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Venti anni fa, a Casalecchio, la strage del Salvemini: 12 morti di Stato

Il 6 dicembre 1990 un aereo militare in avaria precipitò su una scuola uccidendo 12 studenti sedicenni. Al termine del processo, nessun colpevole. Nel giorno del 20° anniversario ripubblichiamo un articolo da “Reti invisibili”.

06 Dicembre 2010 - 14:06

Quello che viene riportato di seguito è uno dei tanti episodi tragici che restano avvolti nel mistero della fosca storia italiana. Come in tanti altri casi riportati su questo sito, lo stato ha deciso che non vi sono colpevoli, che nessun membro dei propri apparati è colpevole, dichiarando “il tragico incidente”, lo stesso, tragico incidente, della strage di Cavalese, lo stesso, tragico incidente, che ha causato la morte dei passeggeri del DC9 sul mare di Ustica…

Tutto accadde il 6 Dicembre 1990 a Casalecchio di Reno, un ridente paesino nel bolognese.
Il 6 Dicembre 1990 un aereo militare compie un esercitazione.
L’aereo che sta sorvolando il paese è un Aermacchi MB 326. E’ un aereo di sicura affidabilità: fu l’aviogetto italiano più venduto nel dopoguerra. Le aviazioni di 12 nazioni ne possedevano un carico, per un totale di 800 esemplari sparsi per il mondo.
Ma dal 6 Dicembre 1990 non decolleranno più. Cosa successe?

Quel 6 Dicembre è tutto tranquillo come sempre, giornata fredda ma serena nonostante l’inverno.
Un sole tiepido rischiara le vite di chi sta lavorando, di chi passeggia, di chi dorme, di chi studia.
E’ mattina.
L’aereo militare ad un certo punto inizia a perdere quota. Compie in aria delle evoluzioni incredibili tanto da far stare col naso in su tante persone a Casalecchio, persone che pensano forse ad una improvvisata esibizione. Ma l’aereo scende di quota sempre più velocemente, e per il pilota è ormai completamente ingovernabile.
L’aereo continua a scendere sempre più in basso, le persone smettono di guardare le sue evoluzioni e si guardano tra loro, pietrificate.
Il pilota abbandona l’aereo, lanciandosi con il dispositivo d’emergenza.

L’aereo precipita sulla succursale dell’Istituto Tecnico “Salvemini”, esattamente dentro la 2A.
Dodici ragazzi di sedici anni muoiono sul colpo, altri 4 restano gravemente feriti, come il loro insegnante. Non finisce qui. Perchè l’aereo è pieno di carburante, ed esplode.
L’esplosione è violenta e le fiamme avvolgono interamente l’edificio nel giro di pochi secondi.
Il bilancio finale è drammatico: oltre ai 12 morti della 2A, 72 tra ragazzi e insegnanti riporteranno invalidità permanenti, 84 saranno ricoverati per intossicazione, ustioni e fratture.

Oggi non ci sono colpevoli o responsabili per quella strage.
Non si sa perchè quel dannato aereo volasse così basso, non si sa se ebbe un guasto o il pilota ebbe un malore. Non si sa nulla.
Decine di famiglie hanno perso dei ragazzi e la cosa più angosciante e che non ne conoscono la causa.
La giustizia se ne è lavata le mani: il 26 gennaio ’98 i giudici della quarta sezione della Cassazione di Roma, rigettarono i ricorsi e confermarono così la sentenza su Casalecchio – tutti assolti, “perché il fatto non costituisce reato” – emessa un anno prima dalla Corte d’appello di Bologna. Reati in prescrizione (nel caso di omicidio colposo plurimo) dopo 7 anni e mezzo; dal giugno ’98 il caso è dunque chiuso.
Quei giudici dissero che non esistevano colpevoli per i 12 uccisi (e i 90 gravemente feriti o mutilati, molti dei quali da allora bisognosi di cure) il 6 dicembre ’90 da un Aermacchi della patria aviazione che si schiantò sulla scuola Salvemini a Casalecchio di Reno (vicino Bologna) dopo che il tenente Bruno Viviani s’era gettato col paracadute. Nessun responsabile se le vite di Laura, Deborah, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra sono state stroncate. Dopo che la strage venne negata in appello, con scarse reazioni istituzionali e con sdegno di breve durata, alcuni ragazzi dell’Associazione studenti ed ex-studenti del Salvemini, scrissero una lettera (alla rivista “Alfazeta”) parlando d’una “tredicesima vittima, la gente e gli stessi opinionisti colpiti dalla scarsità di informazioni che i loro stessi colleghi forniscono. Tredicesima vittima è la dignità calpestata dal peso o in nome di una divisa. La tredicesima vittima è chi cade in questa rete e sta al gioco”.
Imputati al processo erano il pilota Viviani, il suo comandante Eugenio Brega e l’ufficiale della torre di controllo Roberto Corsini. La loro difesa, su richiesta del ministero della Difesa, venne affidata all’Avvocatura dello Stato. “Scelta che provocò rabbia e sconcerto perché se è vero che l’aereo era un mezzo militare è pur vero che colpì una scuola statale” scrissero gli studenti lamentando che “il ministero della pubblica Istruzione non trovasse nella morte di 12 studenti, avvenuta mentre facevano lezione, una motivazione per chiedere di essere rappresentato da quell’organo al servizio dello Stato che è l’Avvocatura”. Il processo di primo grado ebbe il coraggio (di fronte all’evidenza dei fatti) di condannare Viviani, Brega e Corsini a pene superiori ai due anni – per disastro aviatorio colposo e lesioni colpevoli – e il Ministero della difesa a risarcire i danni (per responsabilità civile). Nella sentenza d’assoluzione si legge invece che il caso fu gonfiato, che “il dibattimento diventò un rito esorcistico”, che i giudici di primo grado aggiustarono i fatti. Per mandare assolti i militari si usa un linguaggio arrogante, assurdo e offensivo. Nella stessa logica del piccolo e squallido ricatto di non affidare al Genio i lavori (gratuiti) di ricostruzione della scuola se l’amministrazione di Casalecchio non avesse prima firmato una liberatoria, in pratica una specie d’assoluzione morale anticipata; trenta denari che non furono accettati.
Il silenzio cala su Casalecchio. Le esercitazioni su zone abitate continuano.

Quella di Casalecchio è una delle tante pagine nere della cronaca italiana e conferma la linea di comportamento di “certi uomini”.
Alti ufficiali dell’esercito, dei carabinieri, dell’aviazione, della marina. Ministri, sottosegretari, funzionari. Giornalisti, politici, vescovi e cardinali. Uomini del potere pronti ad indignarsi ad ogni piè sospinto, pronti a scatenare la canea reazionaria e razzista contro gli immigrati, le prostitute, gli scioperanti, gli occupanti, i centri sociali o gli squatter.
Uomini della “tolleranza zero” estremamente tolleranti e comprensivi quando sul banco degli imputati dovrebbero sedere loro o i loro compari.

Almeno noi, non dimentichiamoci di loro.

Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen, Alessandra.
Ciao.

L’associazione parenti vittime Istituto Salvemini (Presidente: Roberto Alutto) continua a portare avanti attivamente il ricordo di ciò che è accaduto, partecipando ad iniziative e convegni, e collaborando inoltre con altri comitati civili che si battono contro silenzi e impunità.

(da Reti Invisibili)