Acabnews Bologna

Chiudono anche nidi, materne e negozi

Ma restano aperte le attività produttive. Sullo stop alle scuole, Adl Cobas: “Alla classe politica poco interessa il futuro di ragazzi\e e bambini\e, ancora una volta le istituzioni sacrificano la scuola per il solo fatto che questa non produca PIL!”. Usb proclama sciopero sanità per il 26 marzo.

02 Marzo 2021 - 19:04

In arrivo nuove restrizioni per contenere i contagi da Covid-19. L’area metropolitana di Bologna sarà “zona rossa” dal 4 al 21 marzo, come deciso dalla
Conferenza dei sindaci riunita questo pomeriggio e annunciato dal sindaco Virginio Merola. Il provvedimento sarà adottato domani. Rispetto al “arancione rafforzato” già in vigore, i principali cambiamenti riguarderanno la chiusura anche di asili e scuole dell’infanzia e quella delle attività commerciali non essenziali.

Lo stop alle lezioni continua però a far discutere: “L’unica soluzione di fronte alla pandemia rimane la serrata delle scuole – scrive Adl Cobas – che dimostra come poco interessi alla classe politica il futuro di ragazzi\e e bambini\e e come ancora una volta le istituzioni politiche abbiano deciso di sacrificare la scuola per il solo fatto che questa non produca PIL. Eppure la pandemia ha manifestato chiaramente sia gli enormi problemi dell’edilizia scolastica con strutture spesso fatiscenti e ‘classi pollaio’, sia le condizioni di precarietà strutturale di alcuni lavoratori della scuola: a partire dagli insegnanti e dal personale ATA, per salire in una gerarchia di diritti a ribasso fino ai lavoratori e lavoratrici in appalto, come educatori/trici e operatori\trici delle mense, assunti da cooperative per mezzo di bandi emessi dalle amministrazioni locali. Ancora una volta è infatti proprio su questi lavoratori in appalto che si scaricano maggiormente gli effetti della chiusura delle scuole, attraverso la perdita delle ore e il rischio di una sospensione dei loro servizi. Alcuni educatori ed educatrici della provincia di Rimini hanno già segnalato, in diversi casi, il tentativo di alcune amministrazioni comunali e di alcuni Dirigenti scolastici di tagliare il loro monte ore con importanti ripercussioni sui loro stipendi, spingendo anche gli alunni\e disabili e con Bisogni Educativi Speciali verso la DDI. Abbiamo sempre sostenuto che la DDI non possa diventare una modalità sistematica e che con diverse disabilità sia difficilmente attuabile, anzi può risultare l’ennesima preoccupazione a carico delle famiglie. Pertanto continuiamo a specificare che la Regione Emilia-Romagna consente agli alunni disabili e con Bisogni Educativi Speciali di proseguire l’attività in presenza presso il proprio plesso scolastico. Nei corridoi scolastici il dibattito è aperto e c’è chi afferma che le scuole in presenza solo per gli alunni certificati possano trasformarsi in scuole speciali. Crediamo invece che la scuola non debba abbandonare nessuno ma assicurare la frequenza a tutte le disabilità e le fragilità, sulle quali non è possibile scaricare ancora una volta il prezzo di una nuova chiusura e dell’immobilismo istituzionale che non si è di certo premunito di assicurare il diritto all’istruzione e all’inclusione. Il rischio di trasformarla in “ghetto” si presenta nel momento in cui venga davvero attuata una selezione tra le disabilità, come i Dirigenti di alcune scuole stanno ragionando, consentendo così solo l’accesso ai ‘casi gravissimi’ per lasciare a casa situazioni di ‘gravità minore’. Il diritto alla frequenza scolastica in presenza deve essere assicurato a tutti gli alunni\e disabili e BES, con l’obiettivo di garantire loro il diritto alla scuola e la continuità relazionale con gli alunni della classe attraverso collegamenti online da scuola durante la DDI. Nel primo giorno di chiusura dei plessi c’è ancora troppa incertezza e molti educatori/trici non hanno ancora ricevuto chiare disposizioni sulla rimodulazione del loro servizio, perdendo di fatto ore di lavoro che non stanno effettuando e che non verranno retribuite dalle cooperative. Ciò che è certo è che alcuni Comuni con la complicità dei Dirigenti scolastici provino ancora una volta a non considerare il lavoro delle figure educative come centrale per una scuola davvero inclusiva, e a risparmiare sui diritti di questi lavoratori e dei disabili, che nella pandemia avrebbero ancor più bisogno di sostegno e servizi. A un anno di distanza dal primo lockdown non siamo più disposti ad accettare clamorosi tagli ai servizi, agli stipendi di educatori e educatrici e ai diritti degli studenti più fragili avallando così una divisione tra cittadini e lavoratori di seria A,B e perfino C. Per questo chiediamo a tutti i Comuni e in generale ai committenti dei servizi scolastici in appalto di garantire a tutti gli operatori e operatrici il riconoscimento del totale monte ore di lavoro sia che venga svolto in presenza sia che venga svolto in modalità a distanza. Chiediamo anche a questo ‘nuovo’ governo investimenti nell’edilizia scolastica che garantiscano salute e sicurezza per alunni\e e lavoratori\trici, più spazi per poter lavorare anche in piccoli gruppi e classi con un minor numero di studenti, stabilizzazione dei precari, nuove assunzioni e internalizzazione dei lavorator/trici in appalto e una decisa accelerazione del piano vaccinale che metta in sicurezza chi lavora nella scuola e chi la frequenta. Vogliamo iniziare a dare priorità ad un’altra scuola… in presenza, inclusiva ed attenta alle differenze di ognuno.”

Intanto, Usb ha proclamato  lo sciopero dei lavoratori della sanità pubblica e privata per il 26 marzo 2021: “Potenziare la sanità pubblica vuol dire rimettere al centro il diritto universale della salute fuori da ogni logica di mercato e di profitto per i privati”.

Spiega inoltre il sindacato: “A un anno dall’inizio dell’emergenza sanitaria, la situazione nella nostra Regione ed in particolare nella Provincia di Bologna è drammaticamente peggiorata. Ciò che già iniziava a trapelare dai media in queste settimane rispetto alla situazione negli ospedali, oggi viene confermato: le strutture ospedaliere non riescono a far fronte alla diffusione del contagio tanto che il Sant’Orsola ha sospeso le attività di medicina ordinaria ed il Maggiore ed il Bellaria l’hanno ridotta drasticamente per convertire posti letto e destinare il personale ai ricoveri Covid-19. Non solo, la gravità della situazione ha richiesto il trasferimento dei pazienti in altre città della Regione ed il ricorso alla sanità privata. Quanto sta accadendo in questi giorni riflette una gestione dell’emergenza sanitaria che si è dimostrata fallimentare e che scardina la retorica portata avanti dalla giunta regionale sulla capacità del modello sanitario emiliano-romagnolo di reggere difronte alla pandemia. Quello che emerge, infatti, è che in questo ultimo anno non siano state adottate soluzioni reali ed investimenti strutturali per potenziare la sanità pubblica e fare fronte sia all’emergenza sanitaria sia all’attività di cura ordinaria. Basti vedere infatti quali siano state le priorità nella nostra Regione, ossia offrire ingenti finanziamenti alla sanità privata e concedere le briciole a quella pubblica come l’assunzione di personale medico a tempo determinato. Scelte recenti, ma che sono in continuità con le politiche degli ultimi vent’anni: tagli di posti letto, chiusura di strutture ospedaliere, smantellamento della medicina territoriale e blocco della assunzioni che hanno prodotto l’indebolimento del sistema sanitario pubblico, oggi pagato a caro prezzo da pazienti e personale sanitario. La drammatica condizione delle strutture ospedaliere si colloca poi in uno scenario più ampio di incapacità e mancata volontà politica di adottare misure in grado di contenere la diffusione dei contagi, proponendo finti lockdown comodi solo a Confindustria e alle aziende e che impongono invece restrizioni individuali e attaccano i lavoratori, i precari ed i disoccupati in assenza di veri ristori e misure di sostegno al reddito adeguato. A riprova di quelle che sono le priorità politiche, solo pochi giorni fa, infatti, il Presidente Bonaccini, d’accordo con la posizione di Salvini, propagandava l’apertura dei ristoranti, salvo poi tornare indietro precipitosamente superato dai dati della pandemia. USB sostiene che oggi più che mai sia necessario un cambiamento radicale del sistema sanitario pubblico attraverso il recupero di posti letto ed il ripristino delle strutture abbandonate, attraverso un piano di assunzioni stabili di personale sanitario, la ri-pubblicizzazione dei servizi sanitari e socio-sanitari ed il potenziamento della formazione sanitaria”.