Opinioni

A volte ritornano

Resistenze in Cirenaica sulla delibera con cui il Comune di Bologna ha approvato le denominazioni delle nuove aree di circolazione realizzate in città: “Due sole nuove intitolazioni su 26 celebrano le donne” e vengono al contempo ricordate figure ambigue come quella di Luigi Amedeo di Savoia-Aosta, “legato ai valori della monarchia e del colonialismo”.

24 Febbraio 2021 - 13:01

di Resistenze in Cirenaica

Con la delibera del 9 febbraio 2021, Denominazione di nuove aree di circolazione, la Giunta comunale di Bologna, guidata dal sindaco Virginio Merola, su proposta dell’assessore Virginia Gieri, ha approvato le intitolazioni delle nuove aree di circolazione realizzate in città. Il provvedimento fa seguito al lavoro svolto nel 2020 dalla Commissione consultiva per la denominazione delle vie cittadine che ha proposto i nomi da assegnare e a cui i rispettivi consigli di quartiere hanno espresso parere favorevole. Il comunicato stampa del comune è essenziale. Diretto e senza fronzoli trascende persino il burocratese. Il logo minimale in alto a sinistra è l’unico vezzo che si concede e via, subito al cuore della questione: nuove intitolazioni. 26 nuovi odonimi, come fili, andranno a intessere la trama dell’arazzo cittadino. Nomi sullo stradario, che una volta erano inchiostro sul TuttoCittà, coordinate per orientarsi. Ma è tutto qui?

I nomi delle strade sono anche numi tutelari; presiedono un luogo e, in qualche modo, ne influenzano il destino. Nominare qualcosa significa evocarlo, farlo apparire. Dare un nome a qualcosa è una magia: le parole sono incantesimi. Nella lingua inglese è un concetto talmente ovvio che lettere e sortilegi sono accomunate dal verbo to spell. Anche l’effetto che il nome di un luogo sortisce su chi lo abita o chi lo attraversa è diverso. Persino a livello subliminale, abitare in via delle Rose o in via della Battaglia non è la stessa cosa. Scegliendo un odonimo non si influenzano solo l’immagine e l’immaginario di una città ma anche le vite di chi la abita e quando si tratta di un nome che viene dal passato si influenzano anche il presente e il futuro non solo del luogo. La toponomastica dunque è politica. La storia del rione Cirenaica a Bologna ne è un esempio piuttosto efficace. Senza la delibera della seduta consigliare presieduta dal sindaco Dozza nel 1949 che cambiò i nomi delle strade del rione libico legati al colonialismo fascista (ma non a quello giolittiano), per esempio, Resistenze in Cirenaica non esisterebbe. Da allora il reticolo di vie del quartiere celebra la Liberazione con una serie di vie dedicate ad alcuni partigiani (maschi). Scelte. Politiche.

Da qualche anno a questa parte, si discute sulla questione odonomastica a livello internazionale. Una delle punte dell’Iceberg che ha fatto rizzare le antenne alla stampa è stato il movimento Black Lives Matter in Usa. Odonimi, statue, simboli legati alla segregazione razziale e alla schiavitù sono stati al centro del dibattito americano e, di rimbalzo, occidentale.

In Italia la guerriglia odonomastica da un lato e, in certi casi, alcuni iter istituzionali (come nel caso del bassorilievo di Mussolini e del Monumento alla Vittoria a Bolzano), hanno contribuito a ri-contestualizzare storicamente la toponomastica. Via Libia, direttrice principale della Cirenaica, è diventata in una notte via Libia, luogo di crimini del colonialismo italiano. Da allora vivere in via Libia non è come vivere in corso Svizzera o in viale Svezia. Quel nome ha ritrovato la sua collocazione spazio-temporale raccontando la sua storia in relazione alla nostra.

Laddove i nomi delle strade sono stati cambiati e non ri-contestualizzati – come nel goliardico caso di Foggia in cui via Almirante si è trasformata in via Pacciani – o i monumenti imbrattati – come la statua di Montanelli a Milano o il bassorilievo di Umberto I a Bologna – si è trattato comunque di un contro-incantesimo, se non di un esorcismo.

Nel biennio 2019 – 2020 si è discusso molto del portato storico-politico dell’odonomastica. Le scelte in materia da parte delle istituzioni, di conseguenza, non possono più passare inosservate. Tra esse c’è anche la nuova delibera del comune di Bologna. 26 nuovi odonimi tra rotonde, sottopassi, aree verdi, tratti di strade, ponti, sentieri e rotonde. Il primo dato che salta all’occhio, al netto di un paio di odonimi strettamente connessi ai luoghi in questione, è che due sole nuove intitolazioni celebrano le donne: un’area verde (Alda Merini) e un ponte (Chiara Lubich); le altre ricordano tutte figure maschili: premi nobel, ingegneri, piloti, avvocati, botanici, partigiani, medici, politici, fisici, scrittori, storici e un duca. Un duca? Sì, un duca, che di per sé è già una cosa bizzarra in un paese che ha scelto di diventare una repubblica molto tempo fa, ma per di più un duca di casa Savoia.

Perché si è scelto di promuovere il ricordo di un personaggio legato ai valori della monarchia e del colonialismo? Perché rischiare che la celebrazione di queste figure ambigue apra le porte al revisionismo? Persino in una mera ottica di marketing territoriale una scelta simile appare, come minimo, dettata da sprovveduta cecità. E non è la prima volta. Dopo aver riportato un bassorilievo di Umberto I in piazza Maggiore accanto al sacrario dei partigiani caduti per la Liberazione adducendo motivi “artistici”, l’amministrazione comunale adesso vuole intitolare una rotonda a Luigi Amedeo Giuseppe Maria Ferdinando Francesco di Savoia primo duca degli Abruzzi in qualità di esploratore (!).

Esploratore, già. Polo Nord, Alpi, Nanga Parabat, Karakorum, circumnavigazione del globo… e Africa. Ma cosa ci faceva in Africa? Andava alla scoperta delle sorgenti del Uebi Scebeli e sedava “disordini”. In Somalia occupava, con le truppe del Regio Esercito, Mogadiscio in nome della democrazia, ops della monarchia. Ma che volete che sia un’invasione, rispetto all’amore che Luigi Amedeo Giuseppe Maria Ferdinando Francesco di Savoia primo duca degli Abruzzi serbava per la “sua” Africa, dove si è ritirato da latifondista nella sua colonia personale, Villabruzzi, fino alla morte nel 1933. Parole sue, preferiva che intorno alla sua tomba s’intrecciassero le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati… Cosa preferissero le donne somale non era dato sapere. E non lo è tuttora. Cosa penseranno quando passeranno dalla rotonda intitolata a un colonialista da ipocriti burocrati civilizzati? E noi, noi cosa penseremo?

Anche una via intitolata ad Antonio Baldacci ci fa pizzicare il senso di ragno (come lo fa un giardino proprio Cirenaica, ma su questo ci torneremo). L’esimio bolognese non era solo uno botanico e un cartografo, le sue spedizioni in Montenegro e Albania erano collegate all’attività – in odore di spionaggio – di promozione degli interessi nazionali italiani in area balcanica, espressione delle ambizioni colonialiste confluite poi nel progetto fascista della cosiddetta “Grande Italia”.

L’attuale dibattito sulla questione odonomastica ha messo in rilievo la fallacia delle politiche di conciliazione nazionale. L’asfittica retorica che paragona l’italianissimo Giorno del Ricordo all’internazionale Giorno della Memoria è una scelta politica irresponsabile, oltre che un approccio semplicistico al problema, espressione di un atteggiamento cerchiobottista che dovrebbe fare contenti tutti senza distinzioni, ma che non fa altro che aprire la porta al revisionismo storico.

Ehi, Bologna: davvero c’è bisogno di una rotonda intitolata al duca degli Abruzzi? E davvero c’era bisogno di riesumare Umberto I, mandante di uno sterminio di donne e bambini inermi, di sistemarlo accanto a chi ha sacrificato la sua vita per la libertà e per un futuro più giusto? Davvero dobbiamo pagare una camionetta delle forze dell’ordine per evitare che qualcunə “osi” imbrattarlo di vernice rosa? Insomma c’era davvero bisogno di far tornare questi putridi zombi savoiardi per le strade?

Forse è giunto il momento di interrogarsi sulle scelte toponomastiche e sugli incantesimi che vogliamo lanciare sulle nostre città.

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