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Culture / Cercavo la fine del mare – Storie di migranti raccontate dai disegni dei bambini

Un libro che racconta quello che sta accadendo in Grecia nei campi profughi: “Una piccola luce che si accende nel buio nero in cui abbiamo nascosto i mostri – quelli che fuggono, che non sanno dove andare, che non sappiamo dove mettere”.

04 Maggio 2019 - 15:01

di Simona de Nicola

Non ricordo più come sono finita con questo libro tra le mani – a dirla tutta avevo tra le mani qualcosa di ancora più prezioso: la bozza del libro, prima che vada in stampa, con gli errori di battitura, i segni di taglio e quell’aria di tutto da divenire che hanno le cose belle, appena sbocciate e sull’orlo di fiorire.

Non me lo ricordo – sarà stata una connessione con questi elementi – il viaggio, il mare, le storie chi fugge così tanto e da così tanto tempo da non ricordare più il perché.

 

 

Il libro si apre con 3 parole – così essenziali da stridere.

Fanno il suono del cavallo – il selvaggio – che stringe il morso coi suoi grossi denti.

 

Dice:

A CHI RESISTE

 

Martina Castigliani è una giornalista ma quando nell’agosto del 2016 decide di partire per la Grecia non è per fare il suo lavoro.

Aveva sentito la terra tremare sotto i piedi – aveva vissuto quello che per molti è un “risveglio” – perché aveva avuto il lusso di guardare per la prima volta la guerra negli occhi. E di sopravviverle. L’aveva conosciuta nella sua versione domesticata, edulcorata, quella che viene a farci visita nelle nostre case, nelle nostre vite ignare, nel cuore della nostra pacifica Fortezza Europa.

Martina era a Parigi quando al Bataclan la danza e la musica divennero terrore, odio, guerra. “Noi bimbi dell’Occidente, svegliati nel cuore della notte al massimo da una piena del fiume Po, non siamo pronti a tutto questo. Io non sono pronta. Ho caviglie sottili e capelli che si rovinano quando si alza il vento. Ho il cuore debole e le vene profonde di chi non ha mai visto un ospedale”.

 

Cercavo la fine del mare è la storia di quello che sta accadendo in Grecia nei campi profughi: secondo le rilevazioni dell’UNHCR, nel 2015 oltre 856.723 persone sono arrivate via mare, provenienti soprattutto da Siria, Afghanistan e Iraq, con una percentuale minore da Congo, Palestina e Iran.

A dicembre 2018 si contano nella penisola ellenica 26 accampamenti ufficiali, 5 centri di riconoscimento e identificazione sulle isole minori e 1 al confine. Sono luoghi di reclusione, di povertà, in cui cibo, sicurezza e assistenza medica sono a livelli minimi, sempre a rischio di esplodere. Dove il lavoro dei volontari fa fatica ad assicurare una vita dignitosa alle persone che vivono nei campi, ma resta l’unica risposta a un’emergenza che l’Europa ha dimenticato in fretta, spenti i riflettori dei media.

Sullo sfondo di questa tragedia ci sono i greci, traditi dall’Europa quasi quanto i migranti, ma ancora capaci di gesti di grande umanità.

 

Questo libro è una piccola luce che si accende nel buio nero in cui abbiamo nascosto i mostri – quelli che fuggono, che non sanno dove andare, che non sappiamo dove mettere. Lì, dentro a quel buio, noi abbiamo perso la nostra umanità.

 

“In Grecia lo chiamano filotimo ed è il senso di ospitalità, lo spirito di chi apre le porte di casa tua e divide quello che fa con te. E lo fa anche se la crisi economica ti sta spezzando le gambe. È la tua resistenza, il tuo modo di ricordare, a te stesso e al mondo, che sei un essere umano”.

 

Attraverso i disegni di bambini e adulti che provano a restituire le loro storie indicibili con la grazia del gesto più innato nell’essere umano – il disegno – l’autrice prova a dare un volto agli invisibili.

Sceglie la forza del disegno – quel lasciar traccia che ci accompagna dall’alba dei tempi e che travalica lingue, età, costumi. Accoglie quell’impulso a raccontarsi, a lasciar traccia su questa terra, a non essere dimenticati.

 

“La notte di quando sono scappata da casa mia sembrava non finire mai. Le montagne erano così scure come se fossero un’unica cosa con il cielo. Ora ogni volta che mia figlia vede una cima, fosse anche solo una collina, si mette a gridare. Io le dico di stare tranquilla, che non faremo mai più un viaggio così lungo a piedi. Ma lei non crede più alle mie parole”. (Samia, 35 anni, Siria)

 

In questo lbro incontrerete Samia, Kayhan, Rami, Zeinab, Raia e il suo vestito rosso che fa una campana alla fine.

Onriva, Maher, Yassin e Kayhan, il musicista di Teheran che non vuole suonare più.

Incontrerete Dlônan, che ha scoperto l’infinito quella notte che il mare sembrava non finire mai, nascosto tra le braccia del padre

 

“Hai mai visto il mare? Intendo quel mare che bisogna attraversare per arrivare qui. Era come una pozzanghera, ma infinita. Non riuscivo a vedere la fine. Dietro alle braccia di mio padre cercavo di trovare con gli occhi la fine del mare”. (Dlônan, 8 anni, Iraq)

 

“Posso disegnare la casa di prima? In quella di adesso non ci sono le pareti”. (Ahmad, 5 anni, Iraq)

 

“Questa è la ricetta segreta della mia torta. Porta il mio nome perché l’ho inventata io.” (Maher, 38 anni, Siria)

 

“Questo sono io, ma vestito bene. La mia mamma oggi mi ha messo la maglietta da femmina, perché quelle da maschio erano finite. Speriamo che i bambini non mi prendano in giro”. (Kar, 7 anni, Afghanistan)

Questo è un libro che non voleva essere un libro, ma ci sono storie che vogliono essere raccontate e ti chiedono di sederti, ascoltare, farti forza.

Ci sono storie ostinate, testarde, resistenti.

Scalciano e sbuffano e stridono i denti – come i cavalli selvaggi messi al morso e sellati.

Ci ho impiegato quasi un mese per leggerlo – io che in genere se apro un libro è già finito.

Leggere questo libro è doloroso ma è necessario, un altro passo verso il risveglio: quello che ci permetterà di capire – oltre la cortina di odio e indifferenza che rende le nostre vite tranquille – che cosa sta succedendo nei nostri mari, su questa nostra terra, oggi, ai nostri fratelli e sorelle in fuga dalle guerre e poi rinchiusi nei campi profughi.

In seguito alla pubblicazione del libro c’è stato un fervido lavoro di diffusione nelle scuole, nelle associazioni, di confronto coi bambini e i ragazzi: “i più piccoli hanno le idee limpide e chiamano le cose con il loro nome. Dicono: la morte, la vita, la violenza, il dolore, lo stupro, le teste tagliate, i roghi per uccidere gli esseri umani, i talebani, i terroristi, i trafficanti, i gommoni, la fame, la sete. La paura. Loro non hanno dubbi, siamo noi adulti quelli che si confondono”.

E allora questo libro è necessario: per non confonderci, per dare un nome ai mostri, ai complici delle guerre, per dare un volto agli stranieri, agli invisibili.

Per evitare di scoprire, un giorno, all’improvviso, che i veri mostri eravamo noi, che non abbiamo fatto nulla per evitare che questo accadesse.

 

Cercavo la fine del mare. Storie migranti raccontate dai disegni dei bambini è un libro di Martina Castigliani pubblicato da Mimesis nella collana Eterotopie.

Lunedì 6 maggio alle 18, l’autrice sarà a Bologna nella libreria Trame Bookshop (via Goito, 3/c) per presentarlo e dialogare con i presenti.