Dibattito su vecchi e nuovi fascismi

Dalla Strategia della tensione alla strategia della sicurezza

È corretto ed ha senso parlare solo di “nuove destre”, in un paese che è stato costantemente e con continuità, dalla lotta di Liberazione ai nostri giorni, insanguinato da fatti mai esplicitamente chiariti? Un contributo alla riflessione, in occasione delle due giornate che si terranno a Vag 61, il 12 e 13 dicembre (alle ore 21, in via Paolo Fabbri 110, a Bologna), per l'anniversario della strage di Piazza Fontana, avvenuta alla Banca dell'Agricoltura di Milano il 12 dicembre 1969.
9 dicembre 2007 - Centro di documentazione dei movimenti "Francesco Lorusso - Carlo Giuliani"

Strage di stato libro Il 12 dicembre 1969 a Milano, in piazza Fontana, una bomba esplode nell'atrio della Banca dell'Agricoltura.
Si conteranno 16 morti e 87 feriti. Altre 3 bombe esplodono a Roma causando 13 feriti, mentre un'altra bomba inesplosa viene ritrovata a Piazza Scala a Milano.
L'anarchico Pinelli viene arrestato illegalmente il 13 dicembre nel corso delle indagini. Durante un interrogatorio viene “suicidato” da una finestra della Questura di Milano. Nei giorni seguenti la stampa, in particolare l’Unità ed il Corriere della Sera, pubblica in prima pagina la foto del "mostro Valpreda" sostenendo che si tratta di un personaggio ambiguo, probabile autore materiale della strage, mentre Lotta Continua difende Valpreda ed accusa il commissario Luigi Calabresi di aver "defenestrato" Pinelli.
Gli anarchici milanesi definiscono l'attentato di Piazza Fontana "strage di Stato".

C’è un lunghissimo filo nero che attraverso 60 anni di storia annoda personaggi, organizzazioni, apparati dello stato, partiti accomunati tutti dall’anticomunismo e dalla connivenza col neo-fascismo.
La borghesia uscita dal ventennio, per nulla meno fascista e reazionaria di prima, s’impegnò a fondo per formare una classe politica che operasse un make up strutturale dell’apparato statale e per incoraggiare gruppi, azioni, strategie eversive al fine unico di mantenere e consolidare il controllo del potere.
Su quest’asse sono stati costruiti 50 anni di regime democristiano, e attorno ad esso sostanzialmente, ruotano ancora oggi i meccanismi della repressione e della riduzione degli spazi di democrazia.
Per non dare applicazione alla Costituzione, una delle più aperte e progressiste al mondo, avversata da un governo sempre più autoritario e da una borghesia sempre più reazionaria, nel 1948 la Cassazione introdusse la distinzione tra norme precettive, di immediata attuazione, e norme meramente programmatiche ( non contenenti cioè tutti gli elementi di compiutezza atte a renderle immediatamente applicabili), che ne demandavano l’attuazione ad una normativa successiva.
L’esempio più significativo della volontà di aggirare i principi della Costituzione in materia di diritti è il Testo Unico di polizia, applicativo, appunto, di principi costituzionali “declassati” a norme programmatiche: L’esercizio di tutti i diritti e delle libertà fondamentali voluti dal Costituente e previsti come preminenti, inviolabili e irrinunciabili, come pilastri, in definitiva, dello stato repubblicano, venivano di fatto subordinati a norme che ne limitavano enormemente la portata e l’ effettiva possibilità di esercizio.
Il Testo Unico, che prevedeva limitazioni e vere e proprie sospensioni dei diritti costituzionali per ragioni di pubblica sicurezza, prevalse sulla Costituzione.
Nel 1948 fu Scelba l’artefice del rilancio del T.U. che ne fece lo strumento di repressione di tutte le iniziative politiche della sinistra. Fu Scelba che favorì l’ organizzazione del neo fascismo che gli fu indispensabile per mantenere l’asse politico del Paese saldamente al centro paventando il pericolo dell’eversione di destra.
Nel 1960 il governo Tambroni si rese responsabile della risposta ferocemente repressiva alla richiesta di nuovi diritti. In pochi giorni 12 morti insanguinarono il paese, da Genova a Reggio Emilia, alla Sicilia.
Giuridicamente vennero utilizzati tutti gli strumenti del passato regime per reprimere duramente le lotte ed assolvere gli assassini in divisa responsabili degli omicidi.
A metà degli anni Sessanta La DC comprese, forse, che la propria “missione” di mantenere lontano il PCI dai palazzi del potere non poteva più passare attraverso lo scontro frontale, ma attraverso il progressivo imbrigliamento del più grande partito comunista dell’ Occidente e l’illusione di una sua corresponsabilizzazione nel governo del Paese.
Il fronte anticomunista si divise: una parte si impegnò nel confronto, un’altra invece si radicalizzò ed elaborò la teoria della «guerra non ortodossa» messa a punto nel maggio 1965 nel convegno del Parco dei Principi, organizzato e finanziato dagli ambienti militari e dai servizi segreti, presenti le gerarchie militari, accanto ad alcuni protagonisti della stagione delle bombe e dei depistaggi: Guido Giannettini, Pino Rauti, Stefano Delle Chiaie, Mario Merlino.
Tra il 1968 e il 1972 le lotte del Movimento Studentesco e di quello operaio trovarono molti punti comuni nel rifiuto della scuola di classe, dell’emarginazione e dello sfruttamento in fabbrica. Si creò un clima esplosivo di rivolta sociale.
Erano gli anni in cui i movimenti extraparlamentari esprimevano un livello altissimo di conflitto sociale e si cominciò a porre la questione della partecipazione del PCI al governo; si concretizzò lo Statuto dei Diritti dei Lavoratori, la legge sul divorzio ecc.
Fu per contrastare queste nuove spinte che fu ideata e tragicamente attuata la strategia della tensione.
Iniziò la stagione dell’infiltrazione a sinistra, delle «bombe anarchiche», delle stragi da attribuire ai «rossi», a cui doveva seguire la restaurazione dell’ordine da parte dei militari sostenuti da gruppi di civili in armi.
Crepax: manifesta sulla Strage di Sato Tra il 1969 e il 1974 vi fu un’impressionante escalation di stragi, attentati fascisti, tentativi di golpe. Tutto sotto gli occhi degli apparati dello stato e dei Servizi Segreti in particolare.
Nel Luglio 1970, a Gioia Tauro, esplode una bomba sul “treno del sole”, causando 6 morti e 50 feriti. La strage viene subito archiviata e vengono incriminati 4 ferrovieri per il deragliamento del treno.
Furono anni che segnarono una recrudescenza dello squadrismo contro studenti e lavoratori in lotta. Ancora una volta la classe dirigente utilizzò le violenze fasciste per ricompattare il centro “contro il dilagare dell’estremismo delinquenziale ed anarchico”.
Si fece strada la teoria degli opposti estremismi, ma il potere si concentrò, ancora e come sempre, unicamente contro l’estremismo di sinistra.
Il MSI, di cui da più parti veniva richiesta la messa al bando, era del tutto organico alla politica repressiva dello stato e fu direttamente ispiratore e coordiantore delle azioni di Avanguardia Nazionale e Ordine Nuovo.
Gli autori della strage di Peteano erano tutti interni al MSI ma, sia il SID che i vertici della divisione Pastrengo dei CC, fecero l’impossibile per dirottare le indagini su Lotta Continua e distoglierle dalla destra italiana.
Lo stesso processo per il c.d. golpe Borghese tentò di avvalorare la “tesi dei servizi deviati” e di poche “mele marce” in un corpo (lo Stato) sano. Ma i servizi sono sempre stati un blocco unico, profondamente inquinati e nelle mani di pochissimi.
Non fu opera di servizi deviati l’espatrio di Giannettini (SID) e di Pozzan (fascista) inquisiti per la strage di Piazza Fontana, dopo essere stati nascosti dal SID in una base milanese di Gladio.
Gli autori della strage di Peteano del maggio 1972, dove una pattuglia di carabinieri saltò in aria all’apertura di una Fiat 500 imbottita di esplosivo, erano tutti interni al MSI ma, sia il SID che i vertici della Divisione Pastrengo dei CC tentarono in ogni modo di addossare la responsabilità dell’attentato a Lotta Continua.
Impunite e senza nomi resteranno le stragi di Brescia del ’74, quando, durante un comizio antifascista, scoppia una bomba in Piazza della Loggia causando 8 morti e di S. Benedetto Val di Sambro, dove il treno “Italicus” salta in aria provocando 12 morti e 44 feriti.
Tutte le “azioni di guerra non ortodossa” erano, negli intenti degli occulti pianificatori, il primo atto a cui doveva seguirne un secondo: l’intervento dei militari e dei politici, per ristabilire l’ordine ferito. Aria di golpe spirava dopo piazza Fontana, l’8 dicembre 1970, quando scesero in campo gli uomini del principe Junio Valerio Borghese ed infine tra il 1973 e il 1974, quando al partito del golpe si unì il “partigiano”mEdgardobSogno.
La seconda metà degli anni ’70 fu inaugurata dalla Legge Reale sull’ordine pubblico, del ’75. Queste norme emergenziali, tutt’ora in vigore, inasprivano le sanzioni previste dal mai abolito codice penale fascista “Rocco” e furono la risposta del governo al dilagare degli scontri di piazza, che vedevano protagoniste le organizzazioni più radicali dell’estrema sinistra, e degli scontri violenti a cui erano costretti i militanti dell’ultrasinistra dalle aggressioni dei gruppi fascisti.
In sostanza la nuova legge conferiva la licenza di uccidere agli agenti, anche in borghese, durante le manifestazioni pubbliche, autorizzate o meno che fossero.
Da lì, com’era prevedibile, una lunga scia di sangue di studenti, proletari, disoccupati ha insanguinato le strade d’Italia, da Francesco Lo Russo a Giorgiana Masi, a tutti i ragazzini giustiziati in presunti posti di blocco, a tutti i morti ammazzati da questurini o carabinieri distratti, avvezzi ad inciampare e a fare partire colpi accidentali.
Gli anni 80 furono caratterizzati dal progressivo declino delle lotte operaie e dell’opposizione di sinistra. Trionfava la corruzione e si radicava, amplificata dalle televisioni commerciali, una cultura improntata all’individualismo e al superfluo. La nascita di un movimento xenofobo e razzista come la Lega e il successivo sdoganamento, da parte di Berlusconi, del partito post-fascista di Fini contribuì non poco alla diffusione, a livello politico e sociale, di un sentimento di avversione e di vero e proprio odio contro tutti i principi, quali l’antifascismo e la solidarietà, fondanti della Costituzione Repubblicana.
Come abbiamo visto, l’ intreccio tra neofascisti e forze militari e dell'ordine non è nuovo. Dopo lo stesso scandalo della Loggia P2, le cronache si sono dovute interessare a vicende analoghe, finite ovviamente nel dimenticatoio: dalla Falange Armata, attiva nei primi anni '90 come agenzia minatoria tesa ad alimentare un clima di tensione con lettere, bossoli spediti e telefonate minacciose, promossa con ogni probabilità da ufficiali della Settima divisione del Sismi, alla Uno Bianca partorita ed amorevolmente allevata dentro la Questura di Bologna, al
"Progetto Arianna" nel 2000, un'organizzazione antidroga clandestina costituita a Latina da appartenenti alle forze dell'ordine, per finire ai recentissimi "Elmetti Bianchi", una fondazione a carattere internazionale alimentata soprattutto da ex-poliziotti, spuntata a lato del caso Telekom-Serbia, animata in Italia da un neofascista conosciuto per i suoi trascorsi in organizzazioni eversive e nella Massoneria.
Non si deve dimenticare la cosiddetta "Legione Brenno", nata in coincidenza con lo scoppio della guerra serbo-croata per difendere la "nuova frontiera dell'occidente minacciata", venuta alla luce nel 1998. Si scoprì essere stata fondata da alcuni ex-carabinieri interessati al business della sicurezza e dell'assoldamento di milizie private nelle guerre in corso.
Poi venne Genova.
Il risultato della complicità fra la classe politica e le forze di sicurezza, di cui Msi / Alleanza nazionale e carabinieri sono sempre stati il nocciolo duro, ha prodotto la prima tragedia degli anni 2000, con l’ omicidio di Carlo Giuliani.
Il vice presidente del Consiglio, Fini, si sedette al tavolo di comando con i generali dell’Arma dei Carabinieri mentre i suoi colleghi si installavano nella sala operativa per seguire in diretta la mattanza compiuta dagli amati militi della Benemerita, “nei secoli fedele”.
Tutti ricordiamo gli Inni fascisti che accompagnarono le torture di Bolzaneto, l’odio anti comunista ed il cinismo nazista delle comunicazioni radio tra funzionari della Polizia di Stato.
E’ legittimo chiedersi, da una prospettiva storica ma soprattutto politica se aree di pensiero e valori, che negli anni relativamente più recenti sono stati esclusivo terreno di una cultura esplicitamente di destra, ormai non hanno più quest’unico rifugio, ma sono sempre più patrimonio generalizzato? Se la risposta è affermativa questo è il vero dramma, poiché tale deriva ha innescato un processo di devalorizzazione all’interno della nostra società di tutti quei principi ed anticorpi che con fatica erano stati costruiti con la lotta di Liberazione e, negli anni immediatamente successivi, con la riproposizione dell’antifascismo militante quale valore assoluto ed inalienabile.
Oggi la grande preoccupazione, oltre all’indubbia forza e capacità di attrarre consenso che le varie formazioni delle “nuove” destre possiedono, è che forme di pensiero dichiaratamente fasciste, ormai sdoganate, sono divenute patrimonio comune.
Esiste un’area politicamente riconducibile alla cosiddetta “sinistra storica” che ha ceduto specularmente al rafforzamento delle destre in maniera del tutto esplicita e definitiva.
La progressiva marginalizzazione, a partire dagli anni ’80, del concetto di centralità della classe operaia quale forza motrice nella trasformazione della società e la perdita del patrimonio culturale, sociale e ideologico di cui essa era stata portatrice per quasi mezzo secolo ha lasciato il passo al massiccio dilagare della restaurazione di modelli sociali e culturali patrimonio di una borghesia incapace e in piena decadenza.
L’alleanza di Berlusconi, sul finire degli anni ’90, nei confronti di Alleanza Nazionale ha aperto le porte al ben più pericoloso ingresso nell’area di governo di formazioni dichiaratamente nazi-fasciste come Forza Nuova che ripropone il vecchio modello del “manganello e doppio petto” dei decenni precedenti.
Apertamente razzista, xenofoba e ovviamente anticomunista Forza Nuova si distingue, nell’ultimo decennio, per le costanti aggressioni ai militanti dei centri sociali, per la feroce caccia all’immigrato e l’organizzazione del tifo più violento e a sfondo nazista dentro e fuori dagli stadi.
Infine, le incessanti campagne mediatiche di quasi tutta la stampa nazionale ed i conseguenti riflessi normativi, nascosti spesso in burocratici e poco appariscenti provvedimenti amministrativi, sembrano aver, se non annientato, seriamente compromesso gli anticorpi dell’ antifascismo e del corollario di principi, fondati sugli ideali di solidarietà attiva, di agire collettivo e di uguaglianza su cui questi poggiava.
E’ solo dopo il punto di rottura epocale determinato dagli attentati dell’ 11 Settembre e dalla conseguente imposizione della Guerra globale permanente che la diffusione del teorema sulla “sicurezza” (di cui, in Italia, l’ultimo passaggio in ordine di tempo è il decreto legge sulle espulsioni), l’accoglimento di un modello politico basato su un’ idea di “legalità” acritico ed ottuso, l‘accettazione di uno stato di guerra permanente, mostrano come un’area sociale sempre più vasta abbia assunto e metabolizzato alcuni aspetti non secondari del pensiero reazionario, magari dopo aver praticato per anni un antifascismo quasi esclusivamente rituale.
Il cosiddetto “pacchetto sicurezza”, per esempio, intacca un principio base dello stato di diritto: la divisione dei poteri. Ormai ci siamo abituati all’idea che i sindaci si approprino di poteri di polizia, che i prefetti si sostituiscano al potere giudiziario e che quest’ultimo cancelli di fatto il principio per cui la responsabilità è personale e non collettiva. Il decreto sulla sicurezza approvato dal governo si fonda su una logica esclusivamente repressiva e discriminatoria ed è stato emanato sulla spinta della crescente onda xenofoba con la precisa volontà di creare un clima di “emergenza”.
Lo stato di diritto viene di fatto scardinato dal governo “amico” di centro-sinistra ancora più di quanto abbia fatto la destra: più poteri ai prefetti a scapito della magistratura, più poteri ai sindaci a scapito del Parlamento, più poteri all’esecutivo a scapito dei diritti costituzionali.
Inoltre, come dimostra la politica di Veltroni a Roma, è in atto la non celata riproduzione di “zone rosse”, proprio come fu a Genova, attorno agli stadi e ai campi nomadi. Zone in cui i diritti sono limitati ed in cui valgano prevalentemente le normative emergenziali sull’ordine pubblico.
Ricordiamo che la legislazione di emergenza si è sviluppata dagli anni ‘70 in poi, ed è ancora in vigore, in spregio al principio di legittimità che presuppone giuridicamente un periodo di tempo limitato all’applicazione di tali normative perché possano essere considerate emergenziali. Se l’emergenzialità diviene “strutturale” saltano i principi democratici.
Nonostante i dati contenuti nell’ultimo rapporto del Ministero degli Interni indichino che soltanto un’esigua percentuale d’ immigrati è coinvolta in reati minori (furti, scippi e rapine) e che questa sia in costante diminuzione, è sull’ “altro”, sul diverso, su chi comunque non ha la possibilità di difendersi che si scarica la responsabilità del fatto che la gente ha paura. Quindi, se da una parte, i sindaci sceriffi radono al suolo con le ruspe i campi nomadi e praticano espulsioni di massa, dall’altra parte, gruppi di cittadini, fomentati da formazioni fasciste e xenofobe, si sentono legittimati ad organizzare spedizioni punitive in una sorta di caccia all’uomo.
Nella rabbiosa ricerca da parte dei diversi poteri dello Stato di annientare ogni conflitto sociale, la messa in campo di molteplici strategie di repressione giudiziaria ha portato ad un’intensa attività processuale nei confronti di chi pratica le lotte sociali.
In particolare il processo impiantato dalla procura di Cosenza nel novembre 2002 ha portato all’arresto in varie città italiane di 15 persone, presenti a Genova nei giorni del G8, con l’accusa di cospirazione politica mediante associazione al fine di turbare l’esercizio delle funzioni del governo, effettuare propaganda sovversiva e sovvertire violentemente l’ordinamento costituito dello stato. Il reato è associativo, ma la gran parte delle persone coinvolte si sono conosciute dopo essere state accomunate da un’ accusa la cui fonte principale sono le intercettazioni telefoniche ottenute senza nessuna garanzia per gli imputati e usate con grande discrezionalità e disinvoltura dagli inquirenti.
L’impianto accusatorio di Cosenza non è fondato quindi su reati specifici, non vuole colpire presunti autori di reati, ma chiunque mantenga un comportamento relazionale “a rischio”.
Anna Curcio, ricercatrice e imputata, scrive (nel saggio: La paura dei movimenti, Rubettino Editore, 2006) che si sono ricostruite le biografie degli imputati con particolare riguardo alla produzione dei saperi, alla circolazione delle conoscenze, alla diffusione delle informazioni; quindi ciò che viene colpito sono proprio le relazioni, la comunicazione, la conoscenza .
Un procedimento del genere prende di mira chiunque cerchi di costruire legami sociali non subordinati alle reti di comando del potere. L’obiettivo principale della repressione è quindi colpire preventivamente, in modo da creare un clima di paura all’interno dei movimenti.

A questo punto si ripropone la domanda iniziale che ha dato l’incipit alle riflessioni fin qui espresse: … È corretto ed ha senso parlare solo di “nuove destre” ?…
Da un lato ci pare impossibile non rilevare la peculiare continuità tra la strategia della tensione, fatta di bombe, di omicidi fascisti e di Stato, quasi tutti irrisolti, e la nuova strategia della sicurezza fondata sulla onnipresenza mediatica di un’informazione spazzatura obbediente alla “cultura” del pensiero unico che costruisce nemici, mostri, complotti casualmente individuati sempre tra i più deboli, i diversi, i non omologati.
Da un altro lato ci sembra che l’elemento più subdolo e velenoso sia proprio l’avere “dimenticato”, sul versante culturale prima ancora che politico, la memoria viva, non certo quella rituale e cristallizzata, dell’ antifascismo quale elemento fondante della nostra storia recente, lasciando così campo libero al ritorno di tutte le peggiori e reazionarie ideologie.