Opinioni

California / Lo sciopero della fame dei detenuti e la guerra ai poveri negli Stati Uniti

Riceviamo da Connessioni Precarie e pubblichiamo questo report sulla lotta dei detenuti delle carceri californiane, con un’interessante analisi del sistema carceraria statunitense e dei punti di rottura agiti dalle lotte anticarcerarie.

15 Agosto 2013 - 10:18

Lo sciopero della fame dei detenuti e la guerra ai poveri negli Stati Uniti

Più di un mese fa, l’8 luglio, oltre 30 mila carcerati delle prigioni californiane (lo Stato con più prigioni e prigionieri pro-capite del pianeta) hanno cominciato uno sciopero della fame. Dopo oltre 37 giorni, nonostante numerosi tentativi di impedire lo svolgimento della protesta, centinaia di prigionieri, principalmente quelli rinchiusi nelle Secure Housing Units (SHU, il regime d’isolamento), stanno continuando a portare avanti la protesta per il miglioramento delle condizioni nelle carceri. Li sostiene una rete di solidarietà che parte dalle famiglie dei prigionieri e include anche attivisti della sinistra radicale, community organizers, residui di #occupy e cristiani di base. Le cinque rivendicazioni fondamentali sono semplici e mirano a ottenere risultati concreti nel breve periodo, mentre allo stesso tempo mettono in discussione tutto il sistema carcerario californiano:

– La fine delle punizioni collettive e degli abusi amministrativi

– L’abolizione delle politiche di debriefing (cioè le forme di ricatto nei confronti dei prigionieri per ottenere informazioni sulle gang, mettendo loro e le loro famiglie in pericolo) e delle modalità di etichettare dei prigionieri come attivi in gang, una delle giustificazioni principali per l’isolamento di molti prigionieri.

– Eliminazione dell’isolamento a lungo termine, adempiendo alle raccomandazioni della US Commission on Safety and Abuse in America’s Prisons del 2006, mai applicate.

– La garanzia di cibo adeguato e nutriente, e la possibilità per i prigionieri di comprare supplementi vitaminici.

– Espandere e migliorare privilegi e programmazione costruttiva (visite, telefonate, accesso a libri, strumenti culturali e artistici, accesso alla formazione ecc.) per i prigionieri rinchiusi nelle SHU.

Il primo segnale di questa mobilitazione è arrivato nella primavera del 2011, quando un centinaio di prigionieri nel carcere di Pelican Bay (una delle quattro strutture nello Stato della California che ospita SHU; le altre sono Tehachapi, Folsom e Corcoran) hanno contattato alcuni attivisti e attiviste informandoli che stavano per entrare in sciopero. Lo sciopero della fame si è allargato velocemente, finendo per includere quasi 7 mila prigionieri. La California Department of Corrections & Rehabilitation (CDCR) si è impegnato per riformare alcuni aspetti del sistema, con attenzione speciale alle SHU. Il venir meno a questo impegno ha portato alla formazione della coalizione (guidata dai prigionieri) e alla formulazione delle rivendicazione base.

Le rivendicazioni mirano ad attaccare lo strumento dell’isolamento, in quanto forma di tortura e in quando meccanismo di rafforzamento delle ingiustizie quotidiane del sistema carcerario californiano. Esse sono il paradigma dei processi che negli ultimi 3 decenni hanno trasformato gli Stati Uniti nel paese con più incarcerati o monitorati pro-capite del pianeta (più di 7 milioni rinchiusi nelle carceri o sottoposti a regimi di sorveglianza). Questi tre decenni sono stati segnati dal progressivo smantellamento del welfare sociale, dall’inasprimento delle pene minime per reati non-violenti e contro il patrimonio, dal boom della costruzione di nuove carceri (settore sempre più privatizzato o attraversato da interessi privati) e dalla War on Drugs. Una guerra vera e propria, che ha massacrato le comunità più proletarizzate degli Stati uniti, in particolare quelle of color, afroamericani, ispanici, nativi. In California ci sono circa 120 mila incarcerati (di cui 10 mila in regim i di isolamento), quasi il 60% dei quali appartenenti alle comunità latino, afroamericane, indigene e asiatiche. Dal 2006 lo Stato della California ha iniziato un processo di «riallineamento», per ridurre i costi economici prodotti nei due decenni precedenti, durante i quali la popolazione incarcerata era aumentato del 500%. Il numero di prigionieri si è effettivamente ridotto, ma molte carceri rimangono sovraffollate al 200% e questo impone allo Stato della California di esportare prigionieri in altri Stati. Una guerra che colpisce direttamente e indirettamente le donne: sono quasi 12 mila quelle rinchiuse nelle prigioni californiane (più che in qualsiasi altro Stato), e la California ospita le due strutture carcerarie femminili più grandi del pianeta, entrambe a Chowchilla. A luglio, un report del Center for Investigative Reporting ha rivelato che tra il 1997 e il 2010 quasi 250 donne sono state sottoposte a interventi di sterilizzazione, sotto la pressione dell’amministrazione carceraria.

Le enormi ingiustizie del sistema carcerario californiano e statunitense rappresentano sicuramente un’evidente violazione della dignità umana, ma queste ingiustizie (come pure la lotta contro di esse, compreso lo sciopero della fame attuale) non sono analizzabili sotto un profilo meramente giuridico o dei diritti umani. A livello sociale e non solo statistico, il carcere negli Stati uniti rafforza le gerarchie razziali iscritte nella composizione di classe statunitense, si offre come complesso industriale in cui investire, e in molti casi sfrutta gli stessi carcerati direttamente come forza-lavoro. Il costo, umano, economico e sociale, sulle comunità coinvolte è enorme, e rappresenta una specie di guerra permanente del sistema giudiziario americano contro i suoi ghetti e le periferie impoverite e proletarizzate. La lotta anticarceraria negli Stati uniti rappresenta una modalità di creare organizzazione dentro queste comunità, nelle quali ogni persona conosce o ha almeno un familiare in carcere.

La risposta immediata della CDCR è stata quella di difendere il regime SHU, le politiche carcerarie rivolte alle gang e accusare le stesse gang di essere la regia occulta della mobilitazione. Questo tentativo di delegittimazione, e di abusi mirati a rompere lo sciopero (come sparare aria gelida nelle celle degli scioperanti) e stato accompagnato dal rifiuto totale di parlare con la «squadra di mediazione», composta da familiari e attivisti. Il 22 luglio è morto Billy Sell, detto Guero, rinchiuso nel carcere di Corcoran. Diversi prigionieri e attivisti hanno attribuito la sua morte allo sciopero della fame, ma la CDCR si è affrettato ad archiviarla come un «semplice» suicidio. Non è chiaro se le dichiarazioni di Eric Holder, Attorney General degli Stati Uniti, che il 12 Agosto ha annunciato l’intenzione di riformare le leggi sulle sentenze minime per ridurre il sovraffollamento carcerario, avranno un effetto sulla negoziazione. Quello che è sicuro è che queste riforme (se mai ci saranno) sono emerse per risolvere la contraddizione del sovraffollamento, effetto collaterale di un sistema giuridico ancora molto legato alle gerarchie etniche e di classe su cui è stato fondato. La contraddizione sollevata dei prigionieri in lotta, dalle loro famiglie e dalle comunità da cui provengono va ben oltre, e richiede soluzioni che a loro volta vanno ben oltre la riforma del sistema carcerario.

Sean Patrick Casey

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