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Yemen / Il compromesso che uccide

Trenta vittime in 48 ore negli scontri tra esercito e miliziani a Ta’izz. Un esercito che doveva essere riformato con le dimissioni di Saleh ma che è ancora al suo posto. E una transizione che in Yemen appare sempre più difficile.

04 Dicembre 2011 - 18:10

di Giorgia Grifoni da Nena News

Roma, 3 dicembre 2011, Nena News. “Armi di grosso calibro, mitragliatrici e spari non si fermano mai. E’ già guerra, a Ta’izz”. E’ questo il messaggio diffuso da Abdulkader al-Guneid, testimone degli scontri nella terza città dello Yemen. E sale a trenta vittime in meno di 48 ore -di cui gli cinque solo qualche ora fa- il bilancio degli scontri tra le truppe fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh e le milizie tribali a lui opposte. “Vogliono impedire la formazione del governo ad interim” ha dichiarato il neo-presidente del Consiglio Mohammad Basindwa. Segno che qualcosa sta andando storto, nel passaggio di poteri dall’ex-padrone dello Yemen al vicepresidente Abd Rabbuh Mansur al-Hadi decretato di 10 giorni fa a Riyadh.

L’iniziativa del Consiglio di Cooperazione del Golfo, messa a punto da un gruppo di monarchie guardiane della “stabilità” dell’area, è stata fortemente contestata dai manifestanti che si battono da dieci mesi perché l’unica Repubblica della penisola arabica diventi democratica. Principalmente per l’immunità concessa a Saleh -che la piazza vuole invece sul banco degli imputati- in cambio della sua uscita di scena. Ma anche per la mancata riforma della struttura militare, che continua a vedere la famiglia del presidente a capo di tutte le forze armate compresa la prima brigata, defezionista, controllata dal generale Ali Mohsen. Una riforma presente nelle precedenti versioni del documento stilato dal CCG che Saleh si era sempre rifiutato di firmare.

“Dissolvere le forze di sicurezza politica e le forze di sicurezza nazionale, formando una nuova agenzia di sicurezza nazionale sotto l’egida del ministero degli Interni. Fondere le Guardie Repubblicane con le forze militari, sciogliendo il Consiglio di difesa nazionale per assicurare imparzialità all’esercito e alle forze di sicurezza”. Erano queste le richieste avanzate dai manifestanti. Ma l’iniziativa del CCG ha invece offerto loro un vago “comitato di ristrutturazione” delle forze di sicurezza, organizzato dal governo ad interim con il nuovo presidente Hadi a capo. Non è chiaro quali saranno i poteri di questo comitato, come non è chiaro che tipo di riforme in questo campo potrà portare avanti Hadi. Certo è che il nuovo governo di unità nazionale ad interim, che il premier Mohammad Basindwa sta formando, non è incoraggiante per la fine delle ostilità: un’intesa che affiderebbe all’opposizione (Joint Meeting Parties, JMP) i dicasteri di Finanze, Educazione e Interni, mentre lascerebbe nelle mani del partito di Saleh (General People’s Congress) la Difesa, gli Esteri e il Petrolio.

Mentre l’esercito fedele a Saleh continua a bombardare le milizie tribali della città di Ta’izz e a cercare di schiacciare i ribelli, principalmente sciiti, in lungo e in largo, la domanda rimane sempre la stessa: il documento del CCG è davvero il primo passo verso la democrazia? Secondo il ricercatore e blogger yemenita Atiaf al-Wazeer, è un “compromesso, oltre che fra le parti politiche dello Yemen, fra le potenze straniere che hanno interessi nel Paese, principalmente Stati Uniti e Arabia Saudita. Sostenere l’iniziativa del Golfo significa che entrambe le potenze possono mostrare sostegno per il movimento democratico, ma al contempo mantenere un vecchio sistema vantaggioso per entrambe”. Lotta al terrorismo e assenza di sciiti al potere, quindi. Resta da scoprire chi concorrerà per le presidenziali di febbraio accanto a Hadi, per ora unico candidato alla poltrona di Sanaa. E se, in un futuro prossimo, verrà compiuto qualche passo in avanti per sciogliere le dicotomie che attanagliano lo Yemen. Nena News