Opinioni

Alice è il diavolo (non un marchio)

Pubblichiamo la lettera inviataci da Salvatore Aloe (uno dei fondatori di Berberè) dopo l’articolo di Zic sull’apertura di una pizzeria a Londra con il nome della radio del ’77 bolognese. In calce, la nostra risposta.

15 Dicembre 2016 - 11:11

> La lettera inviata a Zeroincondotta dall’imprenditore Salvotore Aloe:

Caro Zic,

sono un tuo lettore, ed ho letto una cosa che hai scritto che riguarda me e mio fratello. Non era del tutto lusinghiera e la cosa ci fa dispiacere. Posso scriverti e rubarti due minuti di attenzione? Io conosco te, ma tu non conosci me e mio fratello, vorrei presentarci brevemente senza annoiarti troppo.

Siamo Salvatore e Matteo, siamo nati in Calabria, io alla fine dei settanta, Matteo a metà degli ottanta, da una famiglia fantastica, ma piuttosto umile. Nostro padre è stato un operaio tutta la vita, fino all’arrivo di una grande multinazionale che ha ridotto il personale, quindi un po’ di mobilità e poi cassa, mia mamma ha badato a noi (siamo in tre in totale) tutta la vita, e quando poteva lasciarci da soli ha fatto da bracciante. Non solo, tutto il resto della nostra famiglia ha origini contadine ed operaie, in Calabria, la prima a studiare, come parzialmente riporti anche tu è stata appunto nostra zia Francesca, dal ’76 a Bologna.

Insomma si andava veramente molto poco al ristorante. Perché ti ho riassunto molto brutalmente questo? Per inquadrare la nostra estrazione socio-culturale che, come potrai a questo punto immaginare, è piena di assemblee, Feste dell’Unità, discussioni accese, zio segretario ed unico iscritto del Psiup locale, poi rappresentante sindacale in una delle cattedrali più grandi dell’industria (mai nata) calabrese. Piena anche dei movimenti degli anni settanta di Bologna ovviamente, perché non so se lo sai, ma gli anni settanta in alcune parti d’Italia non sono mai finiti.

Così per tornare ai giorni nostri, anche io e i miei fratelli abbiamo studiato a Bologna seguendo il filo famigliare appunto e ci siamo interessati della città, a quello che rappresenta e ha rappresentato, della sua storia, la più recente e la più lontana, con ovviamente una curiosità ed una passione ben preparata nell’infanzia e adolescenza.

Una volta laureati, anche se per differenze anagrafiche io avevo un altro lavoro, seguendo la passione e le capacità soprattutto di mio fratello abbiamo cominciato ad occuparci di ristorazione. Sai cosa, il background culturale ci è servito, anche solo come spinta intellettuale se vogliamo.

Perché di imprenditoria di capitale non potevamo farne (lascio a te individuare gli intuibili motivi), e quindi ecco l’imprenditoria del capitale lavoro. Quello che abbiamo ereditato, il nostro lavoro. Dovresti conoscere il tema e la differenza di approccio. E allora per farla breve, Radio Alice. Cazzo per me, per noi, è un omaggio! Sincero. Non pensavamo di offendere né oltraggiare, né furbescamente appropriarci. Onestamente pensavo che Radio Alice fosse nata per tutti, fosse di tutti, pizzaioli compresi! Ho capito male? I pizzaioli sono esclusi? Perché? Noi non siamo intellettuali. Noi siamo artigiani.

Cerchiamo di trasmettere entusiasmo e mezzi a un sacco di ragazzi e ragazze che lavorano con noi (circa 70 in Italia), cerchiamo, nel nostro lavoro, di rappresentare lo spirito anche di Radio Alice e di coloro che hanno fatto il settantasette. Cerchiamo di applicare i principi del rispetto, della responsabilità e della gioia. Non è forse omaggiare anche Radio Alice? Sai da te, ti conosco te l’ho detto, mi sarei aspettato che verificassi chi siamo, non un “abbiamo sentito dire che le loro pizze non siano male, ma per acquistarle è necessario fare un leasing”. Ci aspettavamo da chi fa informazione un approfondito esame del nostro sangue e sulla realtà che abbiamo creato. Visto che non c’è stato allora faccio io il primo passo e ti invito a cena, poi decidi tu se tornare. Pago io, ti offro una pizza margherita, il servizio e una birra. Spenderò 14 euro inclusa Iva, quasi meno che da McDonald’s, e farò un figurone.

Poi mi piacerebbe che tu analizzassi questo della nostra realtà, ma cattivo eh: chi fa la farina e come, da dove arriva la mozzarella e chi la lavora, dove il pomodoro, se pago regolarmente e con contratti a tempo indeterminato chi l’ha fatta e chi te la porta al tavolo, se batto lo scontrino prima di dirti “buonanotte torna a trovarci”. Ecco questo è quello che intendiamo per rispetto, responsabilità e gioia. Scegliamo fornitori e partner che non usano lavoro nero, stanno lontani dal caporalato (mai sentito parlare di morti nei campi di pomodori?), non avvelenano i campi (la tua cena sarà completamente bio, bio veramente) e pensano alle future generazioni, paghiamo e contrattualizziamo ogni singolo nostro collaboratore. Lo sai che quasi sempre risultiamo non congrui nella categoria pizzerie? Sai perché? Perché abbiamo troppi dipendenti per il fatturato che sviluppiamo. Vero, troppi dipendenti in chiaro. Questa è la nostra piccola lotta, ognuno dovrebbe avere la sua piccola o grande, la nostra è piccola perché siamo solo dei semplici pizzaioli, la tua sarà più grande perché sei un giornale ed è giusto così, credo no? Ma vorrei anche io avere velleità intellettuali, riferimenti, sogni, utopie, posso? O sono riservate?

Non so perché ci affianchi a Farinetti, io personalmente non ho nulla contro lui, non conosco a fondo quello che fa e come, ma una cosa è evidente e francamente ci distingue. Noi non siamo commercianti, noi non “rappresentiamo” altri brands o prodotti, siamo artigiani, trasformatori di materia prima e lo facciamo direttamente noi, prendendoci tutti i rischi, altro che format e investitori. E sinceramente pensiamo di avere la libertà di poter omaggiare con il nostro lavoro e con i nostri valori chi desideriamo.

Stammi bene e… zut!

Salvatore Aloe

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> La risposta della redazione di Zeroincondotta:

radio-alice-diavoloCaro Salvatore,

la tua lettera di risposta ci sta, così come il tuo dispiacere per l’articolo sulla “radioalicepizzeria”. Forse non lo sai, ma anche il titolo del nostro giornale è frutto di una “appropriazione indebita”. Alla sua nascita ci siamo ispirati allo “Zéro de conduite”, un mediometraggio uscito nel 1933, del regista francese Jean Vigo. Non sono in molti a conoscerlo, anche se è considerato uno dei più grandi maestri della cinematografia. In qualche modo anche Enrico Ghezzi è stato di questo parere, utilizzando per la copertina del suo “Fuori Orario” su Rai Tre una straordinaria sequenza subacquea tratta dal film di Vigo “L’Atalante”. Jean era nato a Parigi ai primi del novecento ed era figlio di un attivista anarchico basco. Fin da giovane fu colpito da una forma grave di tubercolosi che gli condizionò pesantemente il corso della vita. Se ne andò giovanissimo, a soli 29 anni, con appena 180 minuti di filmografia . Nella sua brevissima esistenza fu in grado, però, di dare alla luce un film come “Zéro de conduite”, un vero e proprio inno libertario e di ribellione. Si tratta di una pellicola irriverente, sottoposta per diversi anni a una pesante censura, in cui un gruppo di ragazzini di ritorno dalle vacanze, decide di ribellarsi alle sanzioni severe e alla gestione ottusa del collegio dove sono costretti a vivere e a studiare. Il tutto parte dal “zero in condotta” con cui quattro di loro vengono puniti. Con la sequenza della “battaglia dei cuscini” si sprigiona una ribellione canzonatoria carica di una scomposta fisicità. L’azione giunge al suo culmine quando i quattro ragazzi organizzano una vera e propria sollevazione in occasione della festa della scuola, mettendo alla berlina preside e tutori, fuggendo poi sui tetti, verso l’orizzonte di una nuova libertà.

Te l’abbiamo tenuta un po’ lunga per farti conoscere, così come hai fatto tu, le nostre radici. Non siamo intellettuali con la puzza sotto il naso, nella nostra redazione la maggior parte di chi scrive fa parte di una generazione precaria che per vivere è costretta a tanti i tipi di lavori e lavoretti. Nell’arco della sua giornata, però, fa di tutto per ritagliarsi uno spazio di “informazione partigiana”, sacrificando volentieri (e gratis) qualche ora del suo tempo per far emergere notizie che i media ufficiali snobbano o cestinano.

In redazione c’è anche qualcuno più vecchio che ha bazzicato nelle stanze di Radio Alice, e che è ancora legato al concetto di informazione che circolava all’ultimo piano di via del Pratello 41: “Come spazio bianco da scriversi giorno dopo giorno”. E si ricorda ancora bene come, nel ’77, Alice fosse la voce per tutti quelli che non avevano mai contato, per coloro la cui opinione non era mai stata chiesta, per i tanti che erano stati costretti, per anni, a vivere ai margini della città più democratica del mondo, dai suoi lussi e dai suoi consumi. Dai suoi microfoni, attraverso l’etere, si diffusero le voci di uno nuovo movimento che inondò le strade, le piazze e le aule delle facoltà universitarie. Poi, nel marzo del ’77, Alice diventò la radio degli insorti. Sono alcune delle cose che Zic si sforza di fare ancora, in un contesto naturalmente diverso. Quella radio, certo, voleva essere di tutte e di tutti: degli studenti e delle studentesse, dei giovani operai, dei dipendenti pubblici, delle femministe, dei facchini e dei manovali. C’erano pure i pizzaioli… ma ne suoi locali si sfornavano idee e non pizze.

Noi non abbiamo messo in discussione il modo con cui organizzate il vostro lavoro o la filiera del vostro prodotto. Avete voluto chiamare la vostra impresa Radio Alice? Ok… Altri che presero parte a quell’esperienza e che, in seguito, hanno aperto negozi di dischi, bar o aziendine di software o di video, o si sono messi a fare i muratori (pur avendo la laurea del Dams) non hanno pensato di usare quel “marchio” per la loro ditta. Voi avete fatto quella scelta “stilistica”, noi ci siamo presi la libertà e la briga di criticarla: tutto qua. E l’avremmo fatto anche se qualcuno avesse aperto un bed and breakfast nella mansarda di via del Pratello 41 e l’avesse chiamato Radio Alice.

La redazione di Zic