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“Binxet”, storie attorno a “quel maledetto confine” tra Rojava e Turchia

In un documentario la testimonianza sulla guerra che Ankara fa al popolo curdo che, dopo aver cacciato l’Isis proclamando parità di genere e convivenza pacifica, resiste ai bombardamenti e continua a combattere.

13 Maggio 2017 - 12:37

Da una parte i miliziani di Daesh che sventolano le bandiere dell’Isis, dall’altra il governo di Recep Tayyip Erdoğan che attacca i villaggi sul confine con la Siria, in mezzo il popolo curdo del Rojava che resiste e porta avanti una rivoluzione. E’ questa la storia raccontata nel documentario “Binxet – sotto il confine” del regista e attivista Luigi D’Alife.

Il film è una preziosa testimonianza di quanto si sta consumando lungo i 911 Km del confine turco-siriano, dove il governo di Ankara sta costruendo un muro per impedire ai profughi l’accesso in Turchia arrivando a bombardare i villaggi curdi che rivendicano l’auto determinazione del loro popolo attraverso la convivenza pacifica.

Il Rojava è la regione a nord ovest a maggioranza curda che nel 2012, in seguito allo scoppio della guerra in Siria, si proclamò territorio autonomo decidendo di non appoggiare ne’ il governo di Bashar al-Assad ne’ l’esercito siriano libero. Nel gennaio del 2015, dopo quattro mesi di assedio da parte dei miliziani dell’Isis, il cantone di Kobane è stato liberato dai guerriglieri dello Ypg/Ypj. Oggi però, uomini, donne e bambini vengono uccisi dai colpi di fucile dell’esercito turco. E le famiglie restano separate da un confine che separa un popolo.

Tante le testimonianze raccolte nei villaggi, come quelle dei contadini ai quali è stato reso impossibile coltivare la propria terra perché espropriata dall’esercito. Ma anche, la denuncia dell’uso di armi chimiche al fosforo bianco sul villaggio di Nusaybin nel 2016 da parte dei turchi mostrata dai giornalisti di un’agenzia locale.

Ma la denuncia più forte arriva dai rappresentanti dei cantoni curdi, che sottolineano la responsabilità dell’Unione europea nei confronti del loro popolo da quando ha deciso di firmare l’accordo per la Turchia per il controllo della frontiera e la gestione degli ingressi ai profughi siriani.

Secondo l’osservatorio siriano per i diritti umani (Sohr), 171 persone sono state uccise dall’esercito nell’ultimo anno mentre cercavano di fuggire dall’Isis e dal regime di Assad. Di questi 31 erano dei bambini. Al numero dei morti ammazzati si aggiungono le centinaia di persone che sono state arrestate, torturate, e rimpatriate in Siria dalla Turchia.

Per poter raccogliere tutte le interviste, come quella esclusiva a Riza Haltun, uno dei fondatori del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) che da trent’anni vive in clandestinità sulle montagne al confine tra l’Iraq e L’Iran, il regista ha compiuto cinque viaggi nel corso dello scorso anno in Kurdistan.

E contro l’isolamento mediatico, sono in tanti i giornalisti e gli attivisti che si mobilitano, nonostante la guerra agli oppositori, per denunciare la violenza che sta subendo il popolo curdo.

Così il regista racconta la sua scelta di raccontare questa storia: “Negli ultimi due anni ho viaggiato per diverse volte nel Kurdistan diviso tra i confini di Turchia, Siria, Iraq ed Iran. Ho continuato a seguire l’evolversi della situazione in tut i territori del Kurdistan, ma con un occhio particolare a quel maledetto confine, che col trascorrere dei mesi ha mostrato in maniera sempre più chiara e netta la sua importanza strategica: è anche per quel confine che passano i disegni autoritari di Erdogan, è lungo quella striscia di terra che si sta giocando la partita più grossa nella guerra di liberazione contro Isis, è anche sul controllo e sulla chiusura di quel confine che poggia lo scellerato accordo per il controllo dei flussi migratori tra l’Unione europea e la Turchia”.

Il documentario con la voce narrante dell’attore Elio Germano, già in distribuzione in streaming o Dvd sulla piattaforma Open Ddb, sarà proiettato a Bologna nella sala del cinema Galliera di via Matteotti, martedì 23 maggio alle ore 21.00.

 

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