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Atlantide: “Disponibili a trasferirci”

Dai collettivi ok a individuare “uno spazio più ampio, che possa ospitare contemporaneamente assemblee e laboratori, senza costringerci a cambiare la trama della nostra storia”.

03 Marzo 2015 - 12:43

atlantide resisteAtlantide in viaggio, oltre le colonne d’Ercole

Dopo diciotto anni, le Atlantidee sono pronte a salpare, oltrepassando le colonne d’Ercole verso il cuore della città, lasciando la propria terra d’origine. Stiamo ancora esplorando i mari, alla ricerca dell’approdo che ci consenta di sviluppare tutti i nostri progetti. Quelli che da sempre coltiviamo quotidianamente e quelli che sono nati e cresciuti proprio durante la difesa delle storiche mura di Atlantide, grazie alle energie accumulate nella mobilitazione nazionale degli affetti e della complicità contro il nostro sgombero. A dispetto di chi ha tentato di cancellare la nostra esperienza e di chi, ancora oggi, vorrebbe vederci scomparire.

Le condizioni stabilite per il nuovo insediamento sono precise: uno spazio più ampio, che possa ospitare contemporaneamente assemblee e laboratori, senza costringerci a cambiare la trama della nostra storia; una volta individuato lo spazio adatto, il trasferimento avverrà solo se e quando sarà funzionale e accogliente; non ci saranno bandi e nessun albo o nessuna associazione ci faranno da interfaccia giuridica.

Negli ultimi mesi del frontale conflitto esploso tra noi, Comune e Quartiere Santo Stefano nel 2011, sono accadute molte cose, alcune delle quali hanno sostanzialmente rafforzato il piano politico sul quale abbiamo scelto da subito di orientare la nostra r/esistenza creativa.

L’Operazione bando è stata clamorosamente azzerata, facendo saltare con sé anche il piano del ricatto legalitario, magistralmente rappresentato dalle due ordinanze firmate dal Comune durante la scorsa primavera. Nel percorso di resistenza, anziché limitarci alla difesa dell’esistente e delle mura di Atlantide, abbiamo preferito rovesciare all’esterno il loro contenuto, esponendo il politico là dove si presume esso sia estraneo: nei corpi, negli affetti, nel sesso, nella produzione culturale, nella politica delle soggettività. In questo senso, smantellare l’operazione bando ci ha consentito di esporre i meccanismi, normalizzanti dei corpi e dei saperi, prodotti da un sistema tecnopolitico che cerca di scaricare le proprie responsabilità dietro la presunzione di un agire razionale.

A luglio, dopo una serie di incontri con il settore Cultura, abbiamo firmato un preaccordo nel quale, per la prima volta in un documento formale, veniamo indicate per quello che siamo: una libera formazione sociale con modalità di gestione autonome. Si è trattato di un primo passo nella direzione che avevamo già indicato ad aprile, quando abbiamo sciolto le associazioni e ci siamo impegnate nel percorso del Comitato per la promozione e la tutela delle Esperienze sociali autogestite. La stagione di “legalizzazione” dei centri sociali, infatti, inaugurata dal sindaco Guazzaloca all’alba del terzo millenio, era stata fondata su un espediente: ricondurre la propria esperienza di autogestione nell’alveo delle possibilità stabilite dal regolamento per l’affido degli spazi pubblici, costituendosi in associazione e iscrivendosi al relativo albo comunale. Un percorso che sembrava offrire garanzia di continuità ai progetti costantemente esposti all’emergenza delle minacce di sgombero, ma che per Atlantide, scaduta la convenzione nel vuoto politico del commissariamento, ha piuttosto segnato proprio l’inizio della contesa sullo spazio.
Nei mesi che abbiamo di fronte, vogliamo provare a scrivere una nuova pagina. Il rifiuto della delega e della rappresentanza che stanno alla base dell’autogestione, infatti, non trova alcun riscontro negli istituti associativi attualmente previsti: uno degli obiettivi del Comitato è proprio quello di “innescare un processo di innovazione giuridica” per il “riconoscimento dell’assemblea come unico luogo decisionale della responsabilità collettiva”.

Se dunque, da un lato sembra chiudersi la prima fase della nostra r/esistenza, quella allo sgombero, dall’altro si apre una nuova sfida politica: ottenere un chiaro riconoscimento dell’autogestione in quanto tale, continuando a trasformare le forme della politica, continuando a resistere alla normalizzazione del modello della sussidiarietà, fuori dalla logica dell’erogazione di “servizi”. Del resto il modello di organizzazione sociale sperimentato dall’autonomia transfemminista e queer risulta anzi antitetico alla implicita verticalità del rapporto tra erogatore e utente. La costruzione di percorsi collettivi di soggettivazione, di elaborazione e condivisione di saperi e pratiche di liberazione tra donne e lesbiche, gay e trans, intesa come strumento primario nella lotta contro la violenza maschile e la lesbo-omo-transfobia, non può essere chiusa dentro uno “sportello”. Analogamente, crediamo che la cultura musicale indipendente e del Do-It-Yourself non possa essere ri(con)dotta a spazi commerciali di fruizione passiva e che sia invece un antidoto ai processi di mercificazione e gentrificazione. Vorremmo, quindi, che l’attitudine DIY che da anni sperimentiamo nella musica diventasse trampolino di lancio per le progettualità più diverse, ponendosi in conflitto con l’esistente, rimodellando lo status quo, decostruendolo continuamente.

Siamo consapevoli che i mesi che ci aspettano non saranno meno difficili degli ultimi mesi di lotta per la difesa dell’esperienza di Atlantide, anzi siamo determinat* a proseguire quella lotta perchè non rimanga legata, fisicamente e nelle coscienze, solo al luogo nel quale ha trovato storicamente espressione, forma e contenuti.
Siamo cert* che le nostre passioni continueranno a spingerci verso la conquista dei nostri desideri e che tutto ciò che abbiamo costruito negli anni continuerà, come già è successo, a essere assimilato trasversalmente da parte di altre esperienze sociali autogestite, siano esse locali o internazionali.
Poiché la questione non è mai stata quella di salvare uno spazio o il nostro spazio, speriamo che la nostra resistenza alla messa al bando possa rappresentare un precedente virtuoso ma anche che il Cassero di Porta Santo Stefano sia destinato a un uso sociale e collettivo.
Siamo comunque certe che altri bisogni emergeranno e che ogni spazio lasciato vuoto, verrà prontamente recuperato, liberato e reinventato.

le Atlantidee