Acabnews Bologna

Dopo il corteo di ieri arresti per due studenti, rilasciata una ragazza

Cua: “Fermati mentre rientravano nella loro università”. Lubo: “Manifestazione ha risposto a fatti inaccettabili”. Hobo: “Caricati reclamando di poter stare nella nostra zona universitaria”. Da un’ex studentessa: “Atterrita dai ventenni che si affiliano al potere”.

11 Febbraio 2017 - 10:32

“Giulia è libera! Per Sara e Orlando sono stati confermarti gli arresti! Liber* tutt*!”. E’ il post apparso ieri sera sulla pagina Facebook del Collettivo Universitario Autonomo, al termine del corteo che ha riportato in piazza le ragioni degli studenti che da giorni si battono contro l’installazione dei tornelli alla biblioteca di via Zamboni 36: le tre persone erano state “fermate in via Zamboni mentre cercavano di rientrare nella loro università”, scrive il collettivo. Sempre dalla pagina del Cua, sulla manifestazione di ieri: “Dopo la selvaggia irruzione della celere in biblioteca di ieri (giovedì, nrd) pomeriggio, dopo il grande contrattacco che tutti e tutte assieme abbiamo messo in campo, innalzando barricate in piazza Verdi, oggi (ieri, ndr) nuova prova del rettore Ubertini e del questore Coccia al nostro arrivo nei pressi della facoltà di Lettere: libri in mano volevamo entrare al 38, lì dove tutti studiamo quotidianamente. I reparti antisommossa della Polizia sbarravano la strada. Siamo avanzati e di nuovo caricati. Le istanze degli studenti e delle studentesse in corteo erano chiare: fuori da Bologna il Questore Coccia, fuori da Bologna il Rettore Ubertini. Evidentemente lor signori continuano a far mostra di quanto abbiano in odio i bisogni dei giovani, dei precari, degli studenti di questa città. Ma non si preoccupino. Verranno ripagati con lo stesso pane”. Sempre il Cua, infine, rilancia l’appuntamento per il nuovo corteo in programma per oggi, alle 17 da piazza Verdi: “Contro la Bologna dell’austerità e della repressione. Per gli spazi di autogestione e di libertà”.

Un successivo appuntamento, lanciato durante la manifestazione di ieri, è in cantiere per martedì 14 in via Zamboni 38, con una assemblea studentesca che servirà a capire come portare avanti la mobilitazione.

Sui social network rimbalzano anche i post del collettivo Lubo: “Migliaia di studenti e studentesse oggi sono scesi in piazza a Bologna e ancora una volta la risposta è stata la repressione”. Per gli arrestati “chiediamo l’immediata liberazione! Abbiamo dato una degna risposta ai fatti inaccettabili di ieri, ma è solo l’inizio! Rilanciamo per un’assemblea pubblica martedì alle 18 al 38, aperta a tutti e a tutte, per immaginarci un nuovo modello di università e di città”.

E Hobo, ancora sul corteo di ieri: “Siamo entrati in piazza Verdi e subito, proprio come ieri (giovedì, ndr), la celere in tenuta anti sommossa ha caricato il corteo di studenti e studentesse che reclamavano il diritto di stare nella nostra zona universitaria”. Il collettivo, come urlato ieri a gran voce dai manifestanti, rilancia la richiesta di dimissioni del rettore Ubertini e del questore Coccia.

Riceviamo e pubblichiamo, infine, una riflessione (“Disgregare la disgregazione”) inviata alla nostra redazione da un’ex studentessa dell’Alma Mater, colpita dalle notizie riportate dalla stampa sugli universitari che in questi giorni hanno deciso di schierarsi con rettorato e Questura. Scrive la ragazza: “Quello che più mi atterrisce di tutta questa storia, non è tanto l’entourage istituzionale targato Pd o Cl, non è il questore Coccia con i suoi fedeli cani mentre gioca al golpe cileno, quello che più mi atterrisce, sono gli studenti ventenni che si affiliano al potere. Studenti, studentesse! Il futuro, ma quale futuro? Sì, quale futuro? ‘Se hai il badge e puoi entrare, qual è il tuo problema?’ Cosa vuoi che me ne importi, in fondo, di tutto questo processo di cannibalica precarizzazione, di questa frammentatazione spazio-temporale, di essere ridotto a merce che consuma altra merce, la merce-sapere, all’interno dell’Università-Azienda in cui ciò che conta ormai, è generare profitto? Semplicemente il problema non esiste, non esiste perché non posso concepirlo come tale. Come può essere problematizzato un tornello, se nei cervelli sono impiantate Grandi Muraglie? Mi risuona alla mente questa frase, era il 1977, dopo la chiusura di Radio Alice: ‘Non hanno ancora capito niente, come quel carabiniere che mi stringeva le manette fino a farmi sanguinare perché lui non aveva potuto studiare’. Ecco, siamo oltre la tragedia, siamo alla farsa. Quella frase oggi si fa narrazione, ripetizione che scandisce i tempi morti del potere incorporato”.

Continua la lettera: “Siamo malati di banalizzazioni, la banalizzazione conviene, è confortevole. La questione viene ridotta da molti e molte a un capriccio, all’ennesimo pretesto per soddisfare un vizio, un ritualistico onanismo identitario, una compulsione narcisistica deviante. Perché mai qualche povero stronzo dovrebbe rischiare di finire ai domiciliari, beccarsi un divieto o obbligo di dimora se non per affermazione del sé? Se non per sublimare un certo solipsismo ancestrale? Perché mai qualcuno dovrebbe rischiare tutto ciò per difendere anche la mia libertà? Anche questo non può essere concepito perché, dietro la Muraglia, corrono lunghi chilometri di cultura individualista. Enormi, profondi, interminabili vuoti. Magari questa qui è la stessa gente che legge Foucault, Chomsky, cita Bauman dopo aver appreso della sua morte, che ama Orwell. Enormi, profondi, interminabili vuoti. L’immagine della biblioteca devastata dalla celere, dei libri che cadono, scomposti, accartocciati su se stessi, è l’allegoria di una brutalizzazione quotidiana, dove i non-luoghi sono seriali riproduzioni della mente, l’anima un frattale risonante di acquiescenza. Compostezza, rispetto, decoro. Il leitmotiv della narrazione-dramma in cui niente ormai è più riconcettualizzabile, in cui il tempo è pensato come quello giustamente sottratto, e lo spazio non è altro che un luogo di natura plastica, materiale, in cui consumare. Gli spazi si praticano, non si consumano. Praticare uno spazio significa tessere legami in quello e con quello spazio, tracciare orizzonti di senso attraverso i colori, gli odori che quello spazio mi restituisce, produrre valori intangibili oltre i suoi muri, costituirmi soggettività, non categoria, abbattendo i suoi confini. Forse dalle Grandi Muraglie non si coglie la violenza che si pone oltre il semplice segno, oltre il “segno tornello”, perché per scorgerla è necessaria molta fatica, è necessaria coscienza, ma da lì è perfettamente visibile la violenza di un cassonetto rivoltato, perché questa è un’immagine immediatamente fruibile, non è necessario attraversarla. Anticipare una strategia significa avere la mente sgombera dagli schemi del potere, capire dove ci stanno conducendo necessita di grosse capacità, riappropriarsi di uno spazio implica prima dover capire che quello spazio ci è stato o vuole esserci sottratto, cogliere una progettualità repressiva a lungo termine richiede attenzione, meticolosa analisi. Invece no, oggi è come ieri, la città scivola via sotto una coltre di cielo livido, la periferia si profila lontana, sfumata, da qui tutto è perfetto, anche il codice lucido della mia matricola è perfettamente allineato con il mondo che mi porto dentro”.