Storia e memoria

Argentina / Dialogo con Pedro Cazes Camarero

Riceviamo e pubblichiamo una nuova corrispondenza dall’America Latina inviata da Ilaria Camplone e Simone Tufano.

06 Marzo 2013 - 16:44

Pedro Cazes Camarero è un compagno, Pedro è un attivista della salute pubblica, Pedro è un guevarista convinto, Pedro è uno dei pochi sopravvissuti al massacro di Trelew, Pedro è un (ex) guerrigliero dell’ERP, Pedro è un autonomista felice del suo passato e del suo presente, ma soprattutto Pedro è l’amabile e gentile signore che mi invita a sorseggiare un thè allo storico Caffè Tortoni durante un’uggiosa domenica porteña e con cui mi intrattengo a parlare per ore di prospettive, idee e convergenze politiche.  Ecco alcuni stralci di questa conversazione.

Simone: “Un aspetto su cui mi piacerebbe concentrarmi è quello relativo alla scelta della lotta armata. Voglio dire… scegliere la via delle armi, della violenza, l’idea dell’uomo che combatte l’altro uomo per una scelta, una via generata da una sorta d’odio, nato ovviamente da un bisogno di giustizia sociale, ossia da un amore… non è una contraddizione in termini?”.

Pedro: “Ho capito perfettamente quel che dici… Bene, ti parlo di me stesso e non della mia generazione, perchè è un errore estrapolare da una soggettività un’idea su una intera generazione. Nel mio caso in particolare i miei primi interessi nel campo sociale cominciarono agli inizi degli anni ’60, quand’ero ancora adolescente ed avevo appena iniziato la scuola secondaria. Vedi, provengo da una famiglia abbastanza modesta, mio padre era un operaio e mia madre una maestra, entrambi discendenti da immigrati di prima generazione, come nel caso di mia madre, o direttamente immigrati qui come nel caso di mio padre.

Mio padre aveva idee anarchiche, mentre mia madre era radicale (dell’Union Civica Radical, un partito argentino che mescolava idee liberiste, social-democratiche e nazionaliste, legato alla media borghesia ed anti-peronista, nds), inoltre le risorse economiche familiari erano quello che erano. Di conseguenza quando finì la scuola primaria avevo due opzioni per entrare alle scuola secondaria che era a pagamento, o ottenere una borsa di studio o lavorare.

Io riuscì ad ottenere una borsa di studio, ma visto che avevo intenzione di studiare in un liceo privato molto prestigioso di Buenos Aires, ero costretto a lavorare nel tempo libero visto che la borsa non copriva completamente i costi dell’istituto. Mi trovai allora un lavoro come impaginatore di libri contabili, iniziai come apprendista, ed ero costretto a sbirciare quel che faceva il mastro impaginatore, d’origine italiane, perchè era una realtà in cui eri costretto a pagare anche solo per imparare il mestiere .Così noi che non avevamo i soldi ci inventavamo ogni cosa per poter apprendere: mi ricordo che sbirciavamo da un mezzanino, a turno, i movimenti del maestro. Insomma una cosa in stile romanzi dell’ottocento.

E questo fu il primo contatto col mondo del lavoro, naturalmente mi colpì molto.

Ora, quando terminai le scuole secondarie, cosa che feci con ottimi voti, e terminandole due anni prima del normale, a 17 anni, entrai nell’università, e mi ritrovai in una situazione economica molto simile.

La differenza però è che ero già un militante sociale. All’università feci la conoscenza di molti altri militanti e mi avvicinai ad un settore trotskista che il quel momento era parte del movimento peronista, solo allora capì la differenza che c’è tra un semplice militante per i diritti sociali ed un militante politico.

Ma non solo, per pagarmi gli studi fui costretto a lavorare come operaio, prima in un’industria metallifera che costruiva blocchi d’acciaio per l’edilizia, successivamente in una che produceva oli industriali. Partecipai a scioperi, cortei; furono esperienze fondamentali, perchè i miei compagni di lavoro avevano una coscienza politica e sociale molto avanzata, e c’era una commissione interna di delegati molto forte e capace di intimidire il potere padronale.

Questo mi permise di capire l’importanza del potere operaio, certo già avevo idee di sinistra (…) ma non era un’epoca moderna in cui le idee potevano viaggiare velocemente per il mondo come con internet, esistevano le fotocopie ma costavano tantissimo.

Lo studio per me fu l’università, la fabbrica ed una biblioteca in cui iniziai a leggere in maniera sistematica libri sul marxismo. (…) Era la biblioteca nazionale, stupenda, un luogo sacro per la cultura porteña: e lì iniziai a leggere il “Capitale”, una edizione di inizio secolo tradotta in spagnolo da Juan Baptista Justo, il fondatore del partito socialista argentino.

Era una traduzione abbastanza strana che al posto di dire “plus-valenza” usava il termine “super-valenza”, ed altre cose così, però il senso dello scritto era lo stesso.

Quindi lessi i classici dell’anarchismo, Bakunin ovviamente, mio padre che era un anarchico spagnolo aveva tantissimi libri di Malatesta, e lui, come sai, era più attivo su un lato sindacale…”.

Simone: “Sì, ma non solo, il lato che si potrebbe definire umanista del Malatesta è quello forse più bello ed avanzato…”.

Pedro: “ Sì, è vero, il lato umanista è presente. Inoltre in argentina l’anarchismo malatestiano è sempre stato in competizione con quello della scuola spagnola di Diego Santillan, che si era trasferito qui, ed entrambi criticavano lo spontaneismo anarchico anti-organizzativo, che qui a Buenos Aires si era dedicato alla guerriglia urbana…”.

Simone: “Ma anche in Patagonia, penso alle cronache di Bayer…”.

Pedro: “Sì, ma qui a Buenos Aires c’era il leader di questa corrente, Severino Di Giovanni”.

Simone: “Anch’egli italiano, di Chieti se non sbaglio, costretto a scappare per la dittatura, un antifascista convinto”.

Pedro: “ Appunto, ed aveva reclutato un gruppo assai agguerrito di combattenti, nella maggior parte dei casi spagnoli, che poi si saranno anche parte integrante della columna de hierro di Durruti durante la guerra civile spagnola”.

Simone: “Anche Durruti passò del tempo in Argentina”.

Pedro: “Sì, nei primi anni trenta,e si dedicò a sequestri e rapine per finanziare i compagni in Spagna nell’ottica della rivoluzione anarchica che speravano di fare…Insomma, c’è sempre stata una forte tradizione anarchica, anche se qui è sempre stata presa in una maniera abbastanza folkloristica, soprattutto negli anni successivi, quando l’ondata peronista si portò via molte delle esperienze precedenti. Infatti molti rappresentanti di spicco del sindacalismo anarchico si convertirono in dirigenti sindacali del peronismo, e furono loro che col colpo di stato degli anni ’50 intrapresero la lotta armata della resistenza peronista contro la dittatura.

Insomma, per tornare appunto alla domanda iniziale in Argentina c’è sempre stato un uso massiccio della violenza per far valere le proprie ragioni, da una parte e dall’altra”.

Simone: “La società argentina si caratterizza quindi per una sua violenza sistematica?”.

Pedro: “Vedi, una delle caratteristiche fondamentali dell’Argentina è che nessuno prendeva seriamente il concetto di legalità. Nè la destra né la sinistra, in più non c’era una classe politica grassa e incollata alla sedia che basava il suo potere sul concetto di legalità. Era una specie di Far West, dove era tanto importante la legalità ad un livello discorsivo quanto il peso ed il mostrare i muscoli…”.

Simone: “Scusami se ti interrompo ma quest’ottica è ben presente anche nei governi europei d’oggi, e ne sappiamo qualcosa”.

Pedro: “Questo effettivamente è vero, ma penso a Dario Fo, a come quando descriveva le prime lotte, le prime insurrezioni dei contadini nel sud Europa nell’alto medioevo, e particolarmente in Spagna e in Italia. E questo conflitto si trasferì qui, praticamente in una forma immutata, quasi automaticamente. Bisogna tenere in conto queste cose per capire i conflitti che attraversarono il paese (…), la metà dei lavoratori erano stranieri, ed anche se esisteva una legge che permetteva di estradare i lavoratori che si rendevano colpevoli di delitti politici questa fu difficilmente adottata. Quindi per rispondere alla domanda, sì, la violenza fu parte della cultura in cui io mi formai: anche perchè la violenza statale, fatta di violazione delle leggi era una pratica continua della polizia, del potere giudiziale, di quello economico, addirittura degli intellettuali. Pensa che in quell’epoca era molto in voga una battuta dei fratelli Marx, più o meno diceva così, ho dei principi, ma se non ti piacciano ne ho degli altri. Ecco l’alta società argentina la pensava a questa maniera: e si diceva, certo abbiamo la democrazia, ma se non ci piace quello che la gente vota, siamo pronti al colpo di stato. Quindi non esisteva nessuna garanzia democratica, potevi finire in carcere da un giorno all’altro: ecco, questo non era esattamente un invito affinchè i sindacalisti o i militanti sociali fossero invitati a mantenersi nella legalità, immaginati che era un periodo i cui se un poliziotto ti sentiva parlare in pubblico di cose che non riteneva corrette poteva tranquillamente avvicinarsi e manganellarti. E ti parlo degli anni sessanta.

Era quindi molto frequente l’autodifesa di massa durante i cortei, le proteste, durante le mobilitazioni in generale. Anche perchè si tratta di un paese giovane in cui non c’era una democrazia consolidata”.

Simone: “Ma ci fu qualcosa, una specie di scintilla che incendio il campo della tua anima? Non so, come un avvenimento capace di marcare un prima ed un dopo nelle tue scelte politiche?”.

Pedro: “Io sono arrivato ad essere un militante attraverso una via abbastanza individualistica, sono sempre stato un autodidatta sistematico, un lettore metodico. All’età di 17 anni arrivavo in biblioteca, prendevo un libro e mi mettevo a leggere tutti giorni per almeno 4 ore, facendo annotazioni, avevo quaderni numerati, sviluppavo le mie idee. In più avevo fatto studi classici, integravo con i grandi autori greci e latini: avevo studiato inoltre in un liceo, come ti dicevo, molto prestigioso e di conseguenza avevo una preparazione a cui non tutti quelli della mia estrazione sociale avevano potuto aver accesso. Fu la combinazione della indipendenza intellettuale autodidatta e degli studi sociali, fatti anche in questo gruppo trotzkista di cui ti parlavo, ma che aveva un livello di conoscenza abbastanza mediocre…”.

Simone: “Che il livello dei trotzkisti sia abbastanza basso non mi stupisce, potranno anche avere delle buone diagnosi ma per me è una pazzia che molti trotzkisti, e specialmente quelli argentini, ritengano che una crisi globale sia una cosa buona o che l’aumento della povertà può favorire la rivoluzione. Poi di che rivoluzione stanno parlando, è assurdo che utilizzino un gergo tipico del comunismo libertario e portino avanti l’idea di una rivoluzione tradita quando hanno le mani sporche del sangue dei compagni ucraini, e penso a Makno, o di Krondstadt… E non si tratta di essere anarchici in contrapposizione a comunisti, si tratta di analisi di fondo. Per me Trotsky fu un violentatore di un popolo che stava facendo la rivoluzione”.

Pedro: “Attenzione, perchè dire questo vuol dire essere al di fuori del contesto storico in cui si è sviluppato, e noi dobbiamo essere molto attenti ai contesti in cui ci muoviamo. All’inizio della rivoluzione russa Krondstadt si ribella, e benchè sia convinto che buona parte della base trotzkista si possa ritrovare nella marina militare, sono convinto che si ritrovarono in una situazione in cui la sopravvivenza stessa della rivoluzione era in pericolo e quindi la giustificazione di una repressione interna, con tutte le controversie che si porta dietro, suona come molto più facile da capire e da spiegare che altre successive…”.

Simone: “No, mi spiace ma non posso essere d’accordo, quest’ottica controrivoluzionaria è propria di un certo tipo di comunismo, o socialismo reale, pensa alla guerra civile in Spagna e a ciò che successe, pensa a come i comunisti si comportarono con anarchici e socialisti rivoluzionari. E tutto questo non è giustificabile, nemmeno tentando di contestualizzare il tutto…”.

Pedro: “E’ vero, per certi versi la rivoluzione è un mostro che si mangia i propri figli e la verità è che una ricerca di una spiegazione scientifica e rigorosa della condotta dei rivoluzionari, soprattutto in casi puntuali come la repressione ad opera trotzkista a Krondstadt, è fondamentale farla, perchè fa parte della ricerca storica, però è più interessante uno studio parallelo che punti ad uno sviluppo del discorso e degli studi sulla rivoluzione sociale. Per questo ritengo che ad un livello successivo della storia Trotsky sia più utile che dannoso, soprattutto negli scritti successivi, nel suo periodo messicano, come esegeta di Lenin, come teorico”.

Simone: “ Forse questo è un discorso che può avere più senso, intendo l’importanza di Trotsky, in America latina piuttosto che in Europa…”.

Pedro: “Sì, è vero, il Messico lo sorprende e gli fa cambiare mentalità. Poi Trotsky era un intellettuale europea, uno strutturalista, ma anche un bohemien, e soprattutto un ottimo scrittore, molto più bravo di Lenin o Stalin. Per la mia formazione infatti il primo capitolo del La rivoluzione russa risultò fondamentale. Ma andiamo avanti. La questione è che mi incontro con questo gruppo trotzkista e succedono una serie di fatti, come la caduta del presidente Frondizi (deposto da un golpe militare nel 1962 – nds) e ci fu un periodo intermedio, di dittatura militare, in attesa di nuove elezioni dove nello stesso tempo vigeva la legge marziale, c’era una violenza generalizzata, scioperi…Bene, la questione è che in quell’epoca tornarono alcuni compagni dall’esperienza cubana. Fu proprio l’esperienza della rivoluzione cubana, con la sua violenza di massa, capace di abbattere il regime, per tutti noi della sinistra fu molto importante: quasi a livello educativo. Un’altra cosa che fu molto forte, soprattutto per i compagni legati al partito comunista argentino, non per noi che siam sempre stati autonomi rispetto a loro, fu la rottura tra i cinesi ed i sovietici. Inoltre il PCA è sempre stato filo-sovietico, legatissimo al PC italiano, i vertici e la struttura politica erano formati in Italia…”.

Simone: “Forse anche per questo stretto legame noi che veniamo da una formazione politica legata alla sinistra italiana risulta difficile capire il Peronismo, mi sembra ci sia stata moltissima disinformazione ed una analisi fortemente indirizzata verso una critica aprioristica del fenomeno”.

Pedro: “ Certo, fu una esplicita volontà quella del PCI. Inoltre Vittorio Cotovilla, il segretario del PCA, italiano d’origine e di formazione politica, aveva le mani sporche di sangue durante la repressione dei non filo-sovietici nella guerra civile spagnola. Lui era il braccio destro di Togliatti, quando Palmiro fece uccidere tutta la sinistra indipendente a Barcellona”.

Simone: “Erano intrisi di una mentalità che col socialismo democratico non aveva nulla a che fare. Per questo, uscendo un attimo dal discorso che stiamo facendo, una tra le cose che al molto trovo più affascinanti è questa specie di ricomposizione che stiamo vedendo tra le differenti esperienze della sinistra radicale, la caduta di partiti comunisti così egemonici apre scenari nuovi di ricomposizione di antiche fratture. Penso anche solo al fatto che Toni Negri e David Graber stiano scrivendo un libro assieme, si ritorna all’unione tra marxisti ed anarchici. Non è una cosa da sottovalutare”.

Pedro: “Non è assolutamente da sottovalutare, abbiamo bisogno di una nuova produttività intellettuale. La cosa molto interessante, ma che non è una novità, almeno in sud america, penso all’esperienza del partito comunista peruviano, è la necessità di unire le lotte urbane ed operaistiche a quelle dei popoli originari. Questo crea una nuova visione rispetto al modello originale.

Vedi, la legge di sviluppo dei diversi dice che le stesse condizioni oggettive non sono riflesse e soggettivizzate alla stessa maniera dalle differenti soggettività, ma che determinate soggettività prendono le cose come più vicine a loro, le fanno proprie.

Può dipendere da un contesto familiare, o addirittura perchè c’è una sorta di idiosincrasia personale che mette poca distanza tra quello in cui uno crede e quello che finisce per fare, ma quando fa scatena una serie di reazioni che possono essere concatenate e legate tra persone di una stessa generazione.

A volte bastano poche centinaia di persone che hanno tutte la stessa determinazione per far cambiare la prospettiva a molti, qui si usava dire che bastava una scintilla per incendiare tutto il campo.(…) Penso alla guerra civile spagnola ed all’esempio di Lister (…), all’insurrezione del campo di concentramento di Buchenwald, ci sono stati casi di esempi che hanno infiammato i cuori: è la convinzione quello che conta. Ti faccio questo esempio perchè erano gli anni del Che, ed il guevarismo, metaforicamente e non solo, per noi fu un esempio: un piccolo nucleo di persone, estremamente convinte delle loro idee e della loro volontà d’azione, riesce a smuovere una nuova generazione di militanti…”.

Simone: “Perdonami se ti interrompo nuovamente ma questa è un’ottica in cui alla fine si necessita di una sorta di martirio che sia capace di dare l’esempio, o mi sbaglio?”.

Pedro: “Chiaro, però fidati che la cosa più interessante è quello che alla fine diceva mio padre che aveva fatto la guerra spagnola, la fortuna aiuta gli audaci, come diceva anche Danton, ma audaci nel senso che non temono, che non hanno paura (…) Che voglio dire con questo? Il guevarismo ha compiuto un ruolo molto importante in argentina, non si tratta di una avanguardia illuminata in stile leninista ma una avanguardia della volontà. Non importa l’estrazione sociale o l’educazione ricevuta, importa la volontà, ma è anche altro, è una festa, la festa della rivoluzione. La volontà è qualcosa di straordinario, se mai ti trovassi di fronte ad un fascista tu guardalo negli occhi e digli di star attento, perchè in te c’è più cattiveria di lui, c’è più malvagità. Sono convinto che scapperà, perchè in realtà la violenza non esiste, non esiste in generale la violenza o la guerra, esiste il conflitto, o meglio due conflitti, quello di chi è oppresso e di chi opprime. Che poi si riduce alla guerra tra chi ha ragione e chi ha torto. (…)

Questo è quello che successo quando ero prigioniero a Trelew e per me fu chiarissimo. (…)

Simone: “Saltiamo un attimo l’episodio di Trelew, su cui c’è un bellissimo documentario che si può vedere su YouTube ed è assai esplicativo, tra le altre cose ti si vede spesso…Torniamo al nucleo principale del nostro discorso, perchè il tema del potere popolare di stampo guevaristico lo trovo un aspetto molto importante anche nell’odierna Argentina”.

Pedro: “Bene, allora per tornare al discorso… C’è un poema di Brecht, dedicato all’uomo futuro, scritto in maniera molto simile ad un testo di Walt Whiteman, in cui chiede scusa a questo interlocutore per come noi che volevamo creare un mondo migliore, in cui l’uomo non fosse lupo contro l’altro uomo, e dove regnasse l’amore e la fratellanza siamo stati costretti a non essere amabili perchè abbiamo vissuto nell’obbligo di silenziare la nostra voce e stringere i denti e combattere. Quasi una questione di igiene sociale, ovviamente è una esagerazione, una battuta, ma come altro si può pensare di liquidare il fascismo? E chiaramente spinti dalla necessità, facendo tutto questo, se tu chiedi a qualsiasi altro compagno che visse queste esperienze quali furono le sensazioni e le emozioni che provarono, tutti ti risponderebbero una sola cosa: che era una esperienza divertente. Come rivoluzionari abbiamo sentimenti d’amore ma abbiamo anche tanto senso dell’umorismo; vedi, la sensazione che ti offre il partecipare ad una lotta come questa, a 20/ 25 anni, è qualcosa di unico, che ti fa credere che sarai invidiato dalle generazioni future.

Certo c’è anche un lato differente, ed è fatto di sofferenza, penso a Gramsci ed ai quaderni dal carcere, in cui si presentano due volontà contrapposte, la forza e la paura”.

Simone: “Gramsci diceva anche che la sua intelligenza lo costringe ad essere pessimista, la sua volontà lo costringeva all’ottimismo”.

Pedro: “Sì, è vero, è l’idiosincrasia dell’ottimismo della volontà e del pessimismo della ragione: il tema della volontà è il tema principale di Gramsci, forse il più grande marxista del ventesimo secolo”.

Simone: “Ma torniamo al tema della violenza…”.

Pedro: “La violenza è politica ma automaticamente non si può dire che tutta la politica sia violenta, usare la violenza come metodo di lotta richiede una condizione specifica, una condizione di costrizione che impone di contestualizzarla. L’autocritica maggiore che faccio a me stesso è non aver compreso che dovevo deporre le armi all’arrivo della democrazia. Benchè la democrazia borghese rappresentativa non sia una vera democrazia richiede l’arma della critica, non della lotta armata”.

Simone: “E’ pur vero che di democratico al giorno d’oggi rimane poco…”.

Pedro: “La lotta è anche il frutto della disperazione, ma non solo, rientra nella categoria deleuziana del desiderio, della vita e dell’amore per essa. E nel fondo avevamo la percezione che si potesse fare qualcosa di nuovo, ritenevamo che l’epoca esigesse una rivoluzione, che essa emergesse dallo spirito del tempo. E poi non è sempre detto che si perda, nulla è scritto. E a volte nelle relazioni magmatiche che si creano nel farla che si può determinare l’uomo nuovo descritto dal socialismo. Oppure si può arrivare alla barbarie, penso ai fascismi. Nonostante ciò non mi piace il concetto della speranza, perchè è un concetto intrinsecamente triste. (…) La speranza può esistere oppure no, è una strada che attraversa la terra e si forma quando una moltitudine tende a camminare verso la stessa direzione. Ed in tutto questo sappiamo che la rivoluzione è il luogo impossibile della felicità, ma nel tentare di attuarla ci sono momenti epifanici in cui si torce il braccio alla storia e le si impone una nuova direzione.

Sto pensando a momenti come quelli del 25 Maggio del 1973, alla mobilitazione in cui centinaia di migliaia di persone, durante la dittatura militare, si ritrovarono sotto le nostre carceri per liberarci. A partire da attimi come quelli si sente una sete che nessun liquido è capace di farti passare…non so se mi capisci… Quello che voglio dire è che le forme terrestri della felicità stanno nella costruzione del processo, è una sorta di sentimento epicureo che ti da l’idea che tutto si possa fare; passo dopo passo. Mi vengono in mente “I versi del capitano” di Neruda, e ti sottolineo ancora una volta l’importanza della festa nella costruzione della rivoluzione”.

Simone: “Un’ultima cosa, ti chiedo alcune spiegazioni rispetto al Peronismo, ho bisogno di capire come è visto come fenomeno sociale nell’ottica di chi ha sempre militato nella sinistra indipendente…”.

Pedro: “Il Peronismo fu un fatto rivoluzionario perchè generò non solo l’aspettativa di dignità ma la dignità stessa nel lavoro. Diminuirono le ore lavorative, aumentarono le ferie, gli stipendi, le condizioni di lavoro, i sindacati ebbero un ruolo fondamentale negli apparati decisionali e produttivi, nel settore privato e pubblico. E non solo, i diritti civili per le donne e per i malati. Si generò insomma un cambiamento nei rapporti e nelle relazioni di forza tra il proletariato ed il padronato. La nostalgia che gli argentini provano per Peron è la nostalgia nel ruolo ripotenziato delle masse. Credimi se ti dico che il peronismo è un fenomeno che supera le aspettative, e le aspettative di Peron stesso. Quando nel ’74 torna dall’esilio egli torna per tentare di spegnere l’incendio che aveva appiccato lui stesso, in ottica controrivoluzionaria, per questo appoggia la tripla A e disconosce la gioventù peronista legata all’esperienza dei Montoneros.

Il primo peronismo era stato una sorta di alleanza bonapartista tra la classe media ed il proletariato contro i poteri latifondisti e bancari che ebbe la fortuna di sorgere in un momento di forti contraddizioni interne della nascente borghesia industriale. Fu un movimento che ricostruì la coscienza di classe, quando durante gli anni ’60 gli operai urlavano “Peron o muerte” intendevano dire che pretendevano diritti o la morte, non altro: è stato un processo di scatenamento di sogni”.

Simone: “Che ne pensi dell’attuale America Latina?”.

Pedro: “L’America Latina è un luogo in cui, al momento attuale, i problemi teorici divengono problemi pratici. Penso all’esperienza delle fabbriche recuperate, alla Zanon (…).

Certo, i cambiamenti in atto sono lenti ma bisogna contestualizzarli nel respiro più generale delle lotte che si stanno svolgendo in tutto il continente e nell’umanità stessa. Penso che nel fragore di questa lotta si possa essere felici, ma consapevoli delle enormi difficoltà che abbiamo di fronte”.

Simone: “Ultime considerazioni?”.

Pedro: “Il capitalismo tardivo ci offre un mondo senza negatività, una sorta di realtà utopica in cui i problemi sono invisibilizzati. Dobbiamo re-agire su un trittico di concetti, volontà/necessità/dignità, e probabilmente stimolare anche alla negazione stessa del lavoro, necessitiamo insomma di un nuovo umanesimo…” .

Simone: “…che però non sia antropocentrico…”.

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Ilaria: Vorremmo riflettere con te sul tema della “soggettivazione”, ovvero sulla capacità del lavoro comunitario delle organizzazioni sociali e politiche nella produzione di una “soggettività” differente e alternativa a quella capitalista. Specifico che quando parlo di soggettività parlo della nostra e dell’altrui, e come dice Toni Negri “un essere comune e potente”, con il potere appunto di produrre un cambio sociale e politico. Ti facciamo questa domanda perchè appare sempre più chiaro che il neoliberismo è e continua a essere profondamente pervasivo nella mentalità e nella coscienza collettiva, e purtroppo ha dimostrato di funzionare molto bene nella produzione di una soggettività apatica, individualista e consumista.

Renia: Ossia, è possibile sensibilizzare politicamente la gente con azioni comunitarie, come quella di organizzare un comeador popular o far funzionare un centro di salute popolare?

Pedro: Io credo che su questo tema la nostra storia recente possa insegnare molto.

All’inizio della crisi del 2001 la nostra preoccupazione era legata soprattutto a far fronte ai bisogni primari (mangiare, curarsi, avere un tetto, ecc.), estremamente urgenti. In seguito cominciammo a rileggere quest’esperienza comprendendo che non si trattava di una situazione transitoria a cui sarebbe seguita una versione “benevola” e accettabile del capitalismo… Anzi! La perdita del lavoro era irreversibile, le strutture statali erano cambiate radicalmente, vivevamo insomma in un nuovo mondo. La sensazione che avevamo era che fosse una situazione più o meno permanente, diversa da tutte le altre vissute precedentemente. La maggiore differenza con il passato era infatti che prima avevamo vissuto lo smantellamento dello stato e la crisi durante una dittatura: con una pistola alla tempia come si fa a non accettare quello che viene imposto? Ma che succede quando la gente viene convertita al neoliberismo in democrazia (ndr, durante tutta la decade dei 90)?

Nel 2001 la gente iniziò a scendere in strada, ad autorganizzarsi, formando assemblee di quartiere dove tutti partecipavano e davano il loro punto di vista. Iniziarono ad apparire idee nueve, molto audaci, che già circolavano da tempo in circoli più ristretti, ma che venivano discusse in assemblee pubbliche e partecipate. Ad esempio c’era chi affermava che “il lavoro duro non fosse inevitabile”, o che “Il lavoro fosse una sorta di maledizione”, che “le strutture statali civilizzatorie come l’educazione e la sanità fossero dispositivi ambigui che comportano aspetti autoritari e di controllo”. Insomma, tutta una serie di costatazioni che in Argentina non erano state visibili nei precedenti 20 anni di democrazia; anche perchè la dittatura aveva costituito una grande sofferenza per la gente e questa era portata a pensare una volta terminata si sarebbe potuto vivere tranquilli in uno stato di benessere. Inizialmente nessuno pensava che anche la democrazia potesse essere autoritaria. Insomma era un momento di effevervescenza dove si iniziava a riflettere su cose che si erano date per scontate interrogandosi sulla loro complessità.

Ilaria: Quali sono state dunque le tue riflessioni dopo il 2001?

Pedro: Chi come me veniva da una esperienza di militanza marxista-leninista di lotta armata di classe, si rese conto che su alcune cose ci eravamo profondamente sbagliati. Capimmo che non esisteva un meccanicismo nella lotta politica, ma che essa è in gran parte una lotta immanente, qualcosa che sorge dal di dentro di un fenomeno, che non può essere nè predeterminato, nè eterodiretto. In questo senso siamo tornati a leggere Spinoza e gli altri filosofi spinoziani panteisti del XVII secolo, che ci hanno insegnato a non considerare la storia come qualcosa di teleologico (1).

L’esperienza della lotta marxista-leninista legata ad un partito non fu un lotta inutile, ma ha avuto un limite e forti contraddizioni interne. Si tratta di una lotta per la libertà e allo stesso tempo la restringe, è una lotta che esige la costruzione di umanità ma chiede alle persone di convertire la propria umanità in un’altra, di tipo differente. Le ragioni di tanto autoritarismo sono da ricercare proprio nel carattere teleologico del marxismo-leninismo. L’idea del “socialismo verrà” ci fa perdere di vista la soggettività che produciamo nell’oggi. Nel frattempo la nostra vita passa, noi moriamo e il progetto politico è ancora al di là dal venire. Anche perchè eccede di gran lunga la vita del singolo.

Il concetto di immanenza non implica l’essere diversi da quel che si è, anzi libera da quello che nel fondo non si è, frutto di un’imposizione eterodiretta.

L’immanenza ha basicamente a che fare con la libertà.

Inoltre è un errore credere che si possa eliminare completamente il negativo e l’oscuro dal mondo, è parte del mondo, come il positivo e la luce. Credere in una sorta di paradiso terrestre dove tutti siano felici, il leone e l’agnello, è assurdo, oltre che autoritario, perchè l’oscuro, la morte, il dolore sono legittimi tanto quanto la vita, l’amore e la luce.

Ilaria: Va bene, ma oggigiorno il surplus di sofferenza e dolore va ben oltre quello che sarebbe legittimo!

Pedro: Infatti quello che si può eliminare, e che dobbiamo lottare per eliminare, è la sofferenza non necessaria.

Ma non si può negare l’oscuro con la semplice affermazione della luce. Spinoza affermava che esiste qualcosa di esclusivamente luminoso: l’azione. In cambio la speranza è una “emozione triste”, perchè sperare implica avere carenza di qualcosa. Il concetto di immanenza al contrario interroga sul valore inmediato -e quindi immanente- dalla propria azione. Come a dire che quanto sto facendo oggi deve già essere quello che desidero fare, non deve farmi essere oggi quello che io non sono, ed il suo effetto deve essere ora quello per cui lotto.

Ad esempio creando il comeador popular stavamo facendo un’intervento che rispondeva al bisogno concreto ed immediato di mangiare della gente, ma una volta che il comeador ha iniziato a funzionare ci siamo resi conto che stava cambiando la nostra stessa soggettività, oltre che della gente che veniva a mangiare e dei funzionari pubblici con cui ci relazionavamo. Quando si da mangiare a migliaia di persone e lo si fa con allegria, si sta costruendo potere popolare, una soggettività ben diversa da quella prodotta dallo Stato. Ad esempio in quel periodo (ndr nel 2001) accadeva che funzionari pubblici venissero a chiederci di distribuire il cibo che lo Stato quotidianamente dava alla gente, perchè loro non ci riuscivano: erano costantemente assaltati da folle affamate che cercavano di rubare le scorte alimentari. Al contrario noi distribuivamo il cibo e le persone si organizzavano per cucinarlo e servirlo, senza alcun controllo poliziesco.

Quindi, per tornare al discorso sulla sogettività, la crisi, il neoliberismo, il fascismo, il “male nel mondo”-come dicevamo prima- non si eliminano di certo perchè si autorganizza un comeador. Ma quello che ci ha insegnato questa esperienza è che in un ambito piccolo e di rottura rispetto al sistema dominante, in cui lavorino persone motivate e determinate, si crea potere espellendo da dentro a fuori, in maniera immanente, una soggettività prodotta da secoli di capitalismo che ci vuole meri comsumatori, individualisti e homo homini lupus.

Certo non dobbiamo essere semplicistici in questa analisi. Tutta questa dinamica può essere interpretata solo attraverso la teoria della complessità: ovvero intendere la teoria della costruzione della soggettività esige che si rispetti il carattere complesso del problema e non si tenti di semplificare lì dove non è possibile farlo. Non c’è una maniera di interpretare la realtà sociale e politica con schemi semplificati, della serie “I proletari contro i borghesi!!!”. Questi cortocircuiti non funzionano. Il metodo hegeliano di cercare la contraddizione principale ha una certa potenza euristica perchè in un campo di interesse svela quali sono le forze in gioco, ma non è sufficiente.

Ilaria: Quando hai una complessità così grande come quella del problema politico e sociale, pensi sia possibile conoscere, studiare, agire solo in una realtà limitata e circoscritta, in cui sia possibile relazionarsi con la sua complessità senza essere riduttivi?

Pedro: La teoria del caos ci aiuta con il concetto di dimensione frattale (2), che per me può essere applicata anche al problema politico o sociale. In una scala di vari livelli il più piccolo ha un’analogia con quello immediatamente successivo, che a sua volta somiglia al superiore, che somiglia al suo successivo nella scala. Vale a dire che ci sono vari livelli di complessità in cui si mantiene un’analogia strutturale, benchè non ci sia alcuna somiglianza tra il livello macro e quello micro. In altre parole è leggittimo che io studi il mio villaggio e pensi che esso sia il mio universo? Sì, fino ad un certo punto è legittimo e corretto.

Ilaria: Quindi quale forma di organizzazione pensiamo sia in grado di generare una soggettività differente e creare potere popolare senza essere riduzionista?

Pedro: Nel complesso si tratta di una visione più anarchica che marxista, a noi costò molto apprenderla perchè venivamo da una formazione politica differente. L’idea che abbiamo oggi non è quella di un’organizzazione partitica, sebbene controegemonica, ma di una Rete. Si tratta di una rete di nodi autonomi, distribuita territorialmente, non gerchica, dove si compartano le esperienze locali dei singoli nodi (per piccole che siano), attraverso una comunicazione facilitata dalle moderne tecnologie.

Ci sono tuttavia delle limitazioni dovute all’asincronia tra ritmi e tempi del singolo e quelli del gruppo, essendo questi ultimi molto più lenti dei primi. Spesso le trasformazioni collettive esigono un tempo che eccede il tempo di vita del singolo, per il quale è difficile vedere sempre i frutti finali del proprio lavoro di trasformazione.

Un altro limite è la difficoltà di una rete distribuita nel rispondere ad esigenze che implichino una notevole conoscenza tecnica, intesa come competenza scientifica, tecnologica, bellica o quant’altro. Questo perchè la competenza tecnica è restia a sommettersi al potere distribuito e popolare, ma allo stesso tempo le tempistiche e le dinamiche proprie di una democrazia partecipativa e assembleare non rispondono alle esigenze di un intervento altamente tecnico.

Già Senofonte descriveva questa idiosincrasia nell’Anabasi, quando raccontava che nella guerra anatolica i greci per ogni battaglia votavano i capi e decidevano assemblearmente la strategia di combattimento, con gravi ripercussioni sulla guerra. Il problema degli zapatisti oggi rappresenta il rovescio della medaglia di questa stessa idiosincrasia. Per far fronte alla repressione organizzarono l’esercito zapatista, l’ELZN, secondo la classica struttura gerarchica tipica di un esercito; con il passare degli anni le milizie zapatiste iniziarono a influenzare le strutture orizzontali comunitarie, tanto che la comunità si ritrovò presto organizzata come l’ELZN. Dopo un processo di autoriflessione, la comunità si rese conto di questo e creò i caracoles, espellendo l’EZLN dalle strutture politiche perché non distruggesse l’autogestione e l’autonomia delle comunità; tuttavia non dissolsero l’esercito perché consapevoli della sua necessità.

Questo per dire che rimane aperta la domanda rispetto a come inserire elementi ad alta competenza tecnico-scientifica in una struttura orizzontale e distribuita. Per questo dobbiamo continuare ad interrogarci senza accontentarsi di risposte semplici.

Ilaria: Bene, tutto questo è molto bello, ma come passiamo da uno stato di cose come quello attuale a una democrazia partecipativa e organizzata in strutture distribuite e autogestite?

Pedro: Il cambiamento passa prima di tutto attraverso una “ribellione delle coscienze” (3), che deve avvenire dentro ognuno di noi, e che sia spinto dalla ricerca della libertà. Se quello che mi chiedi è indicare qual è il dispositivo, in senso agambeniano, per arrivare a una liberazione massiva delle coscienze, ti direi che dobbiamo interpellare di volta in volta le persone coinvolte. Ci saranno ovviamente esperienze o nodi o reti che andranno a morire, altre che si affermeranno come durature, ma sono le persone stesse che devono autodeterminarsi. Non servono né partiti, né programmi, né avanguardie intellettuali, tutte queste idee sono anacronistiche.

La rappresentanza politica è un concetto estinto e inefficace e lo dimostra la storia recente dell’Argentina quando De la Rua nel 2001 ordina alla popolazione in protesta nelle strade di tornare alla proprie case e ai propri luoghi di lavoro, imponendo il coprifuoco. La gente non se ne va rimane in strada a protestare e scoppia la rivolta del 2001, con il presidente che fugge in aereo dal palazzo del congresso.

In Grecia proprio qualche giorno fa è successo un evento che dimostra come in Europa non si sia ancora giunti a questo punto. I lavoratori della metropolitana e del porto erano in sciopero da vari giorni, il presidente ordina la ripresa dell’attività lavorativa (4) e i lavoratori interrompono lo sciopero tornando a lavoro.

C’è un momento in cui si ha un salto qualitativo e i dispositivi classici della democrazia rappresentativa non funzionano più. Il dispositivo della rappresentanza esiste finchè la gente crede -perchè si tratta praticamente di un credo, come nella religione- che esso sia valido, senza che questo costituisca di per sè una realtà fattiva.

Sta a voi trovare il modo per autoderminarvi e iniziare il vostro proprio processo immanente di “ribellione delle coscienze” e di autorgestione diretta.

1) http://it.wikipedia.org/wiki/Teleologia

2) http://it.wikipedia.org/wiki/Dimensione_frattale

3) Pedro non si riferisce direttamente alla teoria di Camillo Berneri, ma a noi sembra indirettamente influenzato da questa e in generale dall’anarchismo italiano.

4) Il governo greco ha di recente emanato una legge che equipara la mancata ripresa dell’attività lavorativa ordinata dalle autorità durante uno sciopero prolungato a disertare l’esercito in caso di chiamata alle armi. È punibile con il carcere.