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Appello: “Depenalizzare reati connessi a lotte sociali e sindacali”

Parte da un’assemblea svolta a Bologna il documento proposto da Usb e Eurostop. Al via il processo per una contestazione nel 2014 contro Pd e Jobs Act. E Cobas: possibili “blocchi improvvisi” al magazzino Gsi.

07 Giugno 2017 - 11:52

Parte da Bologna un appello nazionale “contro la repressione delle lotte sociali e politiche ed in difesa delle libertà democratiche”. Il testo è stato proposto dall’Usb e dalla Piattaforma Sociale Eurostop in occasione di un’assemblea pubblica che si è svolta nei giorni scorsi prendendo spunto dai decreti di condanna che hanno colpito nove attivisti accusati di aver partecipato alla manifestazione seguita alla morte di Abd El Salam, il delegato sindacale travolto da un camion durante una protesta dei facchini a Piacenza. Proprio ieri, tra l’altro, le stesse due sigle hanno segnalato pubblicamente l’inizio del processo per la contestazione ad un convegno del Pd che si svolse a Bologna nel maggio del 2014: “In quella occasione- ricordano Usb e Eurostop si svolse una manifestazione, presso l’Hotel I Portici, contro il Pd e il Governo Renzi per la concomitante votazione e approvazione dei primi decreti del Jobs Act”. Qualche mese dopo, furono 12 le denunce notificate e da parte dei manifestanti si ribadì che l’iniziativa al centro delle accuse fu “una giusta risposta all’arroganza di un Governo e di un Pd che proprio in quelle ore stava procedendo con l’ennesimo voto di fiducia all’approvazione del cosiddetto Jobs Act, un decreto che regala al padronato nuove forme di ricatto e di precarietà contro disoccupati e lavoratori”.

Tornando al documento proposto da Usb e Eurostop, questo è il testo: “Con questo appello intendiamo lanciare un serio segnale di allarme sullo stato delle libertà democratiche e dell’agibilità politica e sociale nel nostro paese. Stiamo verificando sempre più spesso l’uso di misure repressive contro attivisti sindacali, sociali, politici, semplici lavoratori impegnati nei conflitti che investono la società. Si tratta di misure unilaterali di polizia, eredità perdurante del codice penale del ventennio fascista, tese ad annullare l’agibilità in un territorio, una città, un terreno di lotta vertenziale. In particolare vengono utilizzati sempre più spesso provvedimenti repressivi – talvolta senza neanche un processo – che comminano sia pene detentive che forti sanzioni economiche. E’ accaduto recentemente ad attivisti sociali e sindacali a Bologna e in Calabria, ai lavoratori di una azienda partecipata del Comune di Roma. Accade sistematicamente contro attivisti dei movimenti di lotta per la casa, ai disoccupati napoletani o attivisti del movimento No Tav, a Torino e in Val di Susa. E’ importante cogliere l’obiettivo di queste misure repressive, solo apparentemente e momentaneamente ‘più leggere’ di quelle adottate negli anni delle ‘leggi d’emergenza’. C’è un nesso palese tra estensione dei provvedimenti repressivi e conseguenze della crisi economica che produce disoccupazione di massa, sfratti, chiusura di aziende, aumento vertiginoso delle disuguaglianze, brusche precipitazioni in condizioni di povertà per milioni di persone. Tutti gli indicatori del disagio sociale sono in rapida crescita, ma è scomparso il ruolo costituzionale della politica: trovare soluzioni, mantenere la coesione sociale, contrastare la crescita delle disuguaglianze sociali. Vincoli di bilancio e Trattati Europei concorrono alla deresponsabilizzazione del soggetto pubblico e alla distruzione dei sistemi di welfare. Le esigenze sociali di ogni ordine e grado, anche quelle minime, si trovano di fronte sempre più spesso solo le forze dell’ordine”.

Prosegue l’appello: “I Decreti Minniti su migranti e ‘decoro urbano’, ormai commutati in legge, sono l’unica risposta a questo scenario. Il governo attuale e quelli che seguiranno, sanno benissimo che per rispettare i parametri imposti da Bruxelles dovranno aumentare le misure ‘lacrime e sangue’, colpire ancora più pesantemente lavoratori, pensionati, famiglie. Una torsione particolarmente inaccettabile è poi quella diretta contro i migranti che introduce, nei fatti, un doppio standard giuridico e penale verso gli immigrati. Consapevole del lavoro sporco che dovrà fare, il governo ha creato un ‘sistema di deterrenza’ per scoraggiare ogni protesta sociale e neutralizzare i soggetti più attivi. Una repressione preventiva non riservata solo agli attivisti ma diretta soprattutto a lavoratori, disoccupati, senza casa, migranti. Sanzioni per migliaia di euro o restrizioni di polizia (fogli di via, obblighi di dimora, divieti di accesso ad alcune zone o città), che effetto devono produrre su un lavoratore Lsu, su un operaio di una fabbrica in via di chiusura, su una lavoratrice di un supermercato a part time o un giovane disoccupato? Il dogma della cosiddetta ‘legalità’ sta entrando apertamente in contraddizione con ogni richiesta di giustizia e uguaglianza sociale. Il 4 dicembre, un referendum popolare ha difeso la Costituzione e il suo impianto democratico da un attacco ispirato da questa filosofia. Ma non ha fermato il ‘programma politico’ che ne doveva derivare. Questo stillicidio quotidiano di denunce, provvedimenti restrittivi, sanzioni economiche, sta configurando un vero e proprio stato di polizia, forse meno appariscente di quello turco, ma animato dalla stessa filosofia. Riteniamo dunque urgente mettere in campo una vasta mobilitazione democratica nel paese contro questo clima politico e le leggi di polizia adottate. Si impone – e rapidamente – un cambio di passo. A cominciare da una amnistia e dalla depenalizzazione per i reati connessi alle lotte sociali e sindacali. Infine diventa urgente mettere in campo nel paese una vasta campagna democratica e popolare per abrogare il Decreto Minniti, diventato legge”.

I Cobas Lavoro privato, nel frattempo, comunicano l’apertura dello stato di agitazione, con sciopero e “possibilità di fermate e blocchi improvvisi”, al magazzino Gsi dell’Interporto, “in attesa di contatti per un incontro con Alma Spa”. La vertenza riguarda diversi temi tra  i quali il premio di produttività collettivo, le malattie, le aspettative e le condizioni di sicurezza sul lavoro. “Vogliamo una gestione seria e che rispetti e ripaghi giustamente il lavoro delle lavoratrici e dei lavoratori”, afferma il sindacato.