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Che fine farà il Centro Diurno di via del Porto?

Rischia di arrivare presto l’epilogo per uno dei più longevi servizi a bassa soglia in città. Potrebbe sostituirlo il dormitorio Beltrame, già sovraccaricato dalla concentrazione di troppe funzioni, o finire in estrema periferia.

18 Giugno 2013 - 10:35

La voce della chiusura del Centro Diurno di via del Porto 15 circolava già giovedì 13 giugno, nel cortile del Centro Beltrame, durante l’appuntamento per il primo anno del “Condominio Sabatucci”. A salutare l’evento e a rimarcare l’importanza di questa iniziativa di solidarietà sociale, oltre agli ospiti del dormitorio, agli operatori e ai volontari delle associazioni, c’erano anche rappresentanti del Comune di Bologna, del Quartiere San Vitale e dell’Asp Poveri Vergognosi. A fare i complimenti e a dare pacche sulle spalle alle Istituzioni costa poco, purtroppo, per chi dovrebbe gestire il welfare municipale, è molto più difficile portare avanti atti concreti verso le persone in difficoltà.

Queste cose sono state dette anche da un attivista di Vag61 che ha ricordato come continuino ad essere molti gli uomini che dormono davanti al dormitorio comunale, in attesa che si liberi un posto letto, o nel cortile del centro sociale. E che l’esperienza del Condiminio Sabatucci è sì importante, ma è bene non scordarsi che ci sono degli operatori che sono in cassa integrazione a causa dei tagli effettuati dal Comune.

Pur non prendendo la parola dal microfono, il disagio dei “lavoratori del sociale” è stato più volte sottolineato nei capannelli che si sono formati. E’ in uno di questi che è uscita la notizia dell’imminente chiusura del servizio di via del Porto, rivolto alle persone che vivono in strada in condizioni di disagio o in strutture di accoglienza notturna.

E’ ormai dal 2010 che si parla dell’epilogo di questo che è uno dei più longevi punti di riferimento a bassa soglia per adulti in difficoltà. Negli anni precedenti la struttura era stata progressivamente depotenziata con la cessazione dei laboratori e di diversi progetti di reinserimento. La mensa sociale che vi trovava sede aveva cambiato la sua natura. La vecchia mensa comunale di via del Porto, in passato, era stata una parte importante del sistema degli interventi sociali approntati dall’amministrazione comunale, nell’ambito delle politiche di sostegno alle persone adulte in condizioni sociali ed economiche gravi. La mensa comunale costituiva un punto di riferimento nel circuito dell’assistenza cittadina, un luogo centrale “protetto” dove potevano consumare i pasti gli utenti in carico al Servizio Sociale Adulti e ai Servizi Sociali di quartiere. Dove, accanto alla distribuzione del pranzo, si era costruito un luogo di incontro e di socializzazione tra persone di provenienza diversa.

Poi venne fuori la teoria che, nell’area delle povertà estreme, andava superata la “logica dell’emergenza e della sussistenza” e il modo migliore (alquanto bizzarro) per portare avanti questo presupposto era tagliare o chiudere i servizi.

Così la mensa comunale, come servizio, venne chiusa (un assessore giustificò la scelta sostenendo che tra i senza fissa dimora c’erano troppi obesi) e il suo ruolo fu sostituito da un “insieme di soluzioni diversificate a seconda del tipo di utenza”, mantenendo transitoriamente un “servizio di distribuzione dei pasti per un numero limitato (55) di utenti inviati dai servizi sociali territoriali”.

Nei locali di via del Porto 15 venne aperto, in via sperimentale, un Centro Diurno per adulti in difficoltà, con l’obiettivo dichiarato di “favorire l’aggancio con i servizi territoriali competenti, al fine di intraprendere percorsi di fuoriuscita dalla condizione di marginalità”. Il servizio aveva la funzione di offrire un luogo di accoglienza pomeridiana dove poter svolgere attività laboratoriali e di intrattenimento. L’apertura del Centro era prevista tutti i giorni dell’anno, dalle 10 alle 18.
L’accesso era diretto dalla strada e la capienza massima era valutata in 80 persone.

Gli operatori che conoscono l’attività del Centro Diurno dicono che, da diversi mesi, si ha la sensazione che l’amministrazione comunale e l’Asp Poveri Vergognosi che ha la responsabilità della gestione del servizio, attraverso una convenzione con una cooperativa, stiano progressivamente “indebolendolo”. I locali di via del Porto 15 non sono in buone condizioni. In tutto lo stabile, nei mesi scorsi, sono stati vuotati gli appartamenti “sociali” che si trovano ai piani sovrastanti il Centro.

Nel frattempo, l’Asp Irides (che è proprietaria dell’immobile), in partnership con il Comune di Bologna, sta cercando un soggetto privato per attivare un progetto di cohousing in città.

Che fine farà il Centro Diurno e soprattutto dove verranno sbattuti i suoi utenti?

Una prima ipotesi sembra essere il vecchio, immarciscibile, Beltrame di via Sabatucci, la struttura delle strutture. Già dormitorio pubblico, a cui è stato aggiunto il servizio di asilo notturno, chiuso in via Lombardia, e la sala multifunzionale, il servizio docce e cambio vestiario per “utenti da bassa soglia”. Chi ci lavora teme una ghettizzazione della struttura, la concentrazione di una serie di problematiche gravi. E, nel frattempo, gli operatori continuano a fare cassa integrazione a rotazione.

Tra le altre congetture si parla anche del trasferimento del Centro Diurno in via Pallavicini, nel’ex Centro di accoglienza dove questo inverno è stata aperta una residenza per il piano freddo. Se questa idea fosse intrapresa sarebbe demenziale, in quanto è risaputo che i senza fissa dimora sostano nelle zone centrali della città e un Centro nella periferia estrema rischierebbe di non essere utile per la funzione che dovrebbe svolgere.

La cosa ancor più demenziale è che scelte di questa importanza siano fatte dal Comune e dalle ASP senza mai coinvolgere i lavoratori dei servizi e gli utenti. Ormai l’agire di soppiatto è la massima forma di partecipazione che questa scarsissima giunta comunale sia in grado di attivare. E poi si meravigliano e si offendono quando qualcuno denuncia il rischio di chiusura o di tagli dei servizi di welfare.

Noi non vogliamo portare sfiga, ma quando abbiamo denunciato questi pericoli, abbiamo sempre colpito nel segno. Non vorremmo che fosse così anche in questo caso.