Culture

Culture / L’arte che non si consuma

Dopo la conclusione della kermesse di arte più popolare (e commerciale) d’Italia, una riflessione su ciò che di interessante abbiamo visto e sul valore (non commerciale) dell’arte.

04 Febbraio 2016 - 17:25

(foto Simona De Nicola)di Simona De Nicola

Si sono finalmente spenti i riflettori sulla Bologna città del mercato dell’arte, con la conclusione lunedì di Arte Fiera, la kermesse internazionale di arte moderna e contemporanea.

Nello sfavillio dell’arte mercificata e trasformata in oggetto economico, abbiamo sottoposto il nostro sguardo alla bellezza disciplinata e ritoccata per piacere al mercato: molto già visto, tanti nomi forti dell’industria dell’arte, qualche piacevole sorpresa.

Tra i tanti eventi, hanno richiamato la nostra attenzione alcuni progetti fuori dai circuiti ufficiali o, quando pienamente riconosciuti a pieno diritto parte del baraccone Arte Fiera, dedicati a temi insoliti, scomodi, forse poco avvezzi per il pubblico che ci si aspetterebbe di incontrare in questo tipo di rassegne.

Ve li raccontiamo, perché ci piace pensare che l’arte vera non si consuma: non si consuma nel senso capitalistico del termine e non si consuma perché non esaurisce la sua funzione nel momento dell’esposizione, del successo decretato dalla critica e dal pubblico.

Il primo progetto “Dopo, Domani: Quattro atti sul lavoro”, dell’artista italo-libica Adelita Husni Bey, si concentra su un’immaginifica valutazione del possibile sviluppo del concetto di lavoro, un percorso di ricerca che abbraccia l’idea del futuro situato nel 2040. La ricerca dell’artista nasce da importanti riflessioni e quesiti sui cambiamenti nel mondo lavorativo in Italia e sulle sue modalità di sviluppo nei prossimi anni.
Come si lavorerà in Italia tra 25 anni?
In che modo il presente sta riformulando il rapporto tra le persone e il lavoro?
Che cambiamenti avverranno? Come li affronteremo?
Che effetto avranno le economie a basso costo marginale sull’occupazione?
Che rapporto avremo con il lavoro nella vita di ogni giorno? Quanto tempo libero avremo?
Con l’aiuto di un gruppo di 20 persone temporaneamente disoccupate o precarie individuate tramite open call, l’artista ha riflettuto sui possibili futuri cambiamenti del mondo lavorativo. I risultati di questa performance-assemblea saranno resi disponibili su una piattaforma online, visibile sul sito di onpublic.it, che renderà accessibili i materiali raccolti e costituirà elemento di monitoraggio sul tema del lavoro anche durante i mesi successivi, con il coinvolgimento di artisti e teorici impegnati nell’indagine di questo argomento.

Il secondo progetto, SetUp Contemporary Art Fair 2016, collaterale d’arte contemporanea indipendente, rivolge l’attenzione agli artisti emergenti e ai giovani.
Il nome stesso, SetUp, suggerisce la volontà di “predisporre le operazioni per il successivo avviamento di un sistema”; una scommessa per ripensare il sistema arte nella convinzione che si possa generare una sana “economia della cultura”. Una scommessa che si traduce anche nella scelta di affiancare a ogni artista in cartellone un curatore under 35: sebbene da un lato il rischio è che si crei l’ennesima occasione per sfruttare gratis il lavoro di studenti e laureati, d’altra parte è anche l’unico spazio in cui si affida totale responsabilità ai giovani che vogliono lavorare nell’industria dell’arte.
Tra le molte iniziative in calendario, Gateway ospita SetUp+ attraverso le opere di Chiara Giosia, in mostra nella Mediateca per tutto il mese di febbraio.
Texture è il nome del progetto artistico di Chiara Giosia, che indaga le caratteristiche sensoriali delle superfici, interrogando il modo in cui il nostro corpo si approccia all’arte per mezzo del tatto.

Infine segnaliamo “E pensare è sempre una condanna”, una mostra di quadri e fotografie a cura dello Studio Legale Marina Prosperi, da anni impegnato accanto ai migranti e agli sfrattati nella difesa dei fondamentali diritti a una vita degna, a una casa, alla libertà. Le immagini restituiscono l’orrore e la disperazione che nascono dalla privazione della libertà, come vincolo dell’essere umano in carcere e come sottrazione coatta del diritto ad abitare e di vivere. Un’indagine che abbraccia anche il più ampio tema della sofferenza dell’essere umano nella sua quotidianità, ora nella solitudine, ora nei contesti sociali delle città. Una denuncia per immagini di Paolo Dorigo, Aldina Mastroianni, Stefania De Salvador, Michele Lapini, Stefano Mariani e Roberto Taddeo. Per un giorno, il luogo deputato al diritto ha lasciato spazio all’arte e ha aperto le sue porte ai visitatori.

Questo è l’unico consumo che ci piacerebbe applicare alle opere d’arte: l’idea di qualcosa che possa nutrirci – e quindi che possiamo consumare – permettendoci di avvicinarci ai nostri quesiti fondamentali come esseri umani.