Opinioni

Appunti sulla Grecia ai tempi dell’Euro-golpe [in aggiornamento]

Durissimo accordo tra Bruxelles e governo ellenico, i primi provvedimenti all’esame immediato di un Parlamento a pezzi. Frattura dentro Syriza, subito in piazza il pubblico impiego. Commenti da Effimera, Infoaut, Dinamopress, Globalproject, ∫connessioni precarie, Commonware.

15 Luglio 2015 - 07:50

L’Europa è in guerra

(da Effimera; 13 luglio)

Murales di Achilles ad Atene (foto da flickr @aestheticsofcrisis)L’Europa è in guerra. È una guerra dichiarata anni fa dall’oligarchia tecno-finanziaria, per paura che la crisi americana dei subprime intaccasse i patrimoni delle banche, che devono essere salvati a scapito degli stessi Stati europei. Ha utilizzato colpi di stato in Grecia (Papandreu), in Italia (nomina di Monti grazie a Napolitano), ha commissariato il Portogallo, l’Irlanda e l’Italia. Sta organizzando un nuovo colpo di Stato in Grecia. La guerra porta sempre rovine. In Italia ha portato il Jobs Act e il lavoro gratuito. In Grecia il 30% della popolazione vive in condizioni di povertà. La guerra, oggi, utilizza nuovi strumenti. È il bazooka della stretta della liquidità e dell’asfisia economica. Nulla di nuovo. Un tempo si chiamava “assedio”. A questo punto, l’Europa è morta. Non c’è più. Non ci sentiamo più cittadini europei, men che meno italiani ma solo abitanti del mondo. La conclusione dell’Eurogruppo ha imposto la capitolazione della Grecia, secondo la regola del “colpirne uno per educarne cento” e il riferimento alla Spagna è palese. Non ci sono più alibi. Non si può più tacere. È ora di lanciare un piano ambizioso. (continua)

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La vendetta della Troika si abbatte sulla Grecia: via al Terzo Memorandum 

(da Infoaut; 13 luglio)

“Pace Cartaginese”, “Waterboarding mentale protratto”, “Notte dei lunghi coltelli”: si sprecano i termini usati per qualificare il feroce accanimento dei falchi dell’austerity tedesca contro il popolo greco, capitanati dal ministro delle finanze Wolfgang Schauble, che dopo aver incassato la proposta votata sabato dal parlamento ellenico passano direttamente alla seconda mossa: l’annientamento dell’esecutivo di Syriza.

Una mossa trionfalmente inutile, se si considera il profondo malcontento suscitato dalle decisioni di Tsipras in patria (e non solo) che aveva già evidenziato la pericolosa debolezza del blocco parlamentare di Syriza, soprattutto dovuto all’irrigidimento della minoranza interna; si pongono così le basi per un possibile rimpasto del governo su posizioni più concilianti con la Troika e perfino per un cambio di maggioranza (vedremo cosa succederà nell’approvazione al Parlamento greco di quanto statuito dalle ultime 17 ore di Eurosummit).

Ad essere azzannata è la politica condotta da Tsipras nel porsi all’interno dello scacchiere continentale alla ricerca di una mediazione impossibile. Politica la quale, dapprima raffigurata come affronto ai margini di potere discrezionale della finanza, è giunta a essere denigrata e apertamente rigettata, con il rancore dei creditori che porta a un ulteriore, durissimo avvitamento dell’austerity. (continua)

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Cosa resta dell’Europa?

(di Vanebix e Luca Cafagna, da Dinamopress; 13 luglio)

L’Eurosummit si chiude con la vendetta della Germania nei confronti di Atene. Entro mercoledì nuova tranche di riforme “lacrime e sangue” e poi via alle privatizzazioni in cambio degli aiuti economici. Dopo la trattativa di questa settimana molte cose non saranno più come prima.

Dopo diciassette ore di trattative l’Eurosummit si è chiuso con un accordo che avrà probabilmente conseguenze devastanti. Un pacchetto di aiuti che si aggira tra gli 82 e gli 86 miliardi di euro verrà stanziato per un periodo di tre anni a favore della Grecia, se e solo se in questa settimana la Grecia approverà un pacchetto di riforme enormi. Perciò il parlamento di Atene è chiamato a votare entro il 15 luglio, cioè meno di tre giorni, su: la riforma delle pensioni, del fisco – comprensiva dell’innalzamento dell’IVA – l’autonomizzazione dell’istituto nazionale di statistica e la piena applicazione del Fiscal Compact, che prevede, tra le altre cose, la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio. Entro il 22 luglio si dovrà riformare il codice civile e applicare pienamente la direttiva sulle crisi bancarie (Brrd).

Una volta approvate queste riforme e quindi ristabilita “la fiducia” dei creditori nei confronti del governo greco, l’Eurogruppo potrà dare il suo via libera per il Memorandum of Understanding, che dovrà essere votato in seguito, secondo le procedure dei singoli stati, da almeno sei parlamenti nazionali, tra cui – chiaramente – il parlamento tedesco. “Al fine di costituire la base per una conclusione di successo del protocollo d’intesa, l’offerta greca di misure di riforma deve essere seriamente rafforzata (…). Il governo greco deve formalmente impegnarsi a rafforzare le proprie proposte in un numero di aree identificate dalle Istituzioni”, con tempi chiari, obiettivi precisi, standard di riferimento e ispirandosi alle buone pratiche europee (traduzione nostra). Cosa bisogna “riformare”? E’ necessaria un’ “ambiziosa” riforma delle pensioni, una piena liberalizzazione del mercato dei beni e servizi (ex: farmacie, traghetti, aperture la domenica…), privatizzazione della compagnia elettrica, “una rigorosa revisione e modernizzazione del mercato del lavoro”, in particolare per ciò che riguarda la contrattazione collettiva e le misure industriali, rafforzare il sistema finanziario, eliminando qualsiasi possibilità di interferenza politica nel sistema bancario. (continua)

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#ThisisACoup. Il colpo di Stato dall’alto del SI’

(di Fabio Mengali da Global Project; 13 luglio)

Come hanno osato? Come si sono permessi di portare avanti fino allo stremo una trattativa, coinvolgendo persone ed istituzioni che non c’entrano niente? La colpa si fa duplice, perché non solo si è parlato per mesi di ristrutturazione del debito, ma addirittura si è cercato il consenso popolare e si è portata la propria “ideologia da dilettanti” fuori dai palazzi di Bruxelles, Francoforte e Berlino.

Questo deve essere stato il flusso di coscienza dei tedeschi e di tutti i vari ed eventuali falchi nordici, finlandesi in prima fila. La ragione dell’accanimento e della volontà di punizione può essere cercata anche nel senso comune tedesco: i subalterni greci, questi meridionali fannulloni e scansafatiche, si sono permessi di metterci in discussione. E l’hanno fatto da una posizione che non è certo lodevole, perché del resto se hanno dei debiti e non riescono ad onorarli sarà colpa loro, del poco lavoro che fanno, dei troppi frappè che bevono in estate, delle tasse non pagate. A questo aggiungiamo il movente politico di questo tentato assassinio istituzionale: sanzionare un’esperienza dissonante rispetto alla monotonia neoliberale del rigore. Punirne uno per educarne cento. O meglio, almeno altri tre, con le venture elezioni in Spagna, Portogallo ed Irlanda.

Il ritorno al diritto di vendetta arbitrario, che alla faccia dello Stato di diritto moderno è previsto dalle norme formali ed informali della governance, si è incarnato nelle scomposte richieste, dichiarazioni e prerogative di alcuni dei partecipanti all’Eurogruppo di sabato. Schäuble in testa, che ha azzardato la Grexit temporanea per cinque anni come unica alternativa alla ristrutturazione del debito.
(continua)

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The agreement

(di Eleonora De Majo da Global Project; 13 luglio)
 
Europe. Una serie epica in sette puntate, che ha tenuto il mondo col fiato sospeso e con umori altalenanti per sette infiniti giorni e sette infinite notti. Entusiasmo, rabbia, impotenza, sconforto, riscatto, odio e la costante certezza di una posta in gioco che meritava tutte le energie e l’attenzione possibili. Sette giorni con la faccia incollata alle tv e alle homepage dei giornali europei a seguire l’ignobile trama recitata dai capi di Stato europei e dai ministri delle finanze, a partire dalla costatazione ufficiale della straordinaria vittoria di OXI di domenica scorsa e dall’inaspettato attacco che la democrazia sferrava alla dittatura del debito. Stamane hanno mandato in onda, a reti globali unificate, l’ultima puntata, quella che generalmente svela il colpevole o il destino dell’eroico protagonista e che definisce una volta per tutte la vera natura dei personaggi. E così quest’ultimo episodio della saga epica che ha fatto tremare i colossi finanziari del pianeta e che potremmo intitolare “the agreement”, come la parola solenne pronunciata da Tusk in conferenza stampa stamane, è l’episodio che ha svelato, laddove ce ne fosse ancora bisogno, la vera natura degli Stati Europei, indipendentemente dalla formale differenza tra governi socialdemocratici o liberali e dai sorrisi più o meno amichevoli rivolti a Tsipras durante questi cinque mesi di negoziati.

Basta mettere in fila il susseguirsi degli eventi di queste ultime concitate ore, le dichiarazioni, le indiscrezioni, le coalizione tra avvoltoi e leggere il testo definitivo con gli ultimi aggiustamenti, per assistere al delinearsi di una trama inquietante, con un orribile finale, che ricorda proprio l’epica  delle serie tv contemporanee, quelle  che hanno dismesso il lieto fine e preferiscono ad esso il progressivo disvelamento delle oscenità di cui è capace l’umano. Così “The agreement” finisce con un colpo di Stato volgare e arrogante e con la messa a nudo dei protagonisti che hanno applaudito alle condizioni barbare imposte alla Grecia. (continua)

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Un brutto accordo e il leader europeista

(di Dimitri Deliolanes, da Dinamopress; 14 luglio)

Cade la maschera dell’ipocrisia, l’UE coincide ormai col progetto della classe dirigente tedesca. Il merito della trattativa condotta da Tsipras è soprattutto questo. È un accordo brutto, brut­tis­simo, degno di un’eurozona ancora più brutta, addi­rit­tura repel­lente e rac­ca­pric­ciante. A imma­gine e somi­glianza, si direbbe, di Wol­fgang Schau­ble, il poli­tico più popo­lare in Ger­ma­nia in que­sti giorni.

Alla fine, però, que­sto fine set­ti­mana di pas­sione non ha pro­dotto sol­tanto brut­tis­simi com­pro­messi e infami ricatti. Ha avuto anche il grande merito di far cadere la maschera dell’ipocrisia. Ha fatto vedere a tutti, ma pro­prio a tutti (esclusa la distratta stampa ita­liana) che l’Unione euro­pea sta cam­biato natura, radi­cal­mente e velo­ce­mente. Da spa­zio di libertà, di demo­cra­zia e di soli­da­rietà è diven­tata feudo della classe diri­gente tede­sca. Da libera unione di stati e popoli, a impero tede­sco che puni­sce con il ferro e il fuoco le pro­vic­nie ribelli

Rin­gra­ziamo Ale­xis Tsi­pras di aver­celo rive­lato. Se non ci fosse stato lui, il primo e finora unico pre­mier euro­peo a osare alzare la testa di fronte alla bar­ba­rie neo­li­be­ri­sta, saremmo ancora oggi qui a cul­larci con il «Mani­fe­sto di Ven­to­tene». Di fronte ai tanti errori e inge­nuità mostrati del pre­mier greco durante que­sta lunga e dispe­rata nego­zia­zione, dia­mo­gli que­sto grande merito.

Ora lo pos­siamo dire a ragione veduta: durante le lun­ghe trat­ta­tive con i cre­di­tori, Tsi­pras e Varou­fa­kis hanno gio­cato una par­tita truc­cata, che non pote­vano mai vin­cere. È stato un errore. Ma lo sap­piamo solo adesso che Schau­ble ci ha mostrato il suo vero volto.

Lo pote­vamo sospet­tare? Sì, e su que­sto Tsi­pras si è dimo­strato inge­nuo e impre­pa­rato. Da più di un anno ripe­teva che non aveva un piano B ed era sin­cero. Fin dal primo momento, il lea­der di Syriza non ha nean­che pen­sato a un’uscita dall’eurozona. Al punto da costrin­gere Ber­lino a per­dere la pazienza e chie­dere aper­ta­mente l’espulsione della Grecia.

Nell’escludere l’uscita dall’euro, Tsi­pras ha seguito la chiara e mani­fe­sta volontà del popolo greco, ma ha anche seguito le sue per­so­nali con­vin­zioni di euro­pei­sta fino in fondo.

Alla fine, la lezione che abbiamo incas­sato (non solo i greci, ma tutti gli euro­pei), è che per rima­nere nell’eurozona biso­gna sot­to­met­tersi all’austerità più sel­vag­gia. Ha ragione il Cor­riere della Sera: non c’è scritto da nes­suna parte, ma il neo­li­be­ri­smo pre­da­to­rio è ormai «regola» dell’eurozona, Costi­tu­zione materiale. (continua)

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L’estate del nostro sconcerto. La Grecia, l’Europa e le lotte transnazionali

(Editoriale, da ∫connessioni precarie; 15 luglio)

Questo non è un colpo di Stato. Senza dubbio c’è stata un’imposizione di fatto unilaterale che ha completamente ignorato e quindi cancellato ogni traccia del referendum greco. Bisogna però anche dire che lo Stato da colpire non c’era più da tempo: dissolto dalla pressione del debito, con una sovranità impossibile, con un 1/3 del suo popolo che vive al di fuori di un territorio nazionale spesso controllato da capitali provenienti da altri Stati. Non possiamo quindi accontentarci della lettura golpista dell’Editto di Bruxelles. Farlo vorrebbe dire continuare a coltivare l’illusione che ha contagiato non pochi, anche alle nostre latitudini politiche, che hanno interpretato il referendum dell’OXI come la rivincita della democrazia contro la finanza transnazionale. Così come hanno visto nel referendum l’atto di un popolo finalmente tornato sovrano contro le angherie della governance finanziaria europea, ora vedono l’Europa che si accanisce contro i popoli. Questa fede nel potere dei popoli potrebbe perfino avere contenuti edificanti, se almeno tenesse conto che quel potere si è smaterializzato di fronte alle feroci imposizioni dettate dall’accordo tra i leader europei e Tsipras, e se non finisse per sorvolare sul fatto che la democrazia, la sovranità e il suo popolo sono parte del problema e non la soluzione. D’altra parte anche in Grecia in queste ore qualcuno si azzarda a osservare che sono soprattutto centinaia di migliaia di precari a essere stati sacrificati sull’altare di quel che resta dello Stato greco e del suo popolo.

La totale impermeabilità dell’Eurogruppo alle proposte avanzate dalla Grecia è stata evidente fin dal principio. Con ostinata coerenza la posizione di Schäuble & Co. è rimasta immutata anche dopo il referendum. Il comando finanziario dell’Europa si è fatto beffe del regime democratico che la volontà sovrana del popolo greco avrebbe dovuto riattivare. Governance finanziaria coniugata a Sovranità e Democrazia della zona euro: ecco la formula perfetta del coup, qualunque sia il destino riservato a Tsipras. Il valore del referendum poggiava invece sulla critica pratica alla democrazia del debito, una forma di governo «tipicamente europea», grazie alla sua capacità di far coesistere il sistema nazionale della rappresentanza democratica con le istituzioni transnazionali. Il debito è ciò che ha reso e rende possibile questa alchimia tra l’Europa e i suoi Stati, tra una sovranità evanescente e intermittente e la sua negazione. I meccanismi materiali che riproducono in continuazione questa costituzione europea sono il regime del salario e il governo della mobilità. Il significato dell’OXI del 5 luglio non poteva dunque essere confinato alla presa di posizione del 61% dei greci, perché poneva a una moltitudine infinita un quesito fino ad allora inammissibile: «ma allora è possibile? Possiamo liberarci della tirannia del debito e delle sue ancelle?». (continua)

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Syriza si arrende: è di nuovo tempo di resistenza popolare

(di Theodoros Karyotis, da Roarmag, traduzione di  Ivan Bonnin per Commonware; 15 Luglio 2015)

Da due settimane a questa parte, in Grecia il tempo politico si è condensato e i cittadini vivono aggrappati a un filo, in lotta contro forze che sembrano ben oltre il loro controllo. Il 27 giugno, il governo guidato da Syriza ha sottoposto l’ultimatum dei creditori a un referendum e si è schierato per il NO. L’esito del referendum – un potente rifiuto dell’austerity e del cappio del debito – passerà alla storia come un eccezionale momento di dignità di un popolo sotto il feroce attacco dei creditori europei e dell’elite greca.

Nonostante le retoriche patriottiche, questo risultato è stato il culmine di cinque anni di resistenza al continuo peggioramento delle nostre vite. Ha significato liberarsi dallo strangolamento mediatico e sconfiggere la paura per far sentire la propria voce. Ha sancito l’assoluto discredito nei confronti delle elite politiche che dalla transizione democratica del 1974 sono state al governo e che parteggiavano per il Sì.

Inoltre, questo risultato ha mostrato una società divisa lungo linee di classe: la stragrande maggioranza delle classi medie e di quelle meno abbienti, che materialmente hanno sostenuto tutto il peso dell’austerity e delle riforme strutturali, ha votato No. Tuttavia, questo risultato è irriducibile ai tentativi di capitalizzazione messi in atto dai partititi politici; è la negazione categorica dell’attuale assetto politico ed economico, il rifiuto che necessariamente precede qualunque atto di autodeterminazione sociale.

In ogni caso, meno di una settimana dopo il referendum, il governo greco ha presentato una nuova proposta di finanziamento ai suoi creditori, legata a un pacchetto di misure di austerità persino più dure rispetto a quelle bocciate dal referendum. Dopo un fine settimana di “trattative”, che tra l’altro ha rivelato una spaccatura tra i creditori della Grecia, nella mattinata di lunedì è stato raggiunto un accordo umiliante, che in pratica trasforma la Grecia in una colonia europea debitrice. Come è possibile che in pochi giorni questo No sia divenuto un Sì? (continua)

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(da Apatris, giornale militante greco, traduzione inviata a Zic)

Dopo i tentativi infruttuosi di un compromesso fra i due Memoranda proposti (uno dall’Unione Europea e il FMI e l’altro dalla coalizione greca di SYRIZA-ANEL), il governo ha optato per un referendum sulla questione dell’accettazione o meno delle misure economiche proposte dai creditori.

Attraverso una parola, “Si”o “No”, la società è chiamata a rispondere ad una questione che è stata imposta dall’alto e non come una chiamata popolare, in un breve periodo in cui, per decisione delle istituzioni, vi è un blocco dei flussi di denaro contante, che impedisce l’accesso dei lavoratori alla maggior parte dei loro salari.

Il ricorso al referendum (anche uno che non è apprezzato dai creditori) non è un trionfo della democrazia, come è stato avventatamente presentato. Il Referendum nel contesto della repubblica parlamentare non ha nulla a che fare con le procedure di democrazia diretta, che richiedono partecipazione eguale, il reciproco adattarsi di tutti i coinvolti, mentre [quello istituzionale] esclude tutti coloro che non hanno diritto di voto, come gli immigrati.

I referendum sono costruiti in maniera tale che -come le elezioni- la domanda, molte volte, determina la risposta.

Per quanto riguarda gli argomenti che equiparano il referendum alla forza della “volontà popolare”, rispondiamo parafrasando le parole di Murray Bookchin:

“ ‘Potere al Popolo’ può essere messo in pratica solo quando il potere esercitato dalle élite sociali è dissolto nel popolo. [Quando] Ogni individuo può avere il controllo della sua vita quotidiana. Se ‘Potere al Popolo’ significa nulla di più che potere ai ‘leader’ del popolo, allora il Popolo rimane una indifferenziata, manipolabile massa, senza potere dopo il referendum proprio com’era [prima di esso]. Alla fine, il ‘popolo’ non potrà mai avere il potere fino a che non smetterà di essere la ‘gente’.”
Il falso dilemma fra “pro-memorandum” e “anti-memorandum” è stato scoperto e si è evoluto in una dualità fra l’implementazione delle misure proposte dal Locale contro quelle proposte dagli istituti internazionali del potere.
Pertanto,la società non è semplicemente chiamata a rispondere “Sì” o “No”.

La risposta del “Sì” significherebbe letteralmente ulteriore soggezione ai dettati delle élite capitalistiche, e questo è il perché esso sia supportato così appassionatamente dai loro rappresentanti locali, le loro marionette e i loro subordinati. Allo stesso tempo, il “Sì”, significherebbe un importante passo indietro non solo per il movimento antagonista, ma altrettanto per la società nel suo complesso. Se esso prevalesse nella società, verrebbe imposto come un modello di pensiero dominante, mentre il punto è la completa decostruzione dello stesso. Se il “Sì” fosse eventualmente vincitore, ci ritroveremmo molti passi indietro.

Il “No” verrà usato da dal governo come un “Sì” alternativo alle proprie proposte, mentre tentano di estorcere il consenso popolare sulle loro politiche economiche.

Quindi, essi sono lontani dal decantato “strappare il memorandum”. Al contrario, si mostra uno stato d’animo di “consenso creativo” sulla proposta di misure ed obbiettivi che porteranno la società all’esaurimento, nell’ordine di evitare ogni responsabilità per la breccia sostanziale [che hanno aperto] con i supporter dell’invasione neo-liberista.

Che scelgano di partecipare o no al referendum, le parti in lotta della società non devono farsi condizionare dal falso dilemma posto dallo Stato e dalle fazioni locali ed internazionali del Capitale nel mezzo della loro conflitto interno.

Noi scegliamo l’intensificazione della lotta sociale di classe, il rafforzamento degli argomenti dal basso, attraverso le strutture esistenti e in divenire del Movimento, come le assemblee popolari, i collettivi e i gruppi del movimento radicale, i sindacati di base, le reti di solidarietà economica, gli spazi occupati, i progetti autogestiti in ogni prospettiva di vita sociale.

Le parti conflittuali della società hanno un dovere, con freddezza e decisione:

A) Innalzare ostacoli contro la marmaglia della destra reazionaria e la mentalità conservatrice che, attualmente, tenta di invadere le strade e le piazze sotto forma di movimento sociale.

B) Occupare la scena pubblica, dove creare un contrappeso contro l’intrappolamento fra “la Sinistra” e il Memorandum Europeo, senza doverci ritirare da chi ci deruba delle nostre vite.

C) Scartare gli agenti finanziari e i banchieri dell’Unione Europea e i capitalisti locali ed ispirarci agli esempi concreti di autorganizzazione e lotta, come il movimento Zapatista e i combattenti kurdi fanno pure in Rojava.

L’importanzadi questo momento richiede l’uso di ogni mezzo che consideriamo necessario.

NO alla delega delle nostre vite e alla nostra sottomissione allo Stato e al capitalismo locale ed internazionale.

SI ad una lotta senza intermediari per l’emancipazione sociale.