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Clima, protesta all’aeroporto: “La Terra non ha uscite d’emergenza” [foto]

In vista della mobilitazione di domani, attiviste e attivisti in tuta bianca si sdraiano nei locali del Marconi. Làbas: “Non si possono aumentare le emissioni di CO2, favorire le compagnie aeree che stanno investendo sulla costruzione di centinaia di aerei di vecchia tecnologia, senza passare su di noi”.

26 Settembre 2019 - 15:52

Flash mob al Marconi (foto Làbas)Flash mob questa mattina di attiviste e attivisti per l’ambiente allo scalo di Borgo Panigale. A 24 ore dal terzo sciopero globale per il clima, i manifestanti si sono sdraiati all’interno del terminal: “Non si può parlare di ampliamento dell’aeroporto senza fare i conti con l’impatto che questo ha sull’ambiente -scrive Làbas in rete- Non si possono aumentare le emissioni di CO2, favorire le compagnie aeree che stanno investendo sulla costruzione di centinaia di aerei di vecchia tecnologia, spartire i profitti di questo business, senza passare su di noi. Chi vive nelle città si ribella!. Fly down, rise up!”

Recita il testo del volantino che abbiamo distribuito in aeroporto: “La spia luminosa si accende e allacci la cintura di sicurezza, mentre l’aereo rolla osservi le istruzioni di emergenza sul retro del sedile di fronte a te: da dove esce la mascherina dell’ossigeno, come indossare il giubbotto salvagente, la posizione da assumere in caso di atterraggio di emergenza, le uscite di sicurezza. Dovrebbero fornirle anche a chi rimane a terra delle guide per sopravvivere all’emergenza, ma non ci sono mascherine d’ossigeno che escono quando l’aria della città si fa irrespirabile, cancerogena, contaminata da biossido d’azoto e pm10. Il giubbotto salvagente non ci salverà dal riscaldamento globale e dall’innalzamento delle acque”.

Continuano attiviste e attivisti: “Ma perché pensare a queste cose? Possiamo partire in vacanza ogni fine settimana e visitare ogni volta una città diversa, tanto i biglietti costano così poco e ci sono così tanti voli. I costi dei biglietti sono bassi perché i reali costi di questa smania di viaggiare per ogni dove in aereo sono redistribuiti a tutto il pianeta (i costi, non i profitti), in una catena di conseguenze che va dal quartiere vicino all’aereoporto, la cui quotidianità è impattata ogni 10 minuti dal rombo dell’aereo che sfiora i tetti delle case, alla città, che già aveva un aria irrespirabile e ora viene modellata come un enorme villaggio turistico fatta di buffet e case che diventano airbnb costringendo chi vive la città, per lavoro o studio, a far spazio ai turisti andando ad abitare lontano dai luoghi dove svolgono le loro attività, arrivando al pianeta intero con un’atmosfera ormai satura di CO2 che causa un surriscaldamento inarrestabile che è arrivato ad un punto di non ritorno. Non servirà raggomitolarsi docilmente per attutire il contraccolpo dell’atterraggio, anzi c’è da agire rapidamente e radicalmente. E non contro la singola persona che prende un aereo per spostarsi, ma contro un sistema che continua a promettere sviluppo infinito in un mondo con risorse finite, contro i club degli industriali che invocano l’aumento del traffico aereo da 8,5 milioni di passeggeri annui a più di 20, contro le compagnie petrolifere che continuano a estrarre i combustibili fossili invece di lasciare il campo alle energie rinnovabili, alle amministrazioni dei territori che viviamo, responsabili della salubrità delle nostre città, che mentre sorridono ai movimenti ambientalisti non si oppongono alle continue devastazioni che intaccano l’ecosistema”.

Si legge in conclusione: “Sul pianeta non c’è un uscita d’emergenza come sull’aereo, c’è invece un percorso difficile, resiliente, per contenere i danni e creare un nuovo equilibrio vivibile, per evitare che domani l’unico concetto di viaggio diventi la migrazione climatica che sta già avvenendo dalle zone tropicali e subtropicali nel resto del pianeta, con i relativi drammi e conflitti (chissà se la Groenlandia chiuderà i porti quando sarà il nostro turno di scappare verso climi ancora vivibili). È un percorso fatto di pratiche collettive e non individuali, come ci vorrebbero insegnare gli stessi che ci vendono benzina e plastica; è un percorso che non parla solo di giustizia ambientale ma anche sociale; è un percorso che dobbiamo fare insieme e ora. Ma intanto scusaci per il disagio, se sei appena arrivato a Bologna vai pure a farti i selfie sotto le due torri e a mangiare tigelle a prezzi spropositati a Fico; se stai partendo invece ti aspettano selfie alla Sagrada familia, alla statua della libertà o al London bridge; in Amazzonia i selfie non vengono bene per questioni di messa a fuoco, è già bruciato tutto. Ma ricorda che il luogo che vai a visitare, con percorsi programmati e standardizzati, è diventato una merce e tu non sei più un viaggiatore ma un fattorino”.