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11 marzo: “Niente da condividere con gli sciacalli”

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato di Hobo sulle contestazioni a Ronchi, Naldi e Nicoletti, durante la commemorazione per Francesco Lorusso. “L’11 marzo è tornato al suo posto: nel calendario delle lotte”.

14 Marzo 2014 - 18:00

Niente da condividere con gli sciacalli

“Il soggetto della conoscenza storica è la classe stessa che combatte. In Marx essa appare come l’ultima classe schiava, come la classe vendicatrice, che porta a termine l’opera della liberazione in nome di generazioni di vinti. Questa coscienza, che è tornata ad affermarsi per breve tempo nella Lega di Spartaco, è sempre stata ostica alla socialdemocrazia. […] La classe disapprese, a questa scuola, sia l’odio che la volontà di sacrificio. Poiché entrambi si alimentano all’immagine degli avi asserviti, e non all’ideale dei liberi nipoti”

(Walter Benjamin, Tesi di filosofia della storia)

L’11 marzo 2014 è stata una giornata importante. I rappresentanti del blocco di potere cittadino sono stati cacciati dal luogo in cui i loro predecessori avevano assassinato Francesco, i lavoratori della logistica hanno bloccato Cogefrin, centinaia di studenti e precari si sono ripresi le strade e le piazze di Bologna, si è svolto un partecipatissimo incontro di autoformazione sulla militanza autonoma. L’11 marzo è tornato al suo posto: nel calendario delle lotte. Lo diciamo adesso, perché nei giorni scorsi abbiamo scelto di non confonderci con il rumore dei media e con lo starnazzare dei miserabili imprenditori della politica. Scegliamo noi quando e come parlare. Per noi, infatti, sono solo le lotte a costruire i calendari, a dettare i ritmi, a fare la storia.

Ed è dentro questa storia che l’11 marzo si colloca. È una storia che appartiene a una parte contro un’altra parte, alla dignità contro l’infamia. È una storia irriducibilmente divisa, perché irriducibilmente divisa è questa società: da una parte gli sfruttatori, dall’altra gli sfruttati. Chi oggi vuole condividere la memoria, vuole solo espropriarci di ciò che ci appartiene: la forza della nostra storia. Questa storia non è scritta su nessun libro, perché la scrive chi la continua. Non è fissata una volta per tutte, perché la reinventa continuamente chi vi appartiene. Non è proprietà di qualcuno, perché la racconta chi la vive collettivamente. Per questo un compagno assassinato dai nostri nemici non appartiene a un gruppo o a un altro, ma alla storia della lotta di classe. Alla storia di tutte e tutti noi che siamo e abbiamo scelto di stare da questa parte della barricata. Non c’è nessun notaio a cui ci si possa rivolgere: l’eredità rivoluzionaria può essere esercitata solo se la si continua, la si incarna, la si reinventa dentro la materialità dei processi di trasformazione sociale.

A cacciare gli sciacalli da via Mascarella non sono stati uno o più collettivi. Noi abbiamo semplicemente dato il nostro umile contributo. A cacciare questi piccoli uomini e piccole donne senza vergogna e dignità, la cui arroganza è direttamente proporzionale alla loro stupidità, è stata una sollevazione spontanea e comune di indignazione e di rabbia: studenti e precarie, vecchie e nuove generazioni militanti, chi era presente fisicamente e chi non poteva esserlo, perché colpito da un divieto di dimora o perché obbligato a mille lavoretti per campare. E lì abbiamo sentito vicino a noi Francesco e Berkin, un ragazzo di quindici anni ucciso dalla polizia turca. Abbiamo cacciato gli sciacalli perché degli assassini di Francesco loro sono gli eredi, delle misure cautelari contro gli studenti di Piazza Verdi sono i mandanti, della precarizzazione e della distruzione dell’università sono i protagonisti, dello sfruttamento dei lavoratori della logistica sono i complici.

Non li abbiamo cacciati in nome del passato, ma per riprenderci il presente. Per rilanciare sulle lotte contro le cooperative, per costruire un’altra università, per continuare a batterci contro i baroni, per riappropriarci degli spazi urbani.

Non ci appartiene il culto dei caduti, perché la nostra storia non è un museo. Non ci sono mai piaciuti i vittimismi e i lamenti, perché abbiamo imparato quello che ci hanno insegnato le Black Panthers: un nemico che tortura è un nemico debole. Questo nemico, poi, è debole e presuntuoso, solo chiacchiere e poltrone. L’unico diritto che gli riconosciamo è quello di tacere. Loro sì vivono prigionieri del passato, di una pace sociale garantita dai carri armati e dai carabinieri con licenza di uccidere. Noi, le nostre generazioni, meriteremmo perfino dei nemici migliori. Ecco allora perché li abbiamo cacciati: perché solo cacciando questi sciacalli possiamo vivere felici. Ed ecco perché continueremo a cacciarli, perché ogni giorno per noi è primavera.

Ps: Scegliamo così di pubblicare oggi questa riflessione nel giorno in cui le compagne e i compagni presentano a Vag “Rivolta”, un video sulla storia dell’Autonomia Operaia a Bologna. La memoria non è memorialistica, ma la capacità di riannodare i fili della nostra storia attorno al presente. Per accumulare forza, per rovesciarlo, per spiccare collettivamente il balzo della tigre.

Hobo – Laboratorio dei saperi comuni