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Ateneo, “la ricerca non sia a servizio dell’occupazione israeliana”

L’appello degli “Universitari contro l’apartheid israeliana”, diffuso a seguito dei recenti bombardamenti dell’aviazione di Tel Aviv sulla Striscia di Gaza, che hanno causato 16 morti.

17 Novembre 2018 - 14:26

“Le armi e i sistemi securitari utilizzati per isolare la Striscia di Gaza e per massacrare la popolazione che dal 30 marzo 2018 manifesta sul confine per la propria libertà e autodeterminazione, sono sviluppati nei centri di ricerca di politecnici e atenei israeliani grazie a finanziamenti europei e collaborazioni con università anche italiane. Come studenti e studentesse universitarie chiediamo che la ricerca che portiamo avanti nei nostri atenei, e in particolare a Bologna, non venga messa a servizio delle forze di occupazione israliane; per questo chiamiamo tutte e tutti al boicottaggio accademico degli atenei e delle università israeliane”. L’appello è stato diffuso sulla pagina Facebook degli “Universitari contro l’apartheid israeliana“, in un post che prende le mosse dall’attacco dell’aviazione israeliana sulla striscia del 12 novembre scorso, “uno dei bombardamenti più forti dall’offensiva Margine Protettivo del 2014. Dieci sono state le vittime della prima notte di bombardamenti, altre sei nelle ventiquattro ore successive”.

Spiegano gli studenti: “Domenica, un’operazione militare segreta israeliana ha ucciso sette palestinesi appartenenti ad Hamas. Hamas ha risposto con un missile che ha ucciso un uomo nella città israeliana di Ashdod. Israele controbatte con due giorni di bombardamenti a tappeto sui civili bloccati a Gaza. I media mainstream riportano come il fuoco israeliano abbia distrutto la sede di Hamas, non scrivono però dell’asilo nido, della scuola di lingue e delle case dei civili completamente distrutti”.

Martedì 13, prosegue il post, “Hamas e Netanyahu hanno annunciato la tregua, come se ci fosse realmente tregua per i cittadini gazawi. Solo nell’ultimo anno, le truppe israeliane sono entrate più di settanta volte nella Striscia e dall’inizio della Grande Marcia del Ritorno i morti sono più di 200 e quasi 19mila i feriti. Gli abitanti della Striscia di Gaza manifestano per il diritto a ritornare alle proprie case (il 70% della popolazione è composta da rifugiati) e poter uscire da quella che è stata definita “la più grande prigione a cielo aperto”. Protestano per il blocco israeliano che ha creato condizioni economiche e sociali che rendono impossibile la vita dei gazawi. I confini egiziani e israeliani sono quasi completamente chiusi dal 2014: le persone non possono entrare o uscire dalla Striscia, i pescatori non possono allontanarsi dalla costa per svolgere il loro lavoro ed è impossibile qualsivoglia genere di commercio con l’esterno, portando la disoccupazione al 60%. Il 95% dell’acqua nella Striscia di Gaza non è né potabile né utilizzabile per lavarsi o cucinare e più del 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. I paesi occidentale contribuiscono ogni giorno a far si che la situazione a Gaza sia quella appena descritta. La politica e l’economia internazione sono complici del governo Israeliano; di fronte alle innumerevoli violazioni del diritto internazione e dei diritti umani guardano dall’altra parte, giustificando Israele grazie alla sua facciata democratica e all’autorevolezza che ormai ha guadagnato diventano una delle maggiori potenze militari mondiali. Le università e gli atenei occidentali sono ugualmente responsabili: alziamoci e alziamo la voce in solidarietà del popolo gazawi e di tutta la Palestina”.