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Bosnia / Le voci dei migranti bloccati ai confini dell’Europa [video]

Siamo stati nel paese balcanico dopo lo sgombero del campo rifugiati di Vučjak. Nell’articolo le testimonianze di chi tenta l’attraversamento della frontiera con la Croazia, la stessa con cui si entra nell’Unione Europea, venendo spesso respinto, derubato dei beni personali e picchiato.

22 Dicembre 2019 - 17:23

Siamo stati in Bosnia Erzegovina subito dopo che lo scorso 10 dicembre il campo dei rifugiati di Vučjak, nei pressi della città bosniaca di Bihać, è stato sgomberato. Al suo interno avevano trovato temporaneo riparo almeno 700 persone, provenienti principalmente da Afghanistan, Pakistan, Iraq e dal nord Africa, giunte lì in attesa di continuare il percorso che corre lungo la rotta balcanica del sud, cioè attraversando Turchia, Grecia, Albania, Montenegro e Bosnia, per poi passare da Croazia e Slovenia e raggiungere i paesi dell’Europa occidentale.

Sarebbero circa settemila, secondo le stime delle organizzazioni internazionali presenti nella zona, le persone che si trovano nel cantone bosniaco di Una-Sana, nel nord della Bosnia, in attesa di poter oltrepassare il confine con la Croazia. Si tratta certamente di stime al ribasso, mentre persone appena arrivate nella zona stanno provando l’attraversamento del confine per la prima volta. Ciò che sta emergendo come una crisi umanitaria è il tema dei respingimenti messi in atto dalla polizia croata ai danni dei migranti: fra le persone con le quali abbiamo avuto la possibilità di parlare, tutti hanno affermato di essere stati respinti con metodi violenti e pestaggi, di essersi visti sottrarre illegalmente denaro e distruggere capi di vestiario, telefoni cellulari, tende da campo. Molti hanno superato la frontiera più di quattro o cinque volte: per tutti quelli che vengono presi dalla polizia, i soprusi si ripetono ad ogni tentativo di entrare nel paese che rappresenta il nuovo confine dell’Unione Europea.

Due i confini naturali che i migranti provano a superare per raggiungere la Croazia: da una parte un valico di montagna vicino alla città di Bihać, dall’altra l’attraversamento del fiume nei paraggi di Velika Kladuša, cittadina sul confine a nord della Bosnia.

Abbiamo raccolto alcune voci dei giovani (quasi nessuno di loro ha già compiuto trent’anni) che stanno tentando quotidianamente di raggiungere Germania, Francia, Italia, Inghilterra e Spagna. Nelle video-interviste i nostri interlocutori hanno parlato in un inglese comprensibile con una conoscenza base della lingua. Non le abbiamo tradotte per intero, ma per ciascuna di esse abbiamo riportato una sintesi scritta di alcuni messaggi contenuti nel video.

> La prima videointervista:

Due famiglie con bambini, provenienti da Afghanistan e Iraq, raccontano di avere appena subito un respingimento, uno di loro è stato picchiato sulle gambe: “La polizia croata ci ha preso e caricato sulla macchina. Ci hanno riportato al confine, hanno respinto donne e bambini e hanno trattenuto gli uomini e li hanno picchiati, poi hanno respinto anche loro. Ci hanno preso i telefoni, le tende per dormire, tutto. Ci deportano, ma perchè devono anche picchiarci?”.

> La seconda videointervista:

Sabih, 28 anni, nato in Pakistan, dice: “Le organizzazioni internazionali stanno tutte dicendo che subiamo dei trattamenti disumani da parte della Croazia, ma io domando agli europei: ‘Chi sta pagando la Croazia per respingerci?’ L’Unione Europea da una parte vuole mostrare sui media che fa pressioni sulla Croazia per smettere con questi trattamenti, ma dall’altra li sta finanziando. I governi europei sono gli unici responsabili per quello che sta accadendo”.

> La terza videointervista:

Muhammad Alì viene dal Pakistan e vive da tre mesi con altri ragazzi nei pressi del confine che passa lungo il fiume, a Velika Kladuša: “Ho tentato di attraversare quattro volte per raggiungere l’Italia, la polizia mi ha sempre preso e picchiato. Il confine si trova a cinqucento metri. Quando ci deportano, ci buttano nel fiume”.

> La quarta videointervista:

Ancora Muhammad Alì mostra dove avvengono le deportazioni lungo il fiume che rappresenta il confine fra Bosnia e Croazia.

L’uomo ritratto nella fotografia qui sopra è invece Jafar, che ha cinquantadue anni e viene dall’Algeria. Insieme a un’ampia comunità di persone provenienti dal nord-Africa abita in una vecchia fabbrica abbandonata ancora nei pressi di Velika Kladuša. Ci ha raccontato di aver attraversato molti paesi, essendo partito molti mesi fa partendo dall’Algeria con un volo e raggiungendo la Turchia. Da lì ha percorso la rotta, senza avere problemi nei paesi che ha attraversato, ma una volta arrivato in Croazia è stato sempre respinto e racconta di avere subito gli stessi trattamenti raccontati da tutti. “Ho un figlio – ci racconta – in Francia, a Bordeaux. La Francia non mi consente di ottenere il visto per tornare lì, mio figlio non lo vedo da dieci anni. Ho chiesto all’ambasciata in Algeria ma non mi hanno mai dato il visto. Mi hanno consigliato di rivolgermi a degli avvocati, ma non mi era possibile. Vorrei solo tornare per stare con lui. Intanto, qui la vita è durissima, nei campi ufficiali molti di noi non vengono accettati, e al loro interno ci sono gravi problemi, è molto difficile viverci”.