Acabnews Bologna

Con l’emergenza aumenteranno le richieste per le case popolari

Lo segnala Acer. In città parchi aperti dal 4 maggio senza contingentamento. Coordinamento migranti: al Cas Mattei “sovraffollamento e continua esposizione al contagio”. Mujeres Libres danno aggiornamenti su accesso a Ivg. Laboratorio Salute Popolare attiva supporto psicologico in lingua dei segni. Coordinamento Precari/ie fa petizione: “Stabilizzate la scuola!”. Stagionali BolognaFiere: “Noi esclusi da ammortizzatori sociali”.

28 Aprile 2020 - 19:59

Il calo dei redditi causato dal Coronavirus provocherà un significativo aumento delle richieste e del numero di persone che entreranno nelle graduatorie per l’accesso alle case popolari. A dirlo questa mattina i vertici di Acer, l’ente per l’edilizia popolare, che nel frattempo ha stabilito che i termini per la presentazione delle attestazioni Isee -necessarie per determinare i canoni di locazione di chi abita nelle case popolari- saranno posticipati a giugno. Sul fronte degli affitti fra privati invece, con un accordo fra organizzazioni sindacali degli inquilini e proprietari è stato deciso che gli affitti a canone concordato potranno scendere anche al di sotto del minimo previsto dall’accordo in vigore dal 2017.

Intanto, l’amministrazione comunale ha annunciato che dal 4 maggio i parchi cittadini saranno tutti aperti e non vi saranno filtri per contingentare gli ingressi. E’ cambiata dunque la linea prefigurata alcuni giorni fa da Palazzo D’Accursio, che avrebbe previsto orari ridotti, precedenza a chi svolge attività fisica in solitaria e sanificazione dei giochi per bambini. Le aree giochi tuttavia, così come previsto dall’ultimo decreto firmato dalla Presidenza del Consiglio, rimarranno chiuse al pubblico.

Questo il bollettino odierno dell’epidemia: nel territorio bolognese ancora otto decessi e 70 casi di positività al Sars-Cov2, che salgono in tutto a 3897, di cui 366 nell’imolese (due in più di ieri). Complessivamente in Emilia-Romagna, a fronte di 172.589 (+7.610) test si contano 24.914 contagi dall’inizio dell’epidemia (+292), 3472 i decessi (+41), 12.003 i casi attivi (-222), 228 i ricoverati in terapia intensiva (-19), 6752 i pazienti risultati negativi in due tamponi consecutivi e dichiarati guariti (+321). Nelle altre province: 3918 a Piacenza (92 in più), 3122 a Parma (10 in più), 4593 a Reggio Emilia (8 in più), 3609 a Modena (31 in più), 909 a Ferrara (4 in più), 978 a Ravenna (8 in più), 877 a Forlì (nessun caso in più), 672 a Cesena (7 in più), 1.973 a Rimini (20 in più).

Dal Coordinamento Migranti arriva poi una nuova denuncia sulle condizioni all’interno del Cas di via Mattei: “Sovraffollamento in ‘casa’ e continua esposizione al rischio contagio sono la fase 2 dei migranti del centro di accoglienza Mattei. Esattamente come la fase 1. Lo stesso d’altronde si può dire di altri centri di accoglienza o di espulsione in giro per l’Italia e nei giorni scorsi nel Cas di Alpignano nel torinese e nel Cpr di Gradisca in Friuli i migranti hanno manifestato dopo che alcuni di loro sono risultati positivi al tampone. Dopo il sospetto caso di coronavirus, su cui non è mai stato fatto un tampone, anche a Bologna la denuncia dei migranti del Mattei continua, ma la prefettura e le altre istituzioni di questa città e regione fanno quello che gli riesce meglio: ricordare quanto l’Emilia-Romagna sia una regione accogliente e antirazzista, per poi lasciare le cose come sono. Parlare tanto per non fare niente. Ora però – dopo un’istanza legale presentata dall’Asgi al Tribunale di Bologna – non potranno continuare a ignorare la situazione. Il Tribunale ha infatti fissato un’udienza per martedì 5 maggio. È una data che indica un futuro ancora troppo lontano per chi vive da oltre due mesi con la paura di infettarsi perché è costretto a vivere in una condizione di sovraffollamento. Ma almeno la Prefettura, il Comune e la cooperativa che ha in gestione il centro entro sabato 2 maggio dovranno presentare al giudice informazioni dettagliate non soltanto sulle misure adottate per la prevenzione del contagio nel centro, ma anche sulla possibilità di individuare strutture alternative. Lo ribadiamo ancora una volta: il Mattei e gli altri centri vanno chiusi e i migranti ospitati in case!”.

Spiega ancora il coordinamento come “intanto però al Mattei si vive assembrati nelle camere e continuano gli abusi. Approfittando dell’emergenza Coronavirus, la Prefettura crede di poter trasformare il Mattei nel vecchio centro di detenzione: ai migranti che escono dal centro – sia per motivi di lavoro, sia per fare delle piccole spese – viene richiesto di firmare un foglio in uscita e al rientro, come se fossero ai domiciliari. Come se non bastasse, oltre al danno della limitazione della libertà, anche la beffa dell’espulsione. È infatti di qualche giorno fa la notizia di un migrante cacciato dal centro. Mourtada ha avuto un’opportunità di lavoro con Eurovo, un’azienda in provincia di Ferrara, a Codigoro. Con in tasca l’autocertificazione, è andato a fare il periodo di prova. Mourtada non è però riuscito a combinare gli spostamenti tra il Mattei e un posto di lavoro che con l’epidemia è ancora più lontano e difficile da raggiungere. Per tre giorni, per essere certo di ripresentarsi l’indomani al lavoro in orario, si è fermato a dormire a Codigoro. Così, tornato al centro, si è visto consegnare la comunicazione di espulsione dagli stessi operatori che lo avevano aiutato a stampare e compilare l’autocertificazione. Evidentemente, pur di rispettare le direttive della prefettura per cui chi rimane a dormire fuori dal centro viene espulso, la cooperativa ha ignorato la circolare ministeriale che qualche settimana fa ha stabilito che, per ovvie ragioni legate al controllo della pandemia, non possono essere espulsi dall’accoglienza i migranti che ne perdono il diritto. Non dubitiamo che la prefettura sia a conoscenza di quanto successo. Ma allora che cosa ha da dire? Pensa forse che l’affollamento si riduca espellendo i migranti che sono costretti a uscire per motivi di lavoro, così da non dovere dare risposte concrete al giudice il prossimo 5 maggio? Non lo sappiamo, sappiamo però che troppo spesso la limitazione della libertà dei migranti dipende dall’arbitrio delle istituzioni”.

Una nuova segnalazione dalle Mujeres Libres sul percorso per accedere all’interruzione volontaria in città: il collettivo femminista conferma che il servizio si svolge all’Ospedale Maggiore ed è invece sospeso all’Ospedale Sant’Orsola-Malpighi. L’accesso al servizio al Maggiore è diretto (non è quindi necessario prendere appuntamento), ed è attivo dal lunedì al venerdì, dalle 8.30 alle 12.30. La novità, spiegano le Mujeres Libres, è che “All’Ospedale Maggiore potrebbe non servire il certificato medico. Perché? Alcune/i operator* alle nostre ripetute chiamate ci hanno risposto che non è necessario presentare il certificato di gravidanza. In ogni caso ecco per voi anche qualche info sull’esame delle urine e il certificato di gravidanza: 1)Test delle urine. In farmacia: l’analisi delle urine in farmacia è la via più rapida per ottenere un test di gravidanza refertato, necessario per ottenere il certificato dal medico. Solitamente si consegna l’urina in farmacia entro le 9:00 del mattino e nel pomeriggio sarà pronto il risultato da ritirare. Il test di gravidanza è considerato un esame urgente. Dalle informazioni che abbiamo raccolto, circa molte farmacie ci hanno detto che i laboratori di analisi esterni a cui si appoggiano sono ancora chiusi, pertanto non riescono ad eseguire i test. Alcune farmacie garantiscono il servizio un unico giorno a settimana, perchè i laboratori hanno ridotto l’attività. Altre continuano a garantire il servizio tutti i giorni. Consigliamo di chiamare. Nb: Il test delle urine può essere effettuato anche attraverso il Servizio Sanitario Nazionale con prenotazione Cup, ma vi sconsigliamo questa strada che allungherebbe di molto i passaggi e la tempistica. 2)Certificato medico. Può essere firmato da qualsiasi medico, anche dal medico di base o dalla proprio ginecologa di fiducia. Si può richiedere al medico di attestare l’urgenza e saltare la settimana di riflessione. Se si preferisce ci si può rivolgere ai consultori. Tutti i consultori di Bologna sono attivi e accessibili, tranne il Poliambulatorio Reno, il cui reparto di ginecologia è stato temporaneamente spostato presso il Poliambulatorio Saragozza. Per ottenere il certificato, alcuni consultori richiedono necessariamente il test delle urine refertato (vedi sopra), altri ci hanno comunicato che, visti i tempi, non è necessario presentarsi con il test, provvederanno ad effettuarlo in loco. Consigliamo di chiamare per verificare. Inoltre, per accedere al consultorio è necessario telefonare e fissare un appuntamento, verranno chiesti indirizzo di residenza e data dell’ultima mestruazione. Attenzione: la difficoltà maggiore all’accesso è che i consultori ricevono chiamate per le prenotazioni solo in determinati orari, che variano da consultorio a consultorio, ma sono generalmente intorno alla pausa pranzo. Queste informazioni sono state raccolte direttamente da noi, ciò non esclude il fatto che possano esserci imprecisioni e lacune. In caso ne riscontriate vi chiediamo di comunicarcele all’indirizzo email viazambonifemminista@inventati.org e provvederemo ad effettuare le dovute correzioni”.

Conclude quindi il collettivo femminista: “Permettetici però una riflessione riguardo alle informazioni che abbiamo raccolto contattando il reparto di ginecologia dell’Ospedale Maggioere. Ci siamo rese conto che a persone diverse, in giorni diversi, sono state comunicate informazioni discordanti. Le segnalazioni non coincidono: a settimane alterne ci viene ribadito che si può accedere al servizio senza il certificato medico che attesta la gravidanza e prescrive l’Ivg! Questo ci ha spiazzate non poco: possibile che non ci sia un protocollo chiaro e definito? Possibile che a seconda di chi risponde al telefono rischiamo di slittare l’accesso di una settimana o più? O di dover girare sperando di trovare farmacie che ancora effettuano analisi delle urine o consultori che non abbiano sospeso il servizio di ginecologia? Noi continueremo a monitorare ma è necessaria chiarezza sulle procedure per evitare a chi necessita di abortire inutili passaggi o una pericolosa esposizione al contagio, oggi più che mai. Il diritto all’aborto dev’essere garantito appieno!  Vogliamo il superamento della legge 194, l’abolizione dell’obiezione di coscienza e della settimana di riflessione. Pretendiamo un maggiore utilizzo della RU486, la possibilità di aborto farmacologico a casa dopo sola consultazione da remoto e l’estensione della somministrazione dalla settima (49 giorni) alla nona settimana (63 giorni) gestazionale come nel resto di Europa. Sosteniamo l’appello di Pro-choice. Rete italiana contraccezione aborto, e vi chiediamo di dare massima diffusione. E ricordate: loro (i cattivi) non sono per la vita, sono contro la libera scelta, la nostra! Per qualsiasi dubbio, chiarimento, sostegno vi ricordiamo di contattarci! Noi ci siamo! Girls support girls!”.

Restando sulle segnalazioni di carattere sanitario il Laboratorio Salute Popolare di Làbas, che proprio ieri aveva annunciato la ripresa delle attività in vicolo Bolognetti, spiega oggi di offrire anche “insieme al team psicologico Mediterranea, in questo periodo di emergenza un servizio di supporto psicologico dedicato nella lingua dei segni (Lis). Il servizio è gratuito ed attivo tutti i giorni dalle 10.30 alle 19.30 ed è fornito grazie all’impegno e presenza di una interprete che coadiuva il lavoro dei nostri psicologi. È sufficiente contattare uno dei numeri” reperibili sulla pagina Facebook del Laboratorio “per prenotare un appuntamento”.

Passando invece alla situazione di lavoratrici e lavoratori precari nell’emergenza, il Coordinamento Precari/ie Scuola Bologna e Modena ha diffuso una petizione online indirizzata alla ministra dell’Istruzione, dal titolo “La scuola è di tutti e va stabilizzata”. Questo il testo: “In questo periodo difficile e particolare la scuola ha compiuto uno sforzo di adeguamento diffuso e tempestivo. Nessuno tra insegnanti, studenti e genitori era pronto per la didattica a distanza, ma, anche in mancanza di indicazioni ministeriali, noi docenti abbiamo volontariamente messo le nostre energie e il nostro impegno nello sperimentare tutte quelle forme che, sebbene riteniamo non garantiscano il fondamentale diritto all’istruzione e non possano sostituire la didattica in presenza, ci hanno però permesso di mantenere una relazione educativa e didattica con le classi anche in questa situazione. Se la scuola ha potuto compiere questo passaggio è stato anche grazie ai più di 150 mila insegnanti precari assunti a settembre, che come sempre hanno risposto alle esigenze lavorative al pari dei colleghi di ruolo. Per alcuni di noi la fase di emergenza non è stata indolore: in alcuni casi gli istituti hanno ritenuto che la chiusura delle scuole potesse giustificare il mancato rinnovo dei nostri contratti. In altri casi è stato il rientro improvviso del docente titolare che non ci ha permesso di proseguire nelle attività. Per qualcuno nonostante i decreti ministeriali (il decreto “cura Italia”, con l’art 121; la nota 392 del 18 marzo e da ultimo la nota 8615 del 5 aprile) non è stato comunque possibile essere nuovamente assunti. Alcuni di noi lavorano come precari da anni, in attesa che lo scorrimento della propria graduatoria ad esaurimento o di merito li porti al proprio turno per l’assunzione. Altri non hanno questo diritto e continuano a lavorare con contratti a tempo determinato anno dopo anno senza aver mai potuto nemmeno partecipare a una prova di selezione perché è dal 2014 (dopo l’infelice stagione dei Tfa) che non viene predisposto un percorso di accesso al ruolo. Altri ancora sono stati assunti ad anno già iniziato, scelti a caso da una pila di messe a disposizione”.

Continua il coordinamento: “Come ogni anno, il 30 di giugno la maggior parte dei nostri contratti scadrà e ci troveremo a fare ancora una volta la domanda di disoccupazione, andando ad aggiungerci alle migliaia di domande pervenute a causa dell’emergenza. Quest’anno, dopo un triennio, avrebbe dovuto esserci il nuovo aggiornamento delle graduatorie: gli iscritti avrebbero potuto cambiare provincia e riavvicinarsi a casa e ci sarebbero potute essere nuove iscrizioni, in modo da evitare un diffuso ricorso alle Mad come quello che si è verificato in quest’anno scolastico, soprattutto al Nord Italia. Inoltre quest’anno le graduatorie sarebbero diventate provinciali, semplificando le possibilità di lavoro sul territorio e alleggerire le segreterie già sotto organico di un compito molto gravoso. In questi mesi abbiamo sentito di nuovo il valore della scuola e sappiamo che, tra tutte le difficoltà, non possiamo permetterci di partire male o in ritardo a settembre. Anzi. Ci vorrebbero classi più piccole, maggiore cura, il doppio del personale. L’unica forma che permetterebbe di dare un valore al lavoro svolto e di riuscire ad iniziare l’anno prossimo con gli insegnanti in cattedra è un concorso per soli titoli, con prove in itinere e prova finale al termine di questo anno di prova, che permetta anche chi ha servizio solo su sostegno di completare la propria formazione. Invece la priorità della Ministra sembra essere quella di ostacolare la stabilizzazione dei precari con servizio, a cui teoricamente dovrebbero subentrare giovani precari con molta meno esperienza, ma soprattutto, con meno basi per poter reclamare qualsiasi forma di diritto alla stabilizzazione”.

“Come insegnanti – concludono le e i precari – ci sentiamo sviliti e arrabbiati di fronte alla retorica messa in campo in questo momento dal MIUR, che mentre disegna i contorni illusori di una ineccepibile scuola 4.0, ci lascia soli e senza indicazioni chiare sul proseguimento delle attività presenti e future. La scuola non è un parcheggio per i figli di genitori che devono tornare a lavoro, ma un’Istituzione dello Stato che ha una precisa funzione educativa. Questo le famiglie lo sanno e quindi chiediamo loro di sostenerci e di reclamare per i loro figli un’istruzione stabile e adeguata, che non può essere garantita da insegnanti che cambiano ogni anno. E’ necessario che vi sia un personale numericamente adeguato e posto in condizioni di lavoro serene e dignitose. Noi docenti siamo una parte, ma la scuola riguarda tutti. Di fronte all’hashtag ‘la scuola non si ferma’ non possiamo che rispondere che non è possibile continuare in questo modo e magari saremo proprio noi a fermarci, astenendoci dalla didattica a distanza e dallo svolgimento degli scrutini”.

Infine, lavoratrici e lavoratori Stagionali Precari di BolognaFiere hanno diffuso un comunicato in merito alla loro esclusione da “ogni forma di ammortizzatore sociale”. Questo il testo del comunicato: “Il contratto di lavoro stagionale è una particolare forma di contratto di lavoro a tempo determinato che si applica in alcuni periodi dell’anno e per specifiche attività legate alla stagione, settore turistico, agricolo e alimentare. Negli ultimi due anni le assunzioni di lavoratori stagionali sono aumentate in modo significativo questo per bypassare i vincoli che il decreto dignità ha posto all’utilizzo dei contratti a termine. In sostanza il contratto stagionale è un contratto precario non stabile per i lavoratori adatto alle necessità di flessibilità delle aziende. Il Decreto dignità ha lasciato invariata la norma contenuta nel Jobs act, che prevedeva la possibilità per i contratti collettivi nazionali di definire nuovi ambiti di applicazione del principio di stagionalità per il lavoro a tempo determinato cosicché si è assistito alla nascita di molteplici accordi in termini di stagionalità, sia a livello nazionale che aziendale, che hanno portato alla nascita degli stagionali nel settore Trasporto Aereo e nel commercio.Questi, tutti settori esclusi dal bonus previsto dal decreto Cura Italia, lavoratori resi stagionali dagli accordi sindacali ma che per l’INPS non lo sono, visto che considera stagionali i lavoratori del turismo, del settore termale e agricolo, attività tradizionalmente considerate stagionali. Lavoratori esclusi da qualsiasi forma di ammortizzatore sociale, che sono costretti a vivere oltre alla quarantena sociale la quarantena della fame. Ultimamente si è sollevato il caso degli stagionali dei trasporti, sono nate diverse pagine di denuncia della situazione, ma oltre a loro ci siamo anche noi ‘gli stagionali di Bolognafiere'”.

Lavoratrici e lavoratori spiegano che “in passato i nostri contratti erano contratti a tempo determinato ciclico verticale, poi un giorno sui nostri contatti è comparsa la dicitura contratto stagionale. A nostra insaputa, siamo diventati stagionali e l’atipicità della cosa è confermata dal fatto che oggi non sappiamo a quale ammortizzatore sociale fare riferimento. Il contratto di marzo ci è stato annullato causa Coronavirus, e questo oltre alla perdita economica legata al contratto annullato, non ci ha permesso di avere i requisiti per richiedere la Naspi all’INPS, che ci avrebbe permesso di avere un entrata fino a settembre, periodo in cui sarebbero partite a pieno regime le manifestazioni fieristiche. Attualmente alcune fiere sono state calendarizzate da settembre in poi, altre sono state annullate, si pensava di allungare le date delle manifestazioni per contingentare gli ingressi. Nel limite del possibile, si sta pensando e ci si sta organizzando per la ripresa, ma il futuro di noi ‘stagionali’ è incerto. Per i lavoratori di Bolognafiere, assunti a tempo indeterminato full time e i lavoratori assunti a tempo indeterminato part time ciclico verticale, che svolgono lo stesso lavoro di noi stagionali è stato richiesto il FIS (fondo di integrazione Salariale) fino a giugno, che data la situazione, supponiamo verrà prorogato, e se un’azienda ha attivato un ammortizzatore sociale non può fare assunzioni, quindi noi stagionali non potremmo essere chiamati a lavorare a settembre. Siamo preoccupati per la situazione attuale, poiché esclusi da qualsiasi ammortizzatore sociale e terrorizzati per il futuro perché non sappiamo se mai ritorneremo a lavorare. Per tale ragione abbiamo deciso di sollevare la questione e di mettere a conoscenza chi non lo fosse della situazione dei precari storici di Bolognafiere, alcuni con un’anzianità ventennale. Purtroppo, ci troviamo nel limbo, dimenticati dalla politica istituzionale nazionale e locale. La regione ha chiesto ai distretti fieristici di quantificare le perdite dovute allo spostamento delle manifestazioni e gli eventuali impatti, diretti o indiretti sull’occupazione. Speriamo tanto che BolognaFiere si ricordi che oltre ai lavoratori a tempo indeterminato ci sono anche gli ‘stagionali’ attualmente abbandonati da tutti. Chiediamo alla regione di intervenire sulle lacune del decreto Cura-Ialia o di farsi portavoce della situazione degli stagionali esclusi da ogni forma di sostegno, affinché siano inseriti accanto agli stagionali del turismo, del settore termale e agricolo. Non è giusto che a pagare il prezzo più alto siano sempre le categorie più deboli, categorie costrette a vivere oltre all’incertezza della precarietà, oggi in tempi di coronavirus l’umiliazione di non riuscire a portare la pagnotta a casa, credo che sia giunta l’ora di concederci giustizia sociale fino ad oggi negataci.