelli degli ultimi mesi, investendo in modo mirato i fondi del Recovery Plan: un’altra occasione persa e l’ennesima vergogna per una classe dirigente che persegue obiettivi diversi da quelli che sbandiera con la sua retorica. Ora, il nostro obiettivo è un maggiore stanziamento di risorse dalla legge di bilancio dello Stato da destinarsi alla scuola e una riforma della scuola che vada in direzione contraria alla legislazione in vigore dal 2009”.

Con la giornata di mobilitazione di oggi, Priorità alla scuola avanza quindi sei richieste. La prima: “Che tutte le scuole di ogni ordine e grado abbiano il 100% dell’orario curricolare in presenza e in continuità, in tutto il territorio nazionale, senza distinzione tra Regioni. Per due anni il Governo ha evitato un conflitto con le Regioni, che invece sarebbe stato doveroso; il risultato è stato l’ulteriore aumento delle già drammatiche disparità territoriali: le chiusure abusive in cui a turno varie Regioni si sono distinte, lo scempio della scuola «à la carte» pugliese non devono mai più ripetersi”. La seconda: “La riduzione del numero di studenti per classe a partire dall’anno scolastico 2022/23, per migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Nessun calo demografico può essere usato come giustificazione. Si torni a piccoli numeri, a una scuola che non deve avere un bilancio in attivo ma assolvere al suo compito, quello di formare e istruire. L’accoglienza e la crescita, ovvero quell’«affetto» che il ministro ha più volte invocato, passano per rapporti faccia a faccia in gruppi di dimensioni ragionevoli (tetto massimo di 20 alunne-i per classe)”. La terza: “La riduzione drastica della percentuale di precarietà che caratterizza il lavoro nella scuola italiana (30%, più alta d’Europa), con l’assunzione dei docenti che hanno superato le tre annualità di servizio su materia e sostegno. L’istituzione sfrutta questo escamotage per funzionare a basso costo. Questo è un problema che tocca i diritti di lavoratori e lavoratrici della scuola, ma è anche un problema di rilevanti porzioni dell’anno scolastico perse a causa di nomine tardive nelle supplenze, di coperture segmentate, e in generale di continuità didattica per gli e le studentesse. Per ragazzi-e e genitori diventa fonte di stress nonché di spese per recuperi extrascolastici (secondo la lunga tradizione di economia sommersa nel settore scuola e di ulteriore divario tra chi può permettersi sostegni extra e chi no)”. La quarta: “L’aumento del tempo scuola uniforme in tutto il territorio italiano. Le scuole aperte più a lungo, non come parcheggi (è questa l’idea che il governo ha veicolato nel momento in cui ha tenuto aperte solo le scuole dei più piccoli), ma come potenziamento dell’offerta formativa. Il tempo pieno alla scuola primaria deve essere garantito in tutta Italia: per rimediare a quanto perso sinora; per favorire una crescita generale e una migliore integrazione sociale; per intervenire su un’altra delle più gravi arretratezze del Paese: l’impossibilità per le madri di accedere al lavoro e di scegliere se e come farlo”. La quinta: “Un protocollo di sicurezza unitario e non discriminatorio su tutto il territorio, corrispondente al livello pandemico: pretendiamo che le misure di prevenzione contro la diffusione del Covid-19 adottate per la scuola siano analoghe a quelle adottate per gli altri luoghi di lavoro. Le scuole dovranno essere, qualora il livello pandemico lo richieda, sempre le ultime a chiudere e le prime a riaprire, sulla base della percentuale dei ricoveri e non dei contagi. Inoltre, chiediamo la reperibilità e gratuità di tamponi, preferibilmente distribuiti all’interno delle mura scolastiche, per tutta la comunità scolastica su tutto il territorio”. La sesta: “Dal maggio 2020 il movimento Priorità alla scuola chiede che la spesa pubblica ordinaria per la scuola sia incrementata di un punto percentuale di Pil (portando finalmente questa voce di spesa almeno alla media europea). La scuola sia dotata delle risorse pubbliche per assolvere la sua funzione, lo Stato si faccia carico della scuola pubblica e del suo miglioramento, del benessere psicofisico ed economico di chi ci lavora e di chi la frequenta. Il sistema scolastico è un perno della società e quindi i suoi problemi si ripercuotono su molti altri settori. Nei passati anni scolastici tale complessità è stata giocata contro gli interessi della scuola pubblica, della comunità educante e della cittadinanza, fornendo alibi alle istituzioni: non sarà più ammissibile che le carenze di un settore, come quello dei trasporti o della sanità, siano addebitate a un altro, non sarà più ammissibile assistere a quel rimpallo delle responsabilità tra ministeri, o tra governo e Regioni, che ha segnato il passato anno scolastico. Il Governo intraprenda una decisa inversione di rotta: non è più rimandabile”.

Intanto, dopo i casi del Salvemini e del Minghetti, nei giorni scorsi è emerso che anche al liceo Sabin di Bologna si rischia la didattica a distanza. In un documento, infatti, il Consiglio d’istituto, la dirigenza della scuola e le stesse famiglie denunciano “vecchi e nuovi problemi legati all’edilizia scolastica, che tengono in scacco l’intero liceo di via Matteotti”. Con la conseguenza che la “didattica in presenza è a rischio”, perchè “gli spazi sono insufficienti” per i 1.600 studenti, i docenti e il personale Ata. Il problema, si spiega dalla scuola, nasce anche in questo caso dal “ritardo nell’installazione dei 12 moduli prefabbricati in bio-edilizia previsti dalla Città metropolitana, che si somma al ritardo ormai storico dei lavori di ampliamento della sede in via Matteotti”.