Questa storia non si cancella

Via del Pratello: il cuore di Bologna

Questo è il racconto vero (con le caratteristiche del fantastico) di una antica e popolare strada di Bologna, Via del Pratello. Strada di miseria e di fame ma anche di grande dignità, dove i ladri e le prostitute si mescolavano alla povera gente onesta e convivevano in una alternanza di intese e rifiuti, che avevano comunque come collante la solidarietà degli "esclusi". La vita della "comunità del Pratello” e la vita della sua strada sono sempre andate avanti di pari passo, invecchiando e cambiando insieme attraverso i piccoli fatti quotidiani e i grandi avvenimenti che hanno segnato la storia di Bologna dall'avvento del fascismo fino ai giorni nostri.
12 novembre 2008 - Archivio storico di ZIC

La clandestinità e la resistenza, la liberazione e il dopoguerra, l'osteria dove si pagava a tempo, l'ex-manicomio Roncati con i letti di contenzione, il Circolo Pavese, Radio Alice, Papa Ricki e le case occupate, un centro sociale en plein air, Osvaldo prima pescivendolo (sotto le sembianze di capitan Akab) poi oste, il barbiere, il calzolaio, il giornalaio-libraio del crociale e le anziane signore, hanno rappresentato , nel corso degli anni, le storie e i punti di vista diversi sullo stato di salute del Pratello, un luogo dove andare per prendersi il tempo della libertà. Con questa raccolta di articoli di Mongolfiera e Zero in condotta (dal 1987 al 2003) diamo forza e contenuti alla battaglia contro le ordinanze del sindaco Cofferati che vogliono soffocare l’anima della città.

Pino Cacucci IL CUORE DI BOLOGNA

di Pino Cacucci (articolo tratto dalla rubrica “I racconti di Gino Mastruzzi”)
da Mongolfiera – Settimanale 24 giugno 1993

Il sabato mattina, soprattutto. Sul tardi, quando il quartiere si risvegliava e nell'aria si sentivano rumori lenti, come di membra che si stirano, e odori calmi, di mangiarini preparati senza fretta. Era il suo quartiere, il suo guscio conosciuto al millimetro, ogni angolo, ogni sguardo, cenni, gesti familiari, facce sincere non incarognite dall’obbligo alla solitudine. Mastruzzi ci viveva da una vita, ne amava i muri sofferti, i portici intimi, le porte consumate dalle mani di venti generazioni, amava quel cogliere frammenti di chiacchiere sotto le colonne scrostate, parole scambiate fra persone che avevano ancora voglia di fermarsi e dimenticare le mille cose da fare per sopravvivere, fosse per un'ora o soltanto per un minuto. II Pratello era I'ultimo pezzetto di una Bologna scomparsa, I'anima della città com'era stata un tempo, quando scendere in strada era ancora un modo per incontrare gente; il Pratello era la Bologna come la si amava vedere dall'esterno aperta, disponibile al dialogo, solidale. Solo che, di quella Bologna lì, ne era rimasto appena un fazzoletto. E chi ci abitava non lo immaginava come un quartiere, ma piuttosto un borgo, che da qualche anno si sentiva una cittadella assediata. Mastruzzi passeggiava sotto i portici, leggendo scritte a pennarello e annunci ciclostilati, pensando che se il "progresso" significava la fine di tutto questo, allora tanto valeva sentirsi vecchi e ostinarsi a fermare il tempo. Eppure non era un quartiere di vecchi. Non invecchia mai, pensava, chi a settant'anni è capace di capire perché a venti possa farti schifo tutto. Lo pensava passando davanti alle case occupate dai ragazzi coi capelli dritti e gli sguardi ansiosi, quelli che all'inizio i vicini avevano sbirciato di traverso, e poi, com'era d'abitudine al Pratello, erano diventati parte della famiglia, perché la voglia di parlare con chi ti sembra estraneo e diverso al Pratello faceva sì che alla fine tutti capivano che c'era sempre un motivo per essere come uno era. Mastruzzi non avrebbe mai potuto fare a meno di quell’ambiente, di quel clima, di quell'aria pulita e libera dal bisogno ottuso di catalogare gli altri. AI Pratello si rimaneva persone indipendentemente da come ti guadagnavi da vivere la notte, o da quello che ti mettevi in vena, o da ciò che compravi o rivendevi; non ti giudicavano per il chiasso o il silenzio, nè per la camicia o I'annata della tua macchina, contava solo quel che facevi e dicevi agli altri. Un mondo a parte, certo, un rimasuglio di umanità destinato all'estinzione. Perché Bologna non sorgeva su un colle di Giove, non orbitava su un anello di Saturno, ma faceva parte di un'ltalia di un'Europa di un Occidente ben precisi, di un'epoca spietata. E il Pratello stava nel cuore di quella Bologna lì, un cuore chiuso in un torace di banche e immobiliari, che compravano tutto per rivendere a pochi, sventravano case per farne dimore asettiche da sei milioni al metro quadro. Come spiegarlo, al resto della città frenetica e affannata dal dimostrare di essere sempre più ricca, che al Pratello si difendeva la dignità della povertà: possedere poco perché la vita non è per forza accumulare cose, e riempirsi d'inutile e arrivare a sera per chiudersi in una tana pulita e silenziosa... Mastruzzi guardava verso i tetti, pensava a quanti ne avevano sfondati per far marcire i muri e costringere la gente ad andarsene, pensava ai cellulari coi marziani in assetto da battaglia che arrivavano all'alba per cacciare qualche "abusivo", e pensava che abusivi erano gli inquilini del primo condominio bunker, quelli a cui non avrebbero rubato biciclette perché tanto andavano in macchina anche dal giornalaio, quelli a cui nessuno avrebbe potuto rubare il cuore perché se I'erano già venduto.



via del Pratello IL PRATELLO RACCONTATO DA ERCOLE CAVALLARI
Tratto da Mongolfiera- quindicinale (anno 1987)

Questo testo fu scritto nel 1978, a 75 anni, da Ercole Cavallari uno degli animatori politici e sociali, fin dagli anni successivi la fine della prima guerra mondiale, di quel gruppo di strade (Pietralata, S. Croce, della Grada, Paradiso, Pratello) conosciuto ai più come “Il Pratello”. Cavallari legò la sua vita a questa parte di Bologna: fu uno dei fondatori del Circolo Pavese. Questa testimonianza diretta dà un’idea molto concreta del “cordone ombelicale” che legava il Pavese al suo rione.
Il testo viene pubblicato nella forma lessicale originaria.

Pcr inquadrare bene la storia sociale di via Pratello è neccssario congiungere la strada a via Pietralata, via S. Croce c via dclla Grada perché strettamente lcgate nelle loro attività. Un collegamento che va allargato anche alla sua chiesa e ai suoi strati sociali, composti in gran parte da sottoproletariato, con un buon numcro di lavoranti a domicilio, calzolai, tipografi, donne di servizio, lavandaie. Grossa la fetta di persone dedite alla malavita e alla prostituzionc. Pochi, invece, gli operai, come pure i piccoli esercenti e gli artigiani.
Via del Pratello era allacciata a via della Grada e a via S.Croce soprattutto per l’attività delle lavandaie. In quelle strade si svolgeva infatti la loro attività. Le bugadarie (le lavanderie) e i gradini del Reno erano i luoghi dove si svolgeva una vcra e propria solidarietà di classe.
Attività economiche vere e proprie non ce n’erano, se non quelle dei piccoli commercianti e degli artigiani.
Questo fino alla fine della prima guerra mondiale.
E’ necessario, per avere un quadro completo dclla vita del rione in quel periodo, tenere presente che vi funzionavano due dormitori pubblici per i senza fissa dimora.
Ecco perché divenne famosa l’Osteria di Ghiton, con le sue leggende e le sue storie. Infatti, Ghiton era una specie di stazione, con annesse due rimesse di fiacher e la stalla, dove sostavano i mezzi che caricavano per strada i tanti poverecci. L’osteria era una vera e propria confraternita di mutilati e invalidi.
Non bisogna ignorare poi la forte Bal1a dei facchini, con la loro ferrea organizzazione. Anche la chiesa aveva una certa inf1uenza moralizzatrice, tanto più che il parroco era il cappellano di San Giovanni in Monte. Quel prete era ben voluto dalla popolazione anche perché si dava da fare ed cra abbastanza democratico. Questo anche se la popolazione non era troppo chiesaio1a.
L’istruzione era invece al più basso livcllo. I ragazzi, nella maggior parte dei casi, al massimo arrivavano alla quarta elementare.
Penso che solo il dieci per cento supcrasse questi studi, e molti dei genitori erano scmianalfabeti.
Finite le elementari, causa la grande miseria, questi ragazzi venivano avviati a fare i fattorini nelle varie attivita cittadinc.
Mi ricordo, benché fossi ancora un ragazzo, la grande passione per l’arte drammatica c operettistica, che avevano lavandaie, calzolai e barbieri: arrivavano sino al punto di ipotecare qualsiasi cosa al Monte dci pegni, pur di potere andare a teatro.
Una cosa da tenere presente era il gusto dell’associazionismo; infatti, già prima della grande guerra, al Pratello erano operanti tre società con attività varie.
Altra cosa importante, per il suo carattere politico, era l’esistenza di una cooperativa di consumo socialista con tanti soci.
Credo sia bene tenere presente che tutta la vita dcl rione era, più che altro, nella parte bassa della strada, cioé da via Paradiso a via S. Croce.
Come adesso, anche allora c’era il riformatorio (il carcere per i discoli), lo rilevo pcrché aveva un certo ruolo nel rione.
In via Pietralata, dove ora ci sono le attività del Quartiere, c’era un seminario di preti.
Già prima della guerra, in via del Pratello c’era una certa attività sportiva anche pcrché ci abitava Calzolari, il vincitore di un giro.
Con lo scoppio della guerra si delinearono certe condizioni. Benché fossi molto giovane, sentivo e capivo i discorsi che facevano gli adulti. Erano parole di condanna a chi voleva la guerra. Anche se, in un certo senso, il conflitto aveva portato un miglior tenore di vita: molte donne avevano trovato lavoro nelle varie attività belliche e noi ragazzi vivevamo al1e spal1e delle caserme.
Si cominciò a parlare di interventisti e antinterventisti e di disertori.
La forza pubblica, ogni tanto, faceva delle incursioni. Ma lo sapevano anche loro che non avrebbero ottenuto nessun risultato.
Intanto la guerra proseguiva e si cominciarono a sentire gli effetti: i morti, i feriti.
Il colpo di grazia fu poi la ritirata di Caporetto.
Bologna si orientò verso un Sindaco socialista: Zanardi.
In quel periodo si verificarono molti cambiamenti: fu requisito il seminario dei preti e si sviluppò una officina meccanica che sfruttava, oltre agli operai, anche i ragazzi del riformatorio.
Finita la guerra, molti ragazzi erano diventati grandi, quindi comprendevano meglio gli eventi ed erano anche più indipendenti dal1e famiglie.
Si cominciarono così ad individuare le varie tendenze politiche, cominciarono anche le agitazioni di piazza. Io ed alcuni amici cominciammo a frequentare le manifestazioni. E’ inutile dire che la nostra simpatia era per quelli che, a noi giovani, sembravano più rivoluzionari, cioé gli anarchici.
Fu solo dopo i fatti di palazzo d’Accursio e il congresso di Livorno del ’21 (quando nacque il partito comunista) che ci ponemmo il problema di organizzarci.
Intanto, i fascisti e i sempre pronti nazionalisti, con l’appoggio delle guardie regie, iniziarono ad assaltare e bruciare i nostri luoghi di aggregazione.
In quel tempo, io ed altri ragazzi di via del Pratello formammo una società sportiva, cosa che in seguito coprì la nostra attività di antifascisti. Inoltre, operavamo anche in un’altra società di filodrammatica.
Fu all’inizio del 1922 che, in una riunione di cinque amici, ci proponemmo di iscriverci al1a gioventù comunista. Non ricordo chi si incaricò di trovare l’organizzazione, so solo che dopo qualche giorno compilammo le domande che furono accettate. Così, dopo sei mesi di candidatura, durante i quali svolgemmo piccoli incarichi, entrammo nel pieno dell’attività.
Occorre dire che, alla prima riunione, trovammo alcune nostre conoscenze, tra cui mio fratello.
Cinque giovani, pieni di entusiasmo, portarono nel rione tanta attività, ma ci mancava la preparazione politica.
In quei giorni, però, ci voleva più coraggio che teoria, l'importante era fare dell'antifascismo con ogni mezzo.
In pochi mesi reclutammo altri cinque giovani, quindi dovemmo creare una nuova cellula.
Il nostro lavoro era facilitato perché tutti nel rione sapevano che eravamo degli sportivi accaniti. Vorrei però rilevare una cosa: se il Pratello aveva mantenuto le sue caratteristiche, il merito fu dei giovani comunisti. Il perché è presto detto: nel 1921 la cooperativa venne chiusa per paura che venisse bruciata dai fascisti, nessuno si interessava più a nulla, tutti erano passivi.
Vi è anche da dire che, dopo la marcia su Roma le squadracce fasciste non si erano mai azzardate a fare scorribande nel Pratello. Quello che è certo è che molte azioni e molte iniziative antifasciste partirono dalle cellule del Pratello e dai giovani che abitavano fuori Lame.
Per un palo d'anni non riuscirono ad individuarci, avevamo costruito una buona base. Ma, lavorando alla garibaldina, arrivò anche per noi il giomo in cui fummo scoperti.
Anche nel rione c’erano dei fascisti e, in certe occasioni, era necessario mostrare i denti per non essere sopraffatti.
Cominciarono così le persecuzioni e le intimidazioni, ma, insieme a queste cose, cominciò a delinearsi l'anima popolare di via del Pratello, con la sua solidarietà e la sua protezione sociale.
Non bisogna dimenticare che avevamo anche una cellula di ragazze che lavoravano con noi ed erano molto preziose, specie per i lavori più rischiosi, quando si andava a vendere i1 nostro giornale "Avanguardia" o i1 settimanale "La lotta".
Con l’introduzione delle Leggi Speciali, molti compagni non se la sentirono di seguitare a dare attività e diventarono dei buoni simpatizzanti, altri invece, per ragioni di Vigilanza Rivoluzionaria furono lasciati da parte. Questo discorso valeva per i giovani; il movimento adulto era staccato quasi totalmente da noi. Alla fine del 1927, tra confino e tribunale speciale, solo nel Pratello, i colpiti eravamo in 11. Ma un nostro merito fu quello di non avere mai perso i contatti con il Partito, malgrado tutti gli arresti sapevamo sempre dove trovare i collegamenti.
Fu anche per questo se, alla caduta del fascismo, non ci fu difficile ricreare una efficiente organizzazione. Noi tornammo quasi tutti a casa con molta più esperienza e popolarità.

Della cooperativa non vi è nulla da aggiungere a quello che ho già detto. Almeno fino alIa Liberazione.
Vorrei parlare invece del gioco delle bocce. Per passare il tempo libero vi era poco da scegliere; per gli adulti vi era l'osteria e il gioco delle bocce e, quando vi era la possibilità, il teatro lirico o la commedia. C’erano gli appassionati della Famèia Bulgneisa.
La passione per la lirica, almeno fino alIa fine della prima guerra mondiale era anche alimentata perché via del Pratello aveva dato i natali al tenore Gubellini, famoso allora per la sua formidabi1e interpretazione di Tosca.
Altra attività che legava a sè parecchi uomini e giovani era la società ocarinistica, all’epoca abbastanza rinomata per la concorrenza alle Ocarine di Budrio.
Per le donne vi era poco da scegliere dopo il lavoro: o continuavano a lavorare in casa oppure, d'estate, stavano sotto il portico a sferruzzare e a chiacchierare del più e del meno.
Era raro vedere una donna al caffé o all'osteria.
A volte, andavano a ballare alla Società Buoni Amici al n. 83 di via Pratello che visse fino alla Marcia su Roma.
La suddetta società aveva anche la branca sportiva, una squadra ciclistica ai primi albori.
Per le attività artistiche, l'arte dei burattini era, a quei tempi, molto diffusa; al Pratello si trovavano i migliori burattinai di Bologna: Ponti, Vignoli, Frabboni e Nichelati. Di cinema ce n’era uno in via S. Felice, poi c’era la sala della chiesa di S. Rocco che il prete apriva ogni tanto, con dei film che potete immaginare.
Finita la prima guerra mondiale, la situazione cambiò, c’era più esperienza di vita e uscivano nuovi giovani e nuove aspirazioni.
Molti ragazzi cercarono di evadere dal ghetto per conoscere nuove esperienze.
Intanto con il movimento delle classi operaie cominciò a farsi strada il concetto di lotta di classe, ma anche la reazione con i moti Dannunziani e le tendenze nazionaliste.
Infine, apparvero i fascisti con le loro infami gesta.
Ora non voglio fare la storia di questo periodo, ma attenermi a via del Pratello.
Per per iniziativa di vari giovani si diede vita a due società: una di carattere filodrammatico con sede in via S. Felice, dove ora c’e la trattoria Danio; l'altra sportiva, con sede nello stesso locale col nome di Sparta.
Dopo poco la costituzione della Società Sparta, una squadraccia fascista fece irrzione nella sede per imporre di cambiare il nome, minacciando di bruciare il locale. Qualche tempo dopo vi fu un’altra irruzione.
Venne cambiato nome e anche sede; ci trasferimmo in un bar di via Frassinago, ma ormai la situazione peggiorava e i1 fascismo prendeva sempre più piede. Era necessario dedicare tutta l'attlvità al partito. Quindi l'attività sportiva passò in secondo ordine.
Con la caduta di Mussolini si rivelò l’importanza del 1avoro che avevamo svo1to nel rione. anche perché ormai tutti i compagni erano già usciti dal carcere e dal confino. Quindi erano più preparati politicamente.
Molti giovani e non giovani si rivolgevano a noi per avere direttive per come si dovevano comportare; si cominciavano a mettere le basi per il dopo guerra, ma, purtroppo, arrivò prima l'occupazione tedesca e poi cominciarono i bombardamentl.
A causa dello sfollamento della città fu necessario fare uno sforzo organizzativo per tenere i contatti con la maggior parte dei compagni e mettere le basi per la lotta armata partigiana.
Mi ricordo che una delle prime riunioni per inviare uomini in montagna fu tenuta nel retro bottega del mio negozio con la presenza di vari compagni, fra cui i fratelli Galanti, Sigfrido Amadori, Gianni Botonelli e altri.
La lapide che è in via Pietralata testimonia il contributo dato da via del Pratello alla Resistenza.
Intanto, infieriva la reazione nera e in città era molto pericoloso e difficile tenere i collegamenti. In questo clima, fu molto importante il ruolo delle staffette partigiane e delle donne per il trasporto delle armi.
A liberazione avvenuta, alcuni compagni e patrioti presero varie iniziative: fu occupato al n. 53 di via del Pratello il vecchio asilo; lo spazio fu chiamato casa del popolo. Furono aperti anche due spacci cooperativi.
L’iniziativa della Casa del popolo fu giusta: la gente aveva bisogno di trovarsi e divertirsi per dimenticare gli orrori della guerra. Ma l’iniziativa si limitava ad offrire quasi esclusivamente il ballo.
In ogni modo i compagni che vi operavano fecero del loro meglio, indebitandosi pure.
Fu solo nel 1948 che i1 partlto si interessò del problema perché il rione richiudeva una più intensa attività.
Quindi, non senza contrasti, fu creato un nuovo direttivo che corrispondesse di più alla realtà dell’ambiente.
Quali furono le prime iniziative? Riuscire a pagare i debiti (con un prestito di 100 mila lire di alcuni compagni. Abbellimento e restauro del locale con tutta mano d’opera gratuita. Trovare un gestore affinché il locale fosse aperto tutto il giorno. Incrementare le attività per aumentare gli incassi. Tutte le attività personali dovevano essere valorizzate e volontarie. Dare vita ad una serie di organismi di massa, come: i Pionieri (per i ragazzini), una sezione dell’Udi (Unione Donne Italiane), l’associazione Inquilini e Sinistrati. Società sportive, organismi di Assistenza. Allestimmo una cantina per avere vino di nostra produzione.
Tutti questi obiettivi furono raggiunti in poco tempo grazie anche al contributo di molti attivisti (uomini e donne).
Fu un vero successo.
La casa del popolo era diventata il vero centro di attrazione del rione. Frequentata continuamente dalla popolazione, dove si giocava meno e si discuteva di più. Tutto questo andò avanti fino al 1963/64.
Poi ci fu bisogno di un’altra svolta: il Pratello si stava trasformando.
Nacque così il Circolo Pavese.


circolo pavese VIA DEL PRATELLO 53
LA STORIA DEL CIRCOLO PAVESE
Tratto da Mongolfiera – quindicinale (anno 1987)

"L’ormai (un tempo) mitico “Circolo Pavese” ha cominciato la sua vita in questo quartiere ed e stato fondato da un gruppo di partigiani della zona nel maggio del 1945, subito dopo la liberazione della città, avvenuta il 25 aprile dello stesso anno. L’azione svolta da questo "circolo" risente delle caratteristiche ambientali della zona e delle condizioni particolari dei fondatori, nei quali le esperienze della vita partigiana e delle lotte di liberazione si sono sovrapposte alle consuetudini della vita che gli individui si erano formate fin dall'infanzia vivendo nel suddetto quartiere." Così inizia la tesi di laurea di Bruna Minardi "Nascita e vita del Clrcolo Pavese", redatta nell'inverno del 1968. Gli spazi di via del Pratello 53 esistevano già prima della seconda guerra mondiale come asilo per bambini; in seguito divennero ritrovo per varie associazioni (combattenti e reduci, ecc.), "befane" per bambini. attivi-ta varie rivolte soprattutto agli abitanti del quartiere. Nel 1950 il "Pavese" si affilia all’ARCI, le attività che svolge sono essenzialmente quella del bar (con il gloco delle carte e il biliardo). Frequentato il pomeriggio da un gruppo di pensionati, e quella della sala da ballo (la famosa sala "De Re Mi), importante per l’autonomia finanziaria. Dal 1964 il "Circolo inizia a trasformarsi profondamente, nasce una Commissione Cultura che allarga le proprie iniziative a tutta la città. Si alternano cosi corsi di storia del movimento operaio, conferenze su Cesare Pavese, serate di teatro e cinema "militante... mostre dl pittura. dibattiti di attualità (la lotta del metalmeccanici per il contratto. il dialogo tra cattolici e marxisti, l’obiezione di coscienza, il movimento pacifista, la vita del .Che"), concerti di musica jazz, blues e gospel, attività di cineforum, rassegne di film per ragazzi.
Con le nuove attività sorge un vero e proprio "conflitto tra generazioni" che si evidenzia soprattutto nella radicale diversità di intendere la funzione del Circolo.
Mentre, infatti, i soci più anziani, specialmente i pensionati, sono ancora legati alla vecchia imagine del "Circolo" (all’immagine cioè del Circolo come ritrovo "dopolavoristico", i più giovani puntano maggiormente sulla funzione "culturale" dell'attività associazionistica. I vecchi aderenti si lamentavano delle attività .da professori" che il Circolo ha scelto negli ultimi anni (conferenze, dibattiti. corsi. ecc....), a discapito delle gare di briscola e delle feste sociali. Ragioni di ulteriore frattura diventano anche gli incontri con i cattolici delle ACLI. Per i "vecchi" la Chiesa e i preti non cambieranno mai. e accusano i nuovi dirigenti del "Circolo" di averli condotti "fino a questo punto!".
I "vecchi. disertano sistematicamente i locali del Circolo quando vi si svolgono manifestazioni con i "preti”. Le frizioni con il tempo si annacquano ed il Circolo diventa un cocktail variegato, dove si mixano i pensionati con il quartino di vino al pomeriggio, gli amanti del liscio alcune sere la settimana, i teatranti, i cinefili. i "militanti" che intendono fare attività politica attraverso la cultura.
Negli anni seguenti trova spazio il Teatro Evento, poi dal '76 al '78 inizia un’intensa attività di cineforum che approderà nell.Angelo Azzurro. Si tira avanti, con alti e bassi, fino all'81; poi nel gennaio 1982 prende vita il GranPavese, spet-tacolo per nottambuli moderati e per scettici blu di quartiere. Si respira aria di tabarin, con Patrizio Roversi gran cerimoniere e Siusy Blady .camosa" valletta. Tutti i generi di spettacolo trovano spazio nel "gran calderone fumante: cantanti di liscio, mangiafuoco, ex vedette di varietà, sport, teatro serio, cabaret, cori, poesia. jazz freddo. Con ironia e senso del limite si invita la gente ad uscire dalla propria tana per divertirsi insieme, senza però seppellire l'Impegno (assolutamente con la "I" maiuscola) .
Poi arriva la televisione e gran parte di quegli artisti viene risucchiata. II Pavese per una dozzina di mesi continua a vivacchiare, fino all'85, quando viene chiuso per la "necessaria ristrutturazione.

Quando verrà riaperto diversi anni dopo, non sarà più niente come prima.


radio alice VIA DEL PRATELLO 41: RADIO ALICE
Radio Alice 1975, 1976, 1977. Via del Pratello 41, la radio era un posto accogliente: chiunque poteva andare, per mettere su musica, partecipare a una trasmissione o per dormire in un sacco a pelo sul pavimento.
Alle 23 e 15 del 12 marzo 1977 un plotone di polizia entrò nei locali della radio, in Via del Pratello. I redattori furono arrestati con l’accusa di istigazione e associazione a delinquere. Fuori i carri armati controllano le strade di Bologna. La breve vita di Radio Alice durò tredici mesi. Quella esperienza cambiò il volto della comunicazione via etere nel nostro paese.


Tratto dal libro “Fatti nostri”, scritto a più mani da compagni del movimento del 77

Questo sono le ultime voci diffuse dai microfoni della radio.
Sabato 12 marzo 1977, ore 23.15


Antefatto: verso le 11 di sera del 12 Marzo 1977, in radio ci sono una ventina di compagni, si discute degli scontri e della situazione di piazza, sia in onda, sia fra persone.
Al momento la città è calma, le forze dell'ordine si sono ritirate dalla zona universitaria e sembra che si stia andando verso una riduzione
del livello dello scontro.
All'improvviso dei violenti colpi alla porta annuciano l'arrivo della polizia, i compagni decidono di fuggire dai tetti, in redazione rimangono Valerio e Mauro Minnella per proteggere le apparecchiature e Antonio Fresca e Paolo Saponara (occasionalmente presenti anche se non sono redattori della radio) che non se la sentono di affrontare nel buio i tetti di Bologna.

La trasmissione inizia con rumori di sottofondo, con grande casino, sedie spostate, gente che si muove nella stanza.
Un compagno: ... portate via questo
Valerio dall'altra stanza: Avete il mandato?
voce di poliziotto: Si
Si sente lo squillo del telefono:
Mauro al telefono: Alice?
Valerio dall'altra stanza: Fai vedere?
voce di poliziotto: Si, apri la porta
Valerio dall'altra stanza: Prima voglio vedere il mandato.
Mauro al telefono: Metti giu' c'e' la polizia, qui sopra da noi.
Antonio: Scappiamo di sopra, scappiamo lì.
Mauro: Piano, ragazzi.
Un compagno: Su, su aspettate. Non aprite, non aprite fin quando non arriva qualcuno ...
Di nuovo il telefono:
Mauro al telefono: Pronto, Alice?
Valerio: C'hanno le pistole puntate, non apriamo un cazzo ...
Mauro: Si', c'e' la polizia, se trovi qualcuno del collettivo giuridico di difesa, immediatamente qui!
Un compagno: No, ma non scappate dalla finestre
(casino)
Mauro al telefono: Non me frega niente ....(casino) Ascolta, e' più importante ... Ascolta lascia giu' ti prego.
Attenzione, a tutti gli avvocati, a tutti i compagni che ci sentono, che si mettano in comunicazione con gli avvocati. Attenzione a tutti i
compagni che ci sentono: tentino di mettersi in comunicazione con l'avvocato Insolera e con gli altri del Collettivo Giuridico di difesa.
voce di sottofondo: Ci spara la polizia, ci sparano!
Mauro: Daniela, se sei alla radio stai calma!
Antonio: No dove andate.
Valerio: ... Fai quel numero di telefono Mauro: Non va bene questo. Questo qui, Gamberini 51...
Valerio: Casa? Mauro: Si, ... 51...
Valerio: ... voi siete puliti? voce dal fondo: Si, si
Mauro: 80 ... Ancora un appello di radio Alice, radio Alice ha la polizia alle porte e tutti i compagni del Collettivo giuridico di difesa, per
favore, si precipitino qui in via Pratello.
......
Mauro: Risponde nessuno ?
Valerio: Non risponde nessuno.
Mauro: Attenzione, tutti i compagni del Collettivo Giuridico di difesa, telefonino alla radio e si precipitino immediatamente qui.
(squilla il telefono)
Mauro al telefono: Pronto si'.
Polizia: Aprite! (rumore di colpi).
Mauro al telefono: Mauro, ascolta (ancora rumori di colpi piu' forti) c'e' la polizia qui, stiamo aspettando gli avvocati...
Attenzione, qui ancora Radio Alice stiamo aspettando che arrivino gli avvocati per poter fare entrare la polizia.
C'e' la poliziache sta tentando di sfondare la porta in questo momento (rumore di colpi)... Non so se sentite i colpi per radio (rumori di fondo
confusi)... abbassa il coso...
Valerio al telefono: Si c'e' la polizia alla porta che tenta di sfondare, hanno le pistole puntate e io mi rifiuto di aprire, gli ho detto finche' non
calano le pistole e non mi fanno vedere il mandato.
E poi siccome non calano le pistole gli ho detto che non apriamo finche' non arriva il nostro avvocato.
Puoi venire d'urgenza, per favore, ti prego d'urgenza, ti prego...
c'hanno le pistole e i corpetti antiproiettile e tutte ste' palle qua...
via del Pratello 41..
ok! ti aspettiamo... ciao.
Valerio: Digli... Mauro! stai basso!!!
Mauro urla alla polizia: Gli avvocati! Un momento che stanno arrivando gli avvocati!
(telefono)
Un compagno: Telefono!
Mauro alla polizia: Dopo quando ci sono gli avvocati.
(Ancora telefono)
Mauro al telefono: Alice
Un compagno: Dio boia, che sfiga
Mauro: Si ascolta, abbiamo la polizia qui alla porta, lascia giu' per favore il telefono.
Valerio: Attenzione, qui e' sempre radio Alice, abbiamo la polizia fuori dalla porta
(campanello) con i corpetti antiproiettile, con le pistole in mano e tutte ste' cose qua e stiamo aspettando i nostri avvocati.
Ci rifiutiamo assolutamente di far entrare la polizia finche' i nostri avvocati non sono qua.
Perche' loro puntano le pistole e cose del genere e non sono assolutamente cose che noi possiamo accettare...
va beh, prego i compagni di radio Citta',se stanno ritrasmettendo come mi pare il nostro programma, se per favore ci danno l'avviso, via
radio li sto ascoltando.
Mauro: Tutti i compagni, tutti i compagni in Piazza Maggiore prima di mezzanotte, assolutamente.
Radio Citta', che telefoni qui a Radio Alice.
(telefono)Pronto?
Valerio: Radio Citta' che telefoni a radio Alice, per favore, radio Citta' che telefoni qui a radio Alice per favore o che avvisi di essere in
ascolto e di stare ritrasmettendo questa cosa, eh... attraverso la radio, per favore...
stiamo ascoltando.
Pero' non riusciamo a capire se e' un nostro rientro o se sono loro che ritrasmettono, per favore radio Citta' date la voce.
(telefono)
Mauro: Radio Citta', attenti allora amici di radio Citta', telefonate compagni...
(telefono) Pronto?
Valerio: Comunque compagni la situazione e' stabile.
Mauro al telefono: No, Signora, stiamo solo aspettando gli avvocati.
Valerio: La situazione e' stabile, la polizia e' sempre fuori che aspetta di entrare sempre con i corpetti antiproiettile, sempre con le pistole
puntate.
Mauro al telefono: Ne sta arrivando uno ...
Valerio: Hanno detto che sfonderanno la porta e cose di questo genere
(voci)Preghiamo tutti i compagni che conoscono avvocati di telefonargli e dirgli che siamo assediati dalla polizia in questa maniera,
non so se avete visto il film eh... porca vacca come cazzo si chiamava... quello di Bohl... quello sulla Germania... ...il caso Katharina Blum!
Ecco gli stessi identici elmetti, gli stessi identici giubbotti antiproiettile, le Berette puntate e cose di questo genere, veramente assurdo,
veramente incredibile, (voci) veramente da film (ancora voci di fondo), giuro che se non battessero alla porta qui fuori penserei di essere al
cinema...
Mauro dal fondo: non ce l'ho sottomano, ascolta nessuno sa il numero di radio Citta'? Valerio: 34 64 58.
Valerio: Stiamo aspettando ancora l'arrivo del compagno.
Siamo in quattro qui su alla radio che, niente... che facciamo lavoro di controinformazione e siamo qui che aspettiamo la polizia per vedere
che cazzo fa.
(voci concitate e rumori) Per il momento sembrano tranquilli, non fanno tanto casino, si sono calmati, hanno smesso di picchiare contro la
porta, si vede che la ritengono molto robusta...
eh, mi dai un disco che mettiamo su un po' di musica, porco dio.
(Squilla il telefono)
Mauro: Alice...
Valerio: Il telefono qui e' a getto continuo, veramente a getto continuo...
ecco qui Beethoven se vi va bene, bene, se no seghe...
Mauro: No, Calimero e' andato via, si'...
Dal fondo: dio boia, lo sapevo, lo sapevo
Mauro al telefono: No, ascolta, sono da solo, c'e' la polizia qui che sta battendo sulla porta.
(Musica)
Valerio: Un po' di musica di sottofondo
(continua la musica)
Mauro: Non lo so, ascolta, non so nemmeno se vado a dormire, stanotte... Che rottura di palle, anche lei lì...
Antonio: Dai vagli mo a dire che aspettiamo gli avvocati...
(si sente casino e colpi forti)
Valerio: Dunque la polizia ha ricominciato a battere alla porta, continua a urlare di aprire.
Mauro alla polizia: Stanno arrivando!!! Stanno arrivando!!!
Valerio a Mauro: Stai attento! Stai giu'!!!
Polizia: Porco dio, aprite, aprite!!!
(Si sente un gran casino)
Mauro alla polizia: Stanno arrivando gli avvocati, aspettate cinque minuti, sono qua per strada.
Polizia: Entriamo dentro state pronti!!!
Mauro: fai sentire i colpi
Valerio: Gli unici commenti sono: Porco dio, aprite e cose di questo genere...
(Squilla il telefono) Alice!
Polizia: State con le mani in alto, mani in alto.
Valerio al telefono mentre la polizia entra: Non so chi sia Alberto, no, non sono Matteo, senti c'e' la polizia alla porta...
(Casino)
Antonio: Sono entrati, sono qui!!!
Valerio: Sono entrati!!! sono entrati!
Siamo con le mani alzate, sono entrati, siamo con le mani alzate...
(Casino, rumori di attrezzature smosse)
Valerio: Ecco, stanno strappando il microfono...
Polizia: Mani in alto eh!
Valerio: Ci abbiamo le mani in alto. Stanno strappando il microfono
(Casino)... hanno detto ...(Casino) questo è un posto del mandato...
… SILENZIO ...

Postfatto: La polizia arresta i quattro compagni più Paolo Epifano che nel frattempo, ignaro di tutto, sta salendo le scale di via del Pratello 41.
In questura i poliziotti pestano violentemente i cinque compagni negli uffici della squadra mobile, dopodiché li trasferiscono nelle carceri di San Giovanni in Monte.
Qui resteranno alcuni mesi prima di essere scarcerati in libertà vigilata.
Il processo si svolgerà solo sette anni dopo.


tv graffito VENT’ANNI DOPO: TV PRATELLO
Nella seconda metà degli anni novanta, avviene a livello televisivo quello che era successo a livello radiofonico nella seconda metà degli anni settanta. Il proliferare sul mercato di piccoli trasmettitori per diffondere i segnali video nelle case senza il proliferare di fili ha permesso, mediante semplici amplificatori autocostruiti, la realizzazione di televisioni di quartiere completamente pirate. Una delle più famose è stata “TV Pratello” che trasmetteva nella zona di via Pratello, con un palinsesto che imitava in chiave trash i più noti programmi nazionali.


case occupate VIA DEL PRATELLO 76/78: LE CASE OCCUPATE

Bologna, tutti nudi contro lo sgombero
Giugno 1996: gli occupanti di via del Pratello protestano così contro l'imminente provvedimento. Il Comune nega, ma nel frattempo compare un curioso documento che lo smentisce.

Daniele Barbieri corrispondente del Manifesto da Bologna

NUDI contro lo sgombero annunciato. Gli occupanti di via del Pratello lo avevano promesso e ieri mattina sono sfilati pacificamente per il centro di Bologna fino a piazza Maggiore senza vestiti, o quasi, ma con l'accompagnamento musicale della Banda Roncati e di tanti poliziotti.
Solo un po' di vernice, slip e qualche collana, tanto per evitare che scattasse la provocazione: qualcuno, infatti, non aspettava altro che ilpretesto dell'oscenità per caricarli, e purtroppo la libera Bologna ha brutti precedenti in merito (nel caldo '77 persino il "Living Theatre" finì sui cellulari per "atti contrari alla morale").
Un curioso happening o una goliardata estiva, come dicono i mass-media locali? In realtà c'è sotto ben altro, una piccola storia ignobile che resuscita in città antichi e comodi "capri espiatori".
Contro gli occupanti di via del Pratello è infatti in atto, da tempo, una campagna di criminalizzazione condotta da Il Resto del Carlino (nulla di nuovo sotto il sole), ma anche dall'edizione bolognese de la Repubblica che, del tutto senza prove, attribuiscono a quelli del Pratello ogni malefatta - ma anche gravi attentati - degli ultimi mesi.
Perché? In primo luogo, per un riflesso condizionato: parlare d'altro, "vedere i mostri" di comodo, criminalizzare il dissenso. In secondo luogo per far diventare il grave problema degli affitti (e delle case vuote) a Bologna una questione strettamente di ordine pubblico. In terzo luogo, la pedonalizzazione del Pratello non piace a bottegai e automobilisti, cioè ai veri "padroni" della città, e dunque... ogni anomalia va cancellata.
Tutti aspettano lo sgombero da un momento all'altro: anche questo è un tipico "evento" bolognese (già sperimentato contro alcuni centri sociali), il blitz di ferragosto, a città vuota. Naturalmente però non esiste, secondo le fonti istituzionali, alcuno sfratto "forzoso" in vista. Ma a gettare un'ombra di doppiezza su queste dichiarazioni c'è il piccolo scoop del quindicinale "Zero in condotta" che nell'ultimo numero pubblica un inquietante quiz. Sotto il titolo "La strategia della lumaca" (ricordate il film di Cabrera?), "Zero in condotta" propone infatti due documenti anonimi, invitando a riconoscere quale sia il vero.
Un'evidente beffa perché gli appunti degli occupanti sono palesemente falsi e fanno il verso alla campagna di criminalizzazione dei mass-media, mentra l'altro documento (ritrovato sotto il comune da una persona della cui assoluta serietà la rivista si fa garante) contiene alcuni suggerimenti "istituzionali" per lo sgombero.
Ad esempio l'invito a coinvolgere "i servizi sociali del comune" per chiedere loro "se è possibile fare qualcosa perché mamme e bambini si trovino in un altro luogo prima dello sgombero", anche - si dice poco dopo - "per evitare "vendette" che i pulotti farebbero volentieri".
Il direttore della rivista, Valerio Monteventi, che è anche consigliere indipendente di Rifondazione comunista, ha sottoposto il documento anonimo ai suoi colleghi. Alessandro Ramazza (del Pds) ha subito replicato: "Quel documento è roba nostra". Ma basterebbe un confronto calligrafico per rivelare il nome del finora ignoto autore o autrice di questi "consigli per sgomberare" non propriamente edificanti.

Il 16 agosto 1996 le case occupate di via del Pratello vengono sgomberate

La mattina del 16 agosto 1996 decine di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa hanno provveduto allo sgombero delle case occupate (oramai da cinque anni) di via del Pratello ai numeri 76 e 78.
Gli occupanti che nei giorni precedenti avevano provveduto a fortificare e barricare gli ingressi degli edifici sono riusciti a salire sui tetti, mentre alcune decine di compagni si radunavano sotto le case. Dopo una trattativa di alcune, ore gli occupanti hanno ottenuto la concessione di un luogo alternativo in Via del Lazzaretto in cui si sono trasferiti.


La notte del Pratello LA NOTTE DEL PRATELLO
Il Novento è passato: il Pratello una roccaforte destinata a soccombere?
Gli anni Novanta sono finiti. Il Pratello è stato sgomberato da occupanti e abusivi e occupato da notabili e targhe d’ottone. Ma resiste. Con il carcere minorile che si affaccia sui tavolini all’aperto d’estate e sulle chiacchiere etiliche nelle notti d’inverno. Con i negozi che sembrano botteghe e le osterie fiancheggiate dai pub. Con chi se n’è andato, ma sempre ritorna, o vorrebbe tornare. Con questo libro, i matti che vivono tra le sue pagine, il profumo malinconico dei vent’anni, ora che sono diventati trenta.

Nel 2001, per la Fazi Editore esce un libro di Emidio Clementi, la voce dei Massimo Volume, il titolo è: “La notte del Pratello”.
Emidio Clementi Così ne parla Mimi: "Prima ancora di cominciare a scrivere la storia che sarebbe diventata "La notte del Pratello" sapevo una cosa sola: volevo che quella storia si svolgesse a Bologna. Pensavo che arrivato al terzo libro fosse venuto il momento di descrivere la città in cui vivevo ormai da sedici anni. Non saprei dire il motivo per cui non lo avevo fatto prima. Forse temevo di non riuscire a restituirle il fascino, o forse, più semplicemente non l'avevo osservata abbastanza, come spesso capita con tutto quello che ci é troppo vicino. Poi, un giorno, mi é capitato tra le mani un vecchio libro di John Steibeck, "Vicolo Cannery", e ho capito che era proprio un romanzo del genere che avrei voluto scrivere. Se a tanti anni di distanza dalla sua pubblicazione ero riuscito a ridere e commuovermi per una storia che si svolgeva in un vicolo buio dall'altra parte dell'oceano, perché non poteva accadere la stessa cosa se parlavo della mia strada? Per tanto tempo, Bologna é coincisa con via del Pratello, una strada popolare del centro storico in cui ho vissuto parecchi anni fondamentali della mia vita. L'ho fatta diventare il mio Vicolo Cannery. Ma parlare della città significa parlare della gente che ci vive. Il Pratello é una entità a sé stante, impermeabile a ciò che accade nel resto della città proprio come lo era, rispetto a San Francisco, la strada di Steibeck”.

Nel libro di Clementi si parla dello stabile cadente e abbandonato di via del Pratello, ai numeri civici 76 e 78, che diviene una realtà brulicante di vita e di umori nel momento in cui viene occupato, in un primo tempo dal protagonista e dagli amici Leo e Rigoni, e infine, sparsasi la voce, da altri sbandati provenienti un po' da ogni parte, perfino dalla Sardegna e da fuori Italia: un'umanità ai margini, che nel vicino Bar di Lele (l’attuale Barazzo - ndr) ha un punto di ritrovo e di riferimento. Spesso alcuni scompaiono e non se ne sa più niente. Poi all'improvviso rieccoli al bar, quasi sempre mutati nell'aspetto, provati chissà da quale altra terribile esperienza. La storia si nutre dei ricordi del protagonista, che si chiama Mimì: "Rievoco questi anni trascorsi insieme, ben sapendo che non può essere l'affetto, né la compassione che mi spinge a farlo, ma qualcosa di cui non riesco a capire esattamente il motivo. Forse è il terrore di vedere le cose marcire."
La prova spietata arriva quando il quartiere è attaccato dalla speculazione, che si vuole appropriare di quei tuguri per arricchirsi. Quella vita ai margini che ha plasmato i protagonisti del romanzo e li ha resi forti sta per subire una pericolosa "invasione" che rischia di estinguerli: "la disperazione sta guadagnando terreno, avanza e delimita il suo territorio."
Nel libro, il Pratello viene raccontato come una “roccaforte simbolo”, un modo di vivere e di pensare in cui molti si sono riconosciuti. Una roccaforte però destinata a cadere. Al termine della festa di strada organizzata dall’intero rione in solidarietà alle case occupate e per organizzare la resistenza, Leo dirà che "il nostro destino era segnato, che nel corso del tempo l'umanità non si era mai fatta scrupolo di eliminare i più deboli della specie pur di assecondare la sua cupidigia."


anarchia è un vanto LA NOTTE DEL 2 APRILE 1998 AL PRATELLO

The Day After
Un nuovo spettro si aggira per l’Italia: gli “squatters”. In questi giorni sono state riempite pagine e pagine di giornali improntate dall’allarme sociale derivante da questi “nuovi autonomi”. Servizi speciali, mappe ragionate, inchieste: c’è chi ha rievocato spettri del passato, chi ha richiamato una maggiore repressione del fenomeno, chi si è sbracciato per tenere “comunque” aperto il dialogo.
Hanno parlato di loro, senza che fossero loro a parlare (anche perché “loro” con gli “infami pennivendoli”, senza distinzione di sorta, non hanno voluto proferire parola). E così l’informazione urlata, oggi molto in voga, ha enfatizzato, ha puntato il dito, ha creato il caso.
Prima Torino, con la morte in carcere di Edoardo Massari e i fatti che sono seguiti. Poi Bologna, dopo gli scontri del 2 aprile.
Come Zero in Condotta, abbiamo deciso di non “interpretare”, di nostro pugno non scriviamo nulla; pubblichiamo solamente i fax, i comunicati, le lettere, i volantini e gli interventi che ci sono arrivati in redazione sulla vicenda. Senza nessuna selezione o censura. Non è che condividiamo tutto quello che ci è stato recapitato, ma, a differenza degli altri, lo rendiamo pubblico.


BOLOGNA 2 APRILE 1998
E’ solo per caso
- che un uomo entra in prigione e ne esce una bara,
- o forse non è per nulla casuale che fosse un anarchico, la cui scelta di vita valeva come prova a carico di fantomatiche bombe e indimostrabili intenzioni, sepolto in cella in un silenzio assordante?
E’ solo per caso
- che una manifestazione di solidarietà e denuncia, sulla quale pesa il dolore di una morte incredibile e promessa, ieri sera in via del Pratello, diventi una battaglia di strada,
- o forse non è per nulla casuale che la gestione della piazza fosse affidata a funzionari ora in forza alla Digos e che al tempo della Uno bianca stavano nella squadra mobile con i fratelli Savi e nulla sospettavano?
E’ solo per caso
- che gli inquilini di uno stabile che hanno deciso di abitare la loro strada come cittadini e non come fantasmi abbiano trovato più interessante ascoltare che non criminalizzare gli occupanti del 76 e del 78 negli anni passati, conoscerli e organizzare iniziative insieme a loro;
- o non è affatto casuale che il Resto del Carlino li copra di menzogne e diffamazione, inventando ad arte fatti e situazioni destituiti di ogni fondamento?
E’ solo per caso
- che alla fine della nottata a trovarsi all’ospedale sia un uomo di 51 anni che abita lì accanto, in quella stessa casa,
- o non è per nulla casuale che si tratti di un funzionario della Regione, intransigente nella tutela della sicurezza sui luoghi di lavoro, da sempre impegnato nella difesa dei diritti collettivi, conosciuto e stimato, voce scomoda contro ogni gioco di potere sulle spalle dei cittadini?
Una vera e propria aggressione poliziesca, brutale e determinata.
Un pestaggio metodico, ai danni di un uomo immobilizzato a terra, picchiato, trascinato sotto un portico e picchiato ancorta, fino a ridurlo una maschera di sangue, concentrando i colpi sul capo e sulle mani.
Solo la presenza e le proteste di numerosi testimoni hanno impedito che il massacro proseguisse. Le conseguenze tali da indurre gli stessi agenti a chiamare un’ambulanza per il ricovero.
A Valdo, ai compagni vittime delle violenze, al “gruppo antirabbico 52 e oltre” la nostra solidarietà.
Chiarezza e verità sull’accaduto.
Volantino del Collettivo Scienza della Formazione

PETIZIONE INVIATA AL QUESTORE DI BOLOGNA
e per conoscenza
al Prefetto E. Mosino
al Presidente della Regione A. La Forgia
al sindaco W. Vitali
al Consiglio Comunale
a Il Resto del Carlino
a La Repubblica
a L’Unità
a Il Manifesto
a Zero in Condotta
a Radio Città del Capo
a Radio Città 103
a Radio K Centrale
a Radio Popolare
La sera di giovedì 2 aprile 1998, dopo aver disperso una manifestazione indetta per solidarietà e denuncia della morte in carcere di Edoardo Massari, alcuni agenti di Polizia hanno circondato, picchiato e ammanettato Valdino Manna, senza che questi abbia opposto alcuna resistenza.
Signor Questore, Lei ha dichiarato: «Abbiamo tollerato abbastanza, ma adesso basta!».
Facciamo nostre le sue parole e chiediamo:
1) per quale motivo un cittadino è stato selvaggiamente picchiato dalle forze di Polizia?
2) Quali norme di legge autorizzano le forze di Polizia ad infliggere arbitrariamente punizioni corporali su di un cittadino che non opponeva alcuna resistenza al fermo?
Signor Questore, Lei affermato: «La legalità è un diritto dei cittadini».
Condividiamo pienamente le sue parole e chiediamo quali ragioni hanno spinto i suoi uomini ad agire in palese contrasto con questo principio!
Nessuno deve subire aggressione: che a compierla siano stati dei rappresentanti di un Corpo dello Stato, induce in noi sgomento e preoccupazione.
Signor Questore, dichiariamo la nostra disponibilità ad accertare con rigore le responsabilità dell’episodio.

UN MASSACRANTE ORDINE PUBBLICO
Volantino di convocazione della assemblea che si è tenuta alla Sala Benjamin mercoledì 8 aprile
I recenti avvenimenti di Napoli, Palermo, Torino, Bologna pongono all’ordine del giorno la gravità della situazione sociale in Italia, della gestione dell’ordine pubblico e delle libertà democratiche del nostro paese.
Come cittadini di uno stato di diritto, non accetteremo mai che un giovane, incarcerato con accuse tutte da dimostrare, scelga la morte per poter squarciare la cappa del silenzio e urlare la propria innocenza.
Come cittadini di Bologna e abitanti del Pratello, non accetteremo mai che funzionari che hanno lavorato fianco a fianco dei Savi, continuino ad avere responsabilità nella gestione dell’ordine pubblico a Bologna.
I responsabili della brutale aggressione nei confronti di Manna Valdino devono essere individuati, denunciati e allontanati da Bologna.
Gruppo Primavera ‘98

LETTERA AL SINDACO
A seguito di gravi atti teppistici provocati da giovani facinorosi la sera del 2 Aprile 1998 in Via del Pratello davanti al carcere minorile, al termine di una manifestazione di protesta per la morte in carcere dell’anarchico Edo Massari, la polizia di stato in assetto anti-sommossa aggrediva e pestava ingiustificatamente all’angolo Pratello-Pietralata, a pochi passi dal portone di casa, Valdino Manna, 50 anni, ingegnere, dipendente regionale, impegnato politicamente nelle rappresentanze di base che veniva ammanettato, colpito ancora ripetutamente a calci mentre era a terra, provocandogli un taglio alla testa, e il ricovero in ospedale.
A seguito di questi fatti, vorremmo chiederle spiegazioni delle sue dichiarazioni di elogio alle forze di polizia, apparse sulla stampa di ieri 6/4/1998.
Siamo pertanto a chiederle cortesemente un incontro urgente
Mauro Chiodarelli, presidente dei Comunisti Unitari di Bologna
Claudio Corticelli, coordinatore
compagne e compagni aderenti ai Comunisti Unitari del Pratello e della Zona Costa/Saragozza


LA FORTUNA E CIECA MA LA POLIZIA COME LA SFIGA
QUANDO PESTA CI VEDE BENISSIMO
Valdino Manna, detto Valdo, 50 anni, ingegnere, dipendente regionale, impegnato politicamente e socialmente sul posto di lavoro come nella vita quotidiana
Antefatto
Nell’Agosto 1996 durante lo sgombero delle case occupate di via del Pratello intervenne in qualità di mediatore tra polizia e occupanti riuscendo a evitare una soluzione violenta.
In seguito a quei fatti fu denunciato per offesa a pubblico ufficiale e dopo una “segnalazione riservata” della Prefettura alla R.E.R. fu sollevato dall’incarico che ricopriva nella Commissione di vigilanza sui Locali di Pubblico Spettacolo.
Fatto
Giovedì 2 Aprile 1998, ore 23.20, via del Pratello, 20 mesi dopo.
Poliziotti in assetto da guerra, dopo una carica ai danni di alcuni “giovani irrequieti” che manifestavano per la morte di Edo Massari davanti al carcere minorile, avanzano correndo in via del Pratello. Valdo è lì, a 10 metri da casa.
Misfatto
Nonostante i suoi 50 anni viene “scambiato” per uno dei “giovani irrequieti”. Senza nessuna ragione viene preso da alcuni poliziotti e selvaggiamente manganellato cade a terra per la testa spaccata. Non contenti i poliziotti lo prendono furiosamente a calci e dopo averlo ammanettato, mentre è ancora al suolo, gli viene messo un piede sopra come fosse la preda di un safari.
Il massacro termina con il sopraggiungere di una collega regionale che passando per caso interviene riconoscendo Valdo.
“Il suo volto è una maschera di sangue, si lamenta per il dolore, ma gli agenti nonostante sia ridotto male lo ammanettano e lo spingono contro il muro” (La Repubblica 4 Aprile ‘98).
Viene chiamata un’ambulanza e sempre in manette, scortato dai carnefici, Valdo viene portato al pronto soccorso.
Un pestaggio brutale e gratuito, incomprensibile se non inquadrato nei canoni di un regolamento di conti.
Ora Valdo è a casa con trauma cranico su tutto il corpo, le mani enormemente gonfie per l’inutile tentativo di porle a scudo della testa.
Conoscendo Valdo da anni ed il potere da secoli, non possiamo che fare appello al senso della storia. Sappiamo che per coloro che hanno la dignità di non rinunciare alle proprie idee, per quelli che non barattano la libertà di pensiero con la rassegnazione ed in particolare per quelli che al di fuori delle mangiatoie di partito, continuano a rimanere politicamente attivi, la repressione è sempre in agguato, vigliacca con le sue menzogne, arrogante con i suoi manganelli ancora unti di olio di ricino.
Sappiano lor signori che Valdino Manna non resterà da solo.
Valdino Manna non resterà da solo.
Colleghi Compagni Amici e
Conoscenti di Valdino Manna
Rappresentanze di Base


LE STAGIONI DELL’ANARCHIA
Negli ultimi mesi la città ha discusso molto del passato: tra retoriche e ricostruzioni un po’ forzate si è fatta strada una teoria che trovo molto adattabile anche ai nostri giorni.
Negli anni di piombo, i brigatisti hanno avuto lo stesso ruolo che in questi tempi hanno gli ‘anarchici insurrezionalisti’: il caos controllato delle sedicenti organizzazioni, allora come oggi, era perfettamente funzionale alla repressione, oppure alla dimostrazione di una forza istituzionale minata dalle analisi critiche.
Ho avuto a che fare con questi ‘anarchici’ circa due anni fa: erano i tempi in cui all’interno di una villa, nel parco di una frazione di Casalecchio di Reno -destinata a diventare un centro privato di assistenza agli anziani- si insediava un folto gruppo di tribù di strada -studenti, ma non solo, coinvolti con più o meno intensità nell’esperienza dei centri sociali di Bologna -.
Un gruppo sparso e senza leader: c’era anche un bambino di pochi anni (forse mesi). Dentro il ‘castello okkupato’ non c’era alcuna strategia, ma Salvatore -l’unico tra i ragazzi con un discreto bagaglio teorico ed anche ideologico- ricordo che mi descriveva la loro situazione come se fossero in una guerra: lanciati e immolati contro le ingiustizie del mondo.
Dall’esterno la loro situazione era, invece osservata da un prospettiva opposta: nelle ore di maggiore tensione, quando i reparti mobili ed i carabinieri schierati erano già pronti per la prima carica, qualcuno tra il pubblico incitava il questore “a farsi strada tra i delinquenti”.
Tra il pubblico non c’erano fascisti, ma compagni della sezione P.D.S. di Noce di Casalecchio di Reno: gli stessi che in quei giorni distribuivano volantini di invito “alla vigilanza democratica contro gli anarchici”.
Gli ‘anarchici insurrezionalisti’, che in queste settimane divertono il loro pubblico non più dalle case occupate ma direttamente dalla strada, non hanno gli stessi volti di allora.
I movimenti di questi guerrieri selvaggi sono abbastanza casuali: a volte come veri ricercati si danno alla macchia per anni -per scelta o coazione-, poi improvvisamente un incontro occasionale li riunisce, aumentano in numero e nel potenziale di attirare l’attenzione dei media, per poi scomparire nuovamente nel nulla.
Anche oggi le dinamiche degli scontri con la polizia non sono cambiate: sono più dure, a volte quasi conseguenze logiche dei danni provocati, ma nella sostanza la tensione che si produce nell’opinione pubblica è identica.
La prima aspirazione della vita associata, venti anni fa, come due anni fa, come oggi è sempre la stessa: ordine oppure, in un termine meno ideologicamente orientato, equilibrio. Un’ideale praticamente astratto e inconcepibile nella vita naturale.
Gli attori del caos sono perfettamente funzionali alla negazione di questo conflitto: non solo perché, per natura o divertimento, rappresentano il disordine, ma perché sono le loro stesse azioni a provocare le reazioni.
Penso agli episodi di queste settimane ed anche all’escalation di violenza conflittuale che, col passare dei giorni, ha attirato fette sempre maggiori di opinione pubblica. Se vogliamo cercare un scintilla o l’inizio di questa nuova follia anarchica dobbiamo, ancora una volta, guardare dentro l’università.
L’università è rimasta, come vent’anni fa, una massa di liquido magmatico: al suo interno, negli anni ’70 come oggi, ribollivano spiriti critici e libertari. Non movimenti di massa, ma forti abbastanza per muovere la coscienza collettiva della vera grande massa non istruita.
Anche le riunioni e le azioni di questi spiriti sono cicliche, forse casuali, ma spesso coincidono con l’approssimarsi di grandi mutamenti.
Negli anni passati una parte di questo magma ha dato segni di vita sotterranea: segnali impercettibili, che hanno colto nel segno.
Anche in questo periodo storico la vita associata è in una fase di completo disequilibrio: la sinistra di governo che promette ‘uguaglianza sostanziale’ non è affatto all’altezza delle aspettative.
Dopo anni di terremoti istituzionali la classe politica non ha subito stravolgimenti essenziali, se non un rimpasto grossolano di burocrati e funzionari.
Nelle università le coscienze attive sono in grado di analizzare e dimostrare la completa inutilità di questa classe politica -per metà già usata e per l’altra di seconda mano-.
Le analisi svolte dai collettivi universitari non portano mai all’utilizzo di forme di contestazione violenta -forte sì, violenta mai-. Ed una contestazione forte, solida di un’analisi altrettanto spietata ha una potenza cento volte superiore al lancio di uova di vernice contro i secondini del Pratello.
Gli anarchici non sono collaterali ai collettivi universitari, piuttosto rappresentano la massa attiva che è più facilmente influenzabile dalle analisi studentesche. A volte sono capaci poi di produrre in solitudine proprie tesi, come quelle snocciolate sul palco di Dario Fo e Franca Rame (curiosamente aggredendo due inossidabili anarchici al di sopra di ogni sospetto e rifiutando il microfono offerto dal premio Nobel).
L’utilizzo della contestazione violenta e irrazionale separa l’università dagli insurrezionalisti di strada, ma contemporaneamente rappresenta anche un espediente perfettamente funzionale alla repressione.
I cosiddetti ‘autonomi’ hanno la funzione (involontaria o volontaria, a seconda dei periodi storici) di gettare caos, confusione e dispersione.
La violenza deve essere combattuta -é scritto nel dna della vita sociale-, ma in questi casi gli apparati istituzionali dediti al controllo dell’ordine, della calma sociale (e occasionalmente alla protezione di ‘obiettivi sensibili’) sanno andare oltre: conoscono alla perfezione un’ulteriore dinamica sociale.
Sanno che, se la repressione si abbatte sulla violenza pubblica con altrettanta violenza spettacolare, l’opinione dei consumatori e della cosiddetta società democratica, non può che compiacersi di questo Stato e di queste istituzioni.
Marco Angelucci
Redattore di Radio Città del Capo




Leroy Jhonson 18 NOVEMBRE 2000 LEROY JHONSON DA FANTONI
Tratto da una lettera a Zero in condotta

Ragazzi, l’altra sera alla Trattoria Fantoni, in via del Pratello, ho visto il grande Leroy Jhonson (Gene Anthony Ray), quello di “Saranno famosi”. E ho mangiato al tavolo di fronte al suo.
Quando sono entrata, l’ho visto e l’ho fissato a lungo, poi mi sono domandata “è lui o non è lui”. Non potevo crederci, il protagonista del mio serial televisivo prefereito, che mi ha accompagnato per tutta l’adolescenza (e non solo), mangiava a un metro da me. Gli detto “ciao” e lui mi ha detto “ciao”. Gli ho detto “ma sei proprio tu” e lui mi risposto “yeee!”
Poi è arrivato un mio amico e mi ha rotto l’incantesimo. Ha detto che l’aveva visto qualche sera prima al Costanzo Show, dove raccontava della sua vita piena di deliri, affogata nell’alcool, nella droga e nel denaro che si era sputtanato.
Sempre ubriaco, qualche sera prima si era messo a fare uno dei suoi balletti in via Zamboni… i ragazzi applaudivano, ma lui faceva una gran tristezza.


paris, dabar 2003, IL PRATELLO DIVENTA PARIGI: ESCE “PARIS, DABAR”
“Paris, Dabar” è il film di Paolo Angelini, mutuato ironicamente dalla Paris-Dakar, è il primo road movie da bar a bar. Si tratta non di un rally veloce, ma di un lento attraversare a piedi le strade del Pratello. Uno squarcio di vita, presente in ogni città, un’ode alla libertà estrema, all’ironia e alla creatività. Il paesaggio che Angelini ha voluto raccontare è quello della strada, delle osterie e dei ritrovi notturni di Bologna. Una quarantina di persone, attraverso un percorso di ben quattro bar, si sfidano in una gara mitica che nel suo percorso attraversa. Ogni tappa, un bicchiere.
Ogni bicchiere, un tot di punti. Vincerà chi, in quattro ore, riuscirà a totalizzare più punti o, molto più realisticamente, a rimanere in piedi. I protagonisti, lontani dai Roxy Bar e dalle Osterie di fuori porta, e non in termini di chilometri, sono uomini e donne che propongono una loro forma di ribellione attraverso litri e litri di vita, un'umanità che si mette in mostra attraverso il gioco dell'alcol.
C’è Osvaldo, l’organizzatore pugliese, gestore di un bar. C’è Rama, e le sue formazioni del Bologna ’63-’64. Poi c’è il Trippo, ogni due parole una bestemmia. E poi ci sono il Pappa, Gabry, Mario e la sua crew. La Leti e la sua violenta foia. Poi c’è Zani, che seguirà tutto da casa, con un boccione da 5 litri di bianco. E ci sono le esistenze pese di queste partecipanti alla Parigi- Dabar del maggio del 2000. Vince chi avrà bevuto di più alla fine delle quattro ore della competizione, senza aver mai vomitato.

 

Sganapino FAGIOLINO AL PRATELLO
Fagiolino, insieme a Sganapino, è la maschera povera della commedia dell’arte bolognese. Fagiolino è una figura molto caratteristica, è la gioia di vivere in carne e spirito, la monelleria piena di salute. Sotto quella calda berretta che non si toglie mai dal capo sogna sempre due cose: buone tagliatelle e giustizia per tutti.
Il resto è scherzo, pretesto per dire parole grosse e paroline tenere quali sono nel dialetto bolognese. Bologna può mutare, cambiare quanto vuole, Fagiolino resta sempre lo stesso,è un ottimista che non invecchia.
L'origine di Fagiolino è come quella di tutte le maschere, di difficile individuazione. Questa maschera si ispira in qualche modo al birichino bolognese del secolo XVIII.
Fu il burattinaio Cavallazzi, che teneva un teatrino di "teste di legno" in via del Pratello, a renderlo famoso. Del resto, un biricchino come lui dove poteva trovare luogo più adatto alla sua verve se non al Pratello.

E TUTTA QUESTA STORIA COFFERATI LA VUOLE CANCELLARE… FORSE E’ IL CASO CHE TUTTI NOI CI SIA DIA UNA MOSSA PER CANCELLARE LUI, PER SEMPRE, DALLA NOSTRA MEMORIA.

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