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Coronavirus, prolungate le misure restrittive

Nidi, scuole e università chiuse in regione anche la prossima settimana, resta lo stop ai “significativi assembramenti di persone” mentre potrebbero essere allentati i vincoli sulle attività culturali. Salgono a 189 i casi positivi, i primi due a Bologna. Coordinamento Migranti: “In centinaia rimangono forzatamente ammassati in via Mattei”.

29 Febbraio 2020 - 16:31

Salgono a 189 i casi positivi di coronavirus in Emilia-Romagna: tra questi ci cono anche i primi due contagiati a Bologna. A riferirlo è la Regione, nel suo aggiornamento odierno. Rispetto a ieri pomeriggio, dunque, si parla di 44 pazienti in più. Premettendo che i dati provinciali si riferiscono non alla provincia di residenza, ma a quella in cui è stata fatta la diagnosi, nel complesso sugli attuali 189 casi positivi 119 sono rilevati a Piacenza, 35 a Parma, 19 a Modena, nove a Rimini, quattro a Reggio Emilia, due a Bologna e uno a Ravenna. Non si registrano nuovi casi di decesso, che rimangono due, mentre sono diventati 10 i pazienti in terapia intensiva. La maggioranza delle persone positive, riferisce la Regione, continua comunque a presentare “sintomi modesti, come un leggero rialzo della temperatura”, e più della metà sta seguendo il previsto periodo di isolamento a casa, senza bisogno di ricovero in ospedale. Sono 12 i pazienti asintomatici, mentre i ricoverati sono 79.

In vista della scadenza dell’ordinanza sul contenimento del virus, prevista per domani, la stessa Regione ha deciso di confermare la chiusura di nidi, scuole e università anche per la prossima settimana (lo stesso vale anche per Lombardia e Veneto). Una decisione assunta “sulla base del parere del comitato tecnico-scientifico nazionale”, ha dichiarato il presidente Stefano Bonaccini, aggiungendo che il team di esperti e il Governo “ritengono inoltre di dover aggiornare settimanalmente tale previsione sulla base dell’andamento della situazione epidemiologica”. Non è ancora detto che lo stop venga prorogato anche per le attività culturali. “Fermi restando i divieti per tutte le attività che determinano significativi assembramenti di persone, si sta valutando la possibilità per le attività culturali e di spettacolo di un accesso limitato e disciplinato, tale da salvaguardare le condizioni di sicurezza sanitaria delle persone”, ha detto Bonaccini. Se ne saprà di più in giornata. Dopo la riunione in videoconferenza tra Regioni e Governo, iniziata oggi pomeriggio, “riuniremo l’unità di crisi regionale per definire tutti gli aspetti del provvedimento del Governo e di quelli eventualmente da adottare in sede locale”, ha spiegato Bonaccini.

“Il Coronavirus non è uguale per tutti. Migranti e italiani, uomini e donne, tutti sperano di non ammalarsi. Politici e istituzioni non perdono però l’occasione per riaffermare quel razzismo che colpisce donne e uomini migranti come la peggiore delle epidemie”, afferma il Coordinamento Migranti in un comunicato, segnalando (tra diverse situazioni emerse in questi giorni a livello nazionale) anche alcune questioni che riguardano Bologna e la regione. “Nella democratica Emilia-Romagna, durante controlli di polizia, sono state platealmente imposte ai migranti mascherine sulla faccia, poco importa che nessuno di loro provenisse da zone ritenute a rischio”, segnala il Coordinamento. Inoltre “centinaia di migranti rimangono ammassati al centro di accoglienza di via Mattei– continua il comunicato- in seguito alle misure che negli ultimi mesi hanno smantellato il cosiddetto sistema di accoglienza diffusa. Sappiamo, come denunciato anche nel corso della manifestazione del 15 febbraio, che al Mattei sono ospitati centinaia di richiedenti asilo, che lavorano all’Interporto di Bologna, la fabbrica della logistica che non dorme mai. A quanto pare, pur di avere a disposizione una forza lavoro da poter reclutare quando serve, i protocolli sanitari possono anche essere sospesi per i migranti, i quali vivono in condizioni di assembramento forzato e quindi rischiano più degli altri di ammalarsi. Questo aggrava una situazione resa già insostenibile da documenti precari che rendono complicato e non sicuro l’accesso alle cure mediche per chi è da mesi in attesa dei giudizi delle commissioni territoriali dell’asilo. La produzione in massa di clandestinità, unico risultato delle leggi Salvini, ha poi messo migliaia di migranti nella condizione di aver paura di essere denunciati se si rivolgono alle strutture sanitarie. Senza parlare del fatto che in molti casi sono le donne migranti quelle che devono farsi carico di ‘politiche di prevenzione’ che, non potendo contare sui servizi pubblici, si basano sul lavoro di cura delle donne, salariato o gratuito, come sanno benissimo le moltissime lavoratrici che si sono trovate confinate in casa, o con un salario da fame, a causa della chiusura delle scuole e degli asili”.