Istruzione, welfare e autodeteminazione

NoGelmini / Su DL 133 e 137, pensieri femministi sull'autoriforma

"Crediamo che la volontà di autoriforma non possa prescindere da un'analisi di genere sul sistema universitario italiano"
13 novembre 2008 - Figliefemmine (Collettivo Femminista Universitario)

Come femministe che lottano, si muovono e creano saperi all'interno dell'università crediamo sia fondamentale un'analisi dal punto di vista di genere degli ultimi decreti legge in materia di istruzione e welfare. Prendiamo parola come componenti del movimento sulla reale condizione delle donne nel sistema universitario attuale, con la volontà di portare un contributo alla critica dell'esistente e alla volontà di autoriforma espressa dalle studentesse e dagli studenti.

Partiamo dalla pesante ricaduta che ha lo smantellamento del welfare, di cui i decreti Tremonti-Gelmini sono espressione, sulle donne e sulla nostra libertà di autodeterminazione. Oltre a delegare la nostra salute ad enti privati, tagliando fondi ai Consultori e persino ai Centri Antiviolenza, promuove una retorica familista neo-fascista, in cui il lavoro di cura si riversa completamente sulle spalle delle donne, ancora una volta ricacciate in casa a occuparsi di bambini e anziani. La famiglia è il luogo primario delle violenze contro le donne e del controllo sui nostri corpi e sulle nostre vite. Un'altra conseguenza è la gerarchizzazione femminile su linee razziali e di classe del lavoro di cura che si traduce in una regolazione dei flussi migratori sulla base dei servizi che il pubblico non vuole più garantire.

Il DL 137 riduce il tempo scolastico a 24 ore settimanali, decretando la scomparsa del tempo pieno. Questo pone fine ad un progetto pedagogico avanzato e decreta una divisione di classe tra madri che possono pagare per lasciare i bambini a scuola e madri che saranno costrette a pagare col proprio tempo e progetto di vita, tenendoli a casa, visto e considerato che ancora oggi gli uomini-padri non sembrano condividere quanto dovrebbero il lavoro di cura. Meno tempo a scuola e classi differenziali per migranti significano precisa volontà di discriminazione e pongono le basi per un'educazione razzista, xenofoba, sulla scorta di un "pensiero unico" catto-fascista.

L'insegnamento nelle scuole primarie è tuttora demandato alle donne. Questa femminilizzazione dell'educazione comporta il perpetuarsi dello stereotipo che ci vuole inserite all'interno del mondo dell'istruzione solo nei gradi più vicini alle funzioni materne. L'enorme presenza di donne nelle scuole elementari e la decisione della Gelmini di imporre alle classi una maestra unica comporta il futuro licenziamento di massa delle donne. La "razionalizzazione" del personale ATA sancita nel DL 133 significa anch'essa licenziamenti per le donne, che rappresentano due terzi dei lavoratori, e incide ulteriormente sull'occupazione femminile che nel nostro paese non può vantare dati dignitosi. Le modifiche all'iter di richiesta del part-time, che diventa una "concessione dell'amministrazione" penalizzano ancora una volta le donne che in un numero maggiore usufruiscono di questa modalità lavorativa.

La critica al DL 133, nella parte riservata alla "riforma" dell'Università, che in realtà sancisce tagli economici, di personale e la trasformazione dell'Università pubblica in fondazioni private, non può esimersi da un'analisi delle nefaste condizioni del sistema universitario precedente. In particolare è un sistema che per le donne rappresenta ancora un "tetto di cristallo". Le donne laureate superano di gran lunga il numero di uomini laureati ogni anno, il numero di ricercatrici di III Livello (precarie e sottopagate) è in aumento, ma risulta in decremento il dato sulle ricercatrici di I livello, il numero di docenti ordinarie è inferiore alla media europea, e nel CRUI (Conferenza Rettori Università Italiana) ci sono solo 2 donne su 67 membri, che rappresentano il 2, 6% contro il 25% francese. Il sapere è di fatto in mano maschile come in tutti gli ambiti economico-politici italiani, e si traduce nelle tante forme di potere patriarcale.

Riteniamo che il blocco del turn-over al 20% penalizzerà ulteriormente le donne, e le possibilità di ricerca sui saperi "non convenzionali" per il sistema italiano e in particolare sui "grandi assenti" Gender Studies. Con i tagli e senza una precisa volontà politica, la sperimentazione nella ricerca non è ammessa, la razionalizzazione finisce per limitare anche la ricerca tradizionale e a mercificare il sapere.

Da una parte in Italia, a differenza da tanti paesi europei e extraeuropei non esistono Lauree triennali in Studi di Genere. D'altra parte quando si traducono in insegnamenti all'interno di triennali o specialistiche vengono trasmessi dal punto di vista metodologico come specificità, senza metterne in pratica gli aspetti di messa in discussione della didattica ufficiale e delle asimmetrie di potere (si ripropone la lezione frontale, nozionistica…). I temi degli studi di genere si ritrovano a dover stare all'interno di compartimenti stagni limitanti, e, dove esistono, vengono relegati a nicchie di saperi che non prevedono la contaminazione con gli altri, neutralizzandone la natura trasversale a tutti gli altri insegnamenti. Non è prevista inoltre l'integrazione della didattica ufficiale con saperi che provengano dal basso, da soggettività altre, come le espressioni di movimento della società civile, in questo caso di donne femministe e lesbiche. Questo provoca l'esclusione di temi che noi consideriamo fondamentali per la formazione ma che il "sistema" non considera neutri, perciò sufficientemente scientifici o razionali. Ad esempio sembra impensabile proporre tesi di ricerca o addirittura corsi sull'autodeterminazione delle donne, sulla sessualità, sul sex work, sulle esperienze e la storia dei movimenti lgbtqi o sul transessualismo. Sono temi che, se portati dal basso all'interno dell'università possono aprire delle brecce, mettere in discussione l'intera impalcatura patriarcale sulla quale si regge il sistema di sapere-potere interno ed esterno all'università stessa.

Crediamo che la volontà di autoriforma non possa prescindere da un'analisi di genere sul sistema universitario italiano. Se l'onda decidesse di omettere questa critica, finirebbe per riproporre quel concetto di "neutralità" che finisce per escludere le esistenze, resistenze e desideri di tutte e tutti.

Figliefemmine (Bologna)

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