"Perchè noi la crisi non la paghiamo. Per la libertà".

Contro la falsa sicurezza

Dopo la riuscita "castagnata" di solidarietà a Marco, il senzatetto multato in piazza San Francesco, comunicato del centro sociale Tpo. "Combattere il paradigma della sicurezza è pensare la libertà come processo di lotta, di sottrazione al controllo del biopotere sui nostri corpi e sul nostro immaginario, come sottrazione al comando. La libertà è poter essere, poter decidere di sé, poter fare a meno di dipendere, insomma è percorso di lotta e federazione di differenze".
27 ottobre 2008

Le città sono diventate luoghi di conflitto, spazi in cui il potere applica e sperimenta nuove tecniche e nuovi stili di governance, barattando una falsa sicurezza con una diffusa precarietà e la generalizzata dismissione del welfare. Questa è la politica dei sindaci sceriffi, di destra e di sinistra.

Nelle città la libertà dei cittadini si scontra contro il paradigma securitario esercitato con ordinanze e divieti. E’ stata strutturata un nuovo formidabile insieme di dispositivi fisici ed immateriali, di azioni di polizia e dal divenire forze d’”ordine” di pezzi di società civile organizzata (e lautamente foraggiata). Questi sono atti di una strategia unitaria ed integrata che mira a mettere a valore il territorio e le sue forme di vita ed impedire ogni esperienza di relazione originale e libera.

Le piazze di Bologna sono zeppe di dispositivi di controllo sui corpi che vi transitano e vi trascorrono una parte del cosidetto tempo libero.

Non viene tollerato che in piazza Santo Stefano, piazza San Francesco, piazza Verdi, piazza Aldrovandi o piazza Maggiore si possa stare liberi, a parlare, discutere, conoscersi.

Le ordinanze anti anti hanno due obbiettivi ben chiari, il primo dei quali è incalanarci tutti nella fabbrica del tempo libero, fatta da tante isole produttive chiamate pubs, irish, locali dove la pinta di birra costa cinque euro o più.

Lì si può (si deve) stare, lì la polizia municipale non multa, i carabinieri non chiedono i documenti, gli agenti in borghese non compaiono di colpo a controllare dove fumi e cosa fumi. Se paghi rimani, se invece ti organizzi con birre da asporto passi la linea della zero tolleranza: non produci, non consumi, sei sospetto nemico.

Alla Borsa della Sicurezza il prezzo della serenità è di cinque euro ogni trenta minuti.

Nella città contemporanea il tempo libero deve essere messo a valore anche secondo la prospettiva della riproduzione sociale: il gratuito, la riduzione del consumo e degli scambi di mercato danno fastidio.

Ma c’è un altro obiettivo che ispira l’autoritarismo territoriale la cui grammatica parla di divieti e scrive ordinanze: combattere aggressivamente contro poveri, differenze di genere, migranti.

Non hanno altro effetto (ed altro scopo) la persecuzione della polizia municipale nei confronti di Marco [1 - 2], nostro amico homeless spesso in Piazza San Francesco, le retate nelle osterie di via del Pratello (immaginate i locali temporaneamente sequestrati dai carabinieri che bloccano chiunque voglia entrare ed uscire e, arroganti, fanno lo screening di tutti i presenti), i rastrellamenti avvenuti in Piazza Maggiore, la campagna di videosorveglianza per cui non vi è angolo di Bologna non osservato, la chiusura di spazi sociali.

Tutto ciò con enormi spese e senza aumentare di un filo la sicurezza dei corpi a rischio di violenza, fascista, razzista, sessista o omofoba.

Il Sicuro, per i sindaci, è bianco, maschio e ricco.

Abba non è stato un accidente. Emanuel non è un caso. Questi sono episodi precisamente causati da una strategia di governance territoriale, nell’ambito della quale qualcuno, in divisa o meno, si fa prendere la mano. Le parole, ancora, stanno a zero.

Questa legalità non spende un euro per la cultura (popolare e non), demolisce sistematicamente i luoghi in cui la si produce e la si fruisce, si alimenta di conformismi e rinunce, consolida privilegi e gerarchie, questi sì al di sopra di ogni legge.

Una legalità che procede per decreti legge ed ordinanze, accecata dall’arroganza e dall’ideologia. Una legalità che non impatta la vita di chi la governa e la ispira perchè la soglia di applicabilità è il livello di reddito percepito: i carabinieri non chiedono il documento ai clienti del Diana o del Cambio, così come i poliziotti municipali non vanno a verificare quanti spritz sono bevuti oltre il perimetro dell’autorizzato nei ricchi bar di Strada Maggiore.

Questa legalità fa a pugni con la giustizia. Per questo è tempo di sovvertire il paradigma della sicurezza che la ispira. E’ tempo di organizzarsi e cambiare.

Combattere il paradigma della sicurezza è pensare la libertà come processo di lotta, di sottrazione al controllo del biopotere sui nostri corpi e sul nostro immaginario, come sottrazione al comando. La libertà è poter essere, poter decidere di sé, poter fare a meno di dipendere, insomma è percorso di lotta e federazione di differenze.

Siamo all’anno zero della crisi: dobbiamo rompere il mantra che dice, da destra a sinistra, che “non ci sono soldi”, “dobbiamo fare sacrifici”, “è tempo di obbedire”.

I soldi ci sono e ci spettano ed i costi della crisi non li dobbiamo pagare noi.

Nelle scuole e nelle università si è già cominciato a lottare. Ora tocca a tutti gli altri e le altre.

Le compagne ed i compagni del TPO