Acabnews Bologna

“A fianco della resistenza di Afrin” [audio]

Presidio stamane in piazza del Nettuno contro Erdogan e in sostegno dei rivoluzionari curdi. Tra i manifestanti due internazionalisti che hanno combattuto con le Ypg: “Non è ammissibile stare a guardare”.

27 Gennaio 2018 - 16:11

Questa mattina un partecipato presidio in piazza del Nettuno ha protestato contro l’attacco dell’esercito turco al Rojava, nella Siria del Nord.

Scrivono Ya Basta, Tpo e Làbas: “Afrin, assieme a Kobane e Jazira, è uno dei tre cantoni del Rojava, una zona in cui dal 2012 i kurdi costruiscono un progetto di democrazia radicale, basato sull’autogoverno per realizzare l’uguaglianza e la piena giustizia sociale in quei territori. Il confederalismo democratico, che è l’intuizione filosofica dietro questo progetto, è stato pensato e teorizzato da Abdullah Ocalan (detenuto nelle carceri turche dal 1999), leader di questo movimento e del PKK, ritenuto erroneamente un’organizzazione terroristica. L’accusa di terrorismo al movimento kurdo è la giustificazione con cui il Presidente turco Erdogan si crede legittimato a bombardare il cantone di Afrin causando già decine di vittime civili”.

Proseguono i collettivi: “Ma chi bisogna accusare di terrorismo? Non certo i kurdi, che da anni combattono contro l’Isis e contro ogni forma di fondamentalismo islamico, che hanno resistito a Kobane e liberato Raqqa, capitale del sedicente Stato Islamico! I veri terroristi sono invece coloro che da sempre supportano l’avanzata dell’estremismo religioso e sradicano il diritto alla libertà. Questo sta facendo il Governo turco, tramite le cosiddette “purghe” ha di fatto silenziato ogni forma di dissenso nel proprio Paese. La repressione e gli arresti di migliaia di amministratori, attivisti, giornalisti, accademici, avvocati, giudici, artisti e gli assedi nelle città del sud est della Turchia, delineano nuove forme di fascismo in Turchia. C’è anche una preoccupante complicità con la politica di violenza e terrorismo del Governo turco, ed è quella del silenzio della comunità internazionale e dell’Unione Europea, mute davanti alle immagini di queste ore che svelano l’uccisione indiscriminata e volontaria di civili”.

In piazza anche  e Nodo sociale antifascista, che scrive: “Oggi, schierarsi al fianco della rivoluzione del Rojava non è solo un fatto di solidarietà, ma è anche un modo per ribadire che non si potrà sconfiggere il fascismo crescente in Europa e nel mondo senza costruire autorganizzazione e autonomia sociale. Che non ci si potrà liberare dalla gerarchizzazione della società e dal neocolonialismo finanziario senza sviluppare ovunque percorsi concreti di alternativa politica e di rivoluzione sociale. Giù le mani da Afrin e dalla rivoluzione del Rojava!”.

Tra i manifestanti anche due dei cinque italiani partiti dalla provincia di Torino, in questi anni, per combattere nella guerra contro lo Stato islamico-Isis in Siria (ieri intervenuti in una affollatissima iniziativa proprio a Vag61) firmatari di una lettera diffusa in questi giorni e letta durante la manifestazione: da Afrin, spiegano, “da sei anni la popolazione rifiuta tanto il potere del dittatore Assad quanto il dominio degli islamisti di Al-Qaeda o dell’Isis, opponendosi ai disegni di invasione del presidente islamista turco Erdogan. Afrin in questo momento resiste grazie alle Unità di Protezione del Popolo YPG curde e alle Forze Siriane Democratiche SDF in cui i curdi combattono assieme ad arabi e cristiani. Sono le stesse forze che hanno difeso Kobane e messo il primo argine all’Isis, per poi distruggerlo pezzo per pezzo fino alla liberazione di Raqqa. Il mondo intero deve essere grato ad Afrin e alle SDF-YPG per questo immane sforzo nell’interesse delle popolazioni della Siria, del medio oriente, dell’Europa e di tutto il pianeta. Oggi che un esercito Nato schiaccia nel sangue l’unico tentativo di liberazione femminile e popolare del medio oriente, non è ammissibile stare a guardare”. L’appello è firmato da Davide Grasso, Paolo Pachino, Cekdar Egid, Berxwedan Roj e Botan Baran.

> Nell’audio raccolto in piazza l’appello delle donne di Rete Kurdistan: