Acabnews Bologna

“Di lavoro si muore perché di precarietà si vive”

Riders Union sulla morte di un fattorino di diciannove anni in un incidente a Bari: è il cottimo “che ti fa andare veloce in mezzo al traffico.” E per le piattaforme “siamo calcoli dell’algoritmo”.

05 Dicembre 2018 - 10:50

“Ad Alberto, di lavoro si muore perché di precarietà si vive”. Sono le prime righe di un epitaffio e di un grido di rabbia, che Riders Union Bologna ha lanciato ieri dopo avere appreso della morte di un loro collega di soli 19 anni tre giorni fa, in provincia di Bari, in uno scontro con un’automobile che gli è costato la vita. Scrivono i riders: “‘Che cosa succede se ti fai male a lavoro?’  Niente. Non succede assolutamente niente, così come non è mai successo niente il giorno in cui sei stato assunto. È il lavoro stesso, specie colui che lo svolge, ad essere rimosso nella neolingua con la quale le piattaforme digitali del food delivery promuovono sé stesse nelle loro scintillanti campagne di marketing. Per socialfood.it, azienda parte del gruppo AssoDelivery e coinvolta in questa vicenda, Alberto non era nient’altro che un rider #ID, rappresentabile solamente in sequenza decimale nei rigidi calcoli dell’algoritmo. In un certo senso questo comporta che, per SocialFood, non sia mai esistito nessun Alberto. È emblematico che ieri, sul sito della piattaforma, comparisse la scritta ‘chiuso per lutto’ senza specificare di chi si trattasse e che oggi tutto sia ripartito come se niente fosse successo”.

Sono molte le volte, dicono i riders, in cui “ci è stato detto che basterebbe soltanto garantirci una copertura assicurativa, ed ‘aggiustare’ per sempre l’iniquità di questo lavoro. Ebbene, crediamo che sia falso. Non è tanto la mancanza di assicurazione che provoca questi incidenti, ma è il regime di paga a cottimo che ti fa andare veloce anche in mezzo al traffico, che cala il tuo livello di attenzione in strada, che ti fa bruciare i semafori rossi e che scarica su di te ogni rischio di questo lavoro”. Per questo “continueremo ad organizzarci per costruire mobilitazioni ancora più potenti, fino a quando non arriveremo finalmente ad ottenere i nostri diritti ed a regolamentare questo mondo selvaggio. Per fare in modo che non accada mai più, perché non si può morire a 19 anni per una pizza. Non per noi ma per tutti/e. Ma soprattutto per Alberto!”