Acabnews Bologna

Déjà-vu al ’36’, l’Università ci riprova con i tornelli

Quattro biblioteche aperte fino alle 24, con varchi all’ingresso. L’Ateneo ci aveva provato dieci anni fa: gli andò male. Cua conferma “settimana di autoriduzione permanente” in mensa. Noi Restiamo contro i docenti pro referendum costituzionale.

23 Maggio 2016 - 19:40

Via Zamboni 36 (foto Zic)La biblioteca di discipline umanistiche in via Zamboni 36, quella giuridica intitolata ad Antonio Cicu al civico 27, quella economica in via Walter Bigiavi, la sala studio di Palazzo Paleotti: sono i quattro spazi che l’ateneo ha deciso di tenere, strutturalmente, aperte fino a mezzanotte. Lo ha annunciato oggi il rettore Ubertini. Fin qui una buona notizia, in particolare per fuorisede e studenti lavoratori. A lasciare perplessi è la decisione di attrezzare le tre biblioteche di settore con tornelli e controllo degli accessi (per Palazzo Paleotti è già così). In particolare per il “trentasei”, occupato per lungo tempo negli anni novanta, da sempre storico luogo di incontro e socializzazione politica antagonista che vive di libero accesso e scambio, un passaggio tutt’altro che indolore.

C’è un precedente, risale a giusto dieci anni fa. L’Ateneo montò i tornelli, intenzionato a limitare l’accesso agli iscritti delle facoltà di riferimento: ben presto, però, gli studenti ‘convinsero’ i dispositivi a smettere di funzionare. Quel che avvenne il 27 aprile 2006, mentre era in corso un pranzo sociale davanti alla mensa di piazza Puntoni (già allora la più cara d’Italia), i collettivi universitari dell’epoca, che già avevano diffuso volantini contro i varchi all’ingresso, lo raccontavano così: “A completare questa giornata di lotta e di socialità, di conflitto e di contrinformazione, è arrivata la notizia che i lettori dei badge di via Zamboni 36 hanno finalmente raccolto il nostro appello sospendendo il servizio. Una bella notizia, che spezza quel meccanismo di controllo sociale che il check-point all’ingresso del 36 stava iniziando ad alimentare, e che contribuisce a garantire a tutti il diritto allo studio, permettendo un libero accesso alla biblioteca e alle sale studio del 36”.

E a proposito di mensa, dato che a distanza di un decennio i problemi permangono irrisolti, oggi il Collettivo Universitario Autonomo ha dato il via alla ‘settimana di autoriduzione permanente’: “Da circa un mese – scrivono gli studenti – in concomitanza con l’apertura della campagna ‘Mo’Basta’ centinaia di studenti e studentesse dell’UniBo stanno prendendo parte ad una mobilitazione contro il caro-mensa, autoriducendo periodicamente il pranzo alla mensa universitaria abbassando la quota per un pasto completo da 6 a 3 euro. La mobilitazione ha consentito non soltanto di poter pranzare in mensa ad un prezzo dignitoso nel corso delle giornate di lotta, ma ha permesso a tutti gli student*  di lanciare un segnale forte alla governance Ubertini e ad Er.Go: sei euro per mangiare in mensa sono decisamente troppi. E il Rettore Ubertini intanto cosa fa? L’abbiamo visto impegnato ad accogliere con abbracci e strette di mano a politici come Salvini e Borgonzoni… mentre  il tempo per trovare soluzioni ai bisogni e alle necessità dei suoi studenti non ci sia. La situazione in mensa diventa sempre più inaccettabile ma qua nessuno demorde,  e ci si continua a mobilitare e ad autoridursi i pasti. Una mensa che non solo raggiunge prezzi esorbitanti, ma che si è dimostrata teatro di condizioni lavorative inaccettabili, tanto che la settimana scorsa  le lavoratrici ed i lavoratori hanno messo  in campo una giornata di sciopero duro contro la multinazionale Elior che lucra sul servizio della mensa, sfruttando lavoratori e studenti”.

“Stanchi di aspettare i lunghi e silenziosi tempi del rettore – continua il Cua – abbiamo deciso a partire da oggi, Lunedì 23 Maggio, l’inizio di una settimana di autoriduzione permanente per ogni giorno della settimana. Vogliamo far sapere alla giunta universitaria che non abbiamo la minima intenzione di fermarci sino a che non arriveranno delle risposte concrete. Il rettore dell’’apertura’ e del ‘diritto allo studio’ deve assumersi la responsabilità di ascoltare gli studenti che da tempo si stanno mobilitando, in autonomia, senza sentirsi rappresentati da quei sindacati oppure associazioni elette solo dal 12% degli studenti. Abbiamo dato tempo al rettore, Martedì scorso avrebbe dovuto dare una conferma per un eventuale tavolo…temporeggiando, ora siamo noi che all’interno di questa settimana ci recheremo da lui. Mercoledì il pranzo autoridotto lo faremo da asporto per consumarlo in rettorato, invitando il caro rettore a vedere ed accorgersi dei suoi studenti mentre devono mettere in campo autoriduzioni per accedere ad un pasto. La mobilitazione sulla mensa non si fermerà sino a che tutte e tutti gli studenti avranno la possibilità di accedervi ad un prezzo dignitoso! M0′ basta!”.

Per finire, dalla campagna Noi Restiamo arriva una riflessione sui docenti dell’Ateneo che hanno deciso di mobilitarsi per sostenere la riforma costituzionale voluta dal Governo: “Dopo la recente campagna in difesa di Panebianco, contestato dagli studenti per i suoi editoriali guerrafondai, questa settimana una cinquantina di professori dell’Unibo ha nuovamente utilizzato lo strumento dell’appello pubblico in soccorso al regime, questa volta per schierarsi a favore del sì al referendum. Le scarne motivazioni della scelta, a dire il vero molto poco ‘accademiche’ nei toni e nella superficialità che ne traspare, evidenziano la preoccupazione di questi autorevoli personaggi per la governabilità del paese, eletta a stella polare della controriforma costituzionale necessaria per mantenere il controllo sulla società della crisi. Sotto le mentite spoglie di una scelta neutrale, ancora una volta ammantata dell’intoccabilità che si cerca di conferire al sapere ‘tecnico’, traspare chiaramente il servilismo intellettuale ed il funzionalismo ideologico rispetto a quelli che oggi sono i centri di potere dominanti: la centralizzazione autoritaria del potere ed una procedura più spedita di approvazione delle leggi, che elimini ogni possibile rallentamento in un parlamento già svuotato, realizzano la necessità di approvare decisioni calate dall’alto (Bruxelles, Francoforte e Berlino), nella maniera più veloce possibile. Come recentemente dimostrato anche in Francia, l’autoritarismo liberale non necessita più del dibattito parlamentare e di quei presidi democratici fissati dalla lotta di liberazione antifascista, recintati e distorti sin dal dopoguerra, ma oggi definitivamente soggetti all’eliminazione auspicata nella famosa dichiarazione della banca d’affari internazionale JP Morgan già nel 2013. Per il governo ogni sostenitore è buono per essere tirato sul carro in questa decisiva operazione, e la spaccatura tessuta dal Pd proprio a Bologna tra le fila di un notoriamente ambiguo Anpi è stata nei giorni scorsi una buona rappresentazione di questa corsa alla coscrizione. Mentre sempre più il progetto del Partito della Nazione vede convergere attorno a sè gli interessi dei poteri forti lungo la penisola, allo stesso tempo si sta ampliando la forbice che lo separa dal consenso di massa, come confermano le contestazioni sistematicamente represse che accompagnano le visite di Renzi in ogni città. Pertanto anche la possibilità di apporre al taschino la spilletta dei valori partigiani torna in soccorso di chi ha bisogno del maggior consenso possibile per portare a termine le decisioni del governo più autoritario della recente storia italiana. In tal senso si comprende cosa abbia spinto il ministro Boschi a non provare imbarazzo quando nei giorni scorsi ha accostato tutti gli oppositori del Pd ai fascisti di Casapound”.