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Taranto / Ilva: Manette ai vertici e serrata, gli operaio occupano la direzione

Tra gli arrestati anche l’ex assessore provinciale Pd all’ambiente. Subito la ritorsione dell’azienda: chiusura immediata. All’indomani i dipendenti in sciopero forzano i varchi dello stabilimento. Migliaia di lavoratori in piazza a Genova.

27 Novembre 2012 - 15:12

(dal sito di Radio Onda d’Urto)

Terremoto a Taranto. Partiamo dai nuovi arresti nell’ambito dell’inchiesta sul disastro ambientale provocato dall’ Ilva. Tre persone sono in carcere e quattro ai domiciliari: le accuse sono associazione per delinquere, disastro ambientale e concussione. Tra questi, oltre al patron storico Emilio Riva, anche il figlio Fabio, già ai domiciliari dal luglio scorso, con l’ex direttore Luigi Capogrosso e l’ex dirigente dell’Ilva per i rapporti istituzionali Girolamo Archinà, trasferito in carcere. Archinà era stato ‘licenziato’ tre mesi fa dall’azienda dopo che, dall’inchiesta per disastro ambientale, era emerso un episodio di presunta corruzione che coinvolgeva l’ex rettore del Politecnico di Taranto Lorenzo Liberti, anche lui tra gli arrestati di questa mattina.

Sul fronte politico manette per l’ex assessore all’Ambiente della Provincia di Taranto, Michele Conserva, del Pd, ai domiciliari e dimesso circa due mesi fa dall’incarico. I provvedimenti sono legati anche ad una inchiesta, denominata ‘Ambiente svenduto” e parallela a quella per disastro ambientale che il 26 luglio scorso ha portato al sequestro degli impianti dell’area a caldo del Siderurgico. Chiude il cerchio infine l’attuale presidente dell’Ilva, Bruno Ferrante, indagato per “inosservanza delle precedenti disposizioni dell’autorità giudiziaria” con l’attuale direttore, Adolfo Buffo.

Immediata la ritorsione aziendale: Ilva ha comunicato la chiusura, immediata, dello stabilimento di tutta l’area attualmente non sottoposta a sequestro e ciò riguarda oltre 5000 lavoratori in ferie forzate cui si aggiungerebbero a cascata, in pochi giorni, i lavoratori di Genova, Novi Ligure, Racconigi, Marghera e Patrica. Si tratta di fatto della chiusura dell’Ilva di Taranto. Una nota di pochi minuti fa della Fiom chiede “a i lavoratori che devono finire il turno a rimanere al loro posto e a quelli che montano domani mattina di presentarsi regolarmente. Ora il governo deve smettere di tergiversare, altrimenti nei prossimi giorni saremo tutti sotto Palazzo Chigi”.

La tensione a Taranto e negli altri stabilimenti del gruppo, Genova in testa, è altissima. A Taranto è in corso lo sciopero di 24 ore indetto da Usb, Slai Cobas e dai confederali, che giovedì dovrebbero incontrare il governo. Al riguardo oggi il ministro Clini, dopo aver scaricato sui magistrati ogni colpa, ha annunciato un decreto ad hoc nelle prossime 48 ore.

Durante lo sciopero gli operai dell’Ilva di Taranto hanno prima forzato i varchi della portineria dello stabilimento, dove i loro badge sono stati tutti disabilitati, e poi sono entrati nella Direzione del siderurgico occupandola. La situazione rimane al momento di attesa: operai, e anche impiegati, cercano di capire cosa potrà succedere nelle prossime ore, prima di mettere in campo azioni di mobilitazione più radicale.

La vicenda dell’Ilva è una questione di impatto nazionale. Con la chiusura di Taranto rischiano di restare a casa 5.000 lavoratori pugliesi e, a cascata, i circa 3mila lavoratori degli stabilimenti Ilva di Genova, Novi Ligure, Marghera e altri minori,per un totale di poco meno di 8mila lavoratori: oltre il 20% degli occupati nel settore dell’acciaio in Italia. La produzione è a filiera: senza i rotoli lavorati a Taranto, ad esempio, lo stabilimento di Genova ha un’autonomia di pochi giorni. Per questo oggi è proprio il capoluogo ligure la città dove il clima è più duro. 2Mila lavoratori, di tutte le sigle confederali, sono in marcia dal mattino per la Lanterna. Il corteo, aperto da un bulldozer e da diversi mezzi pesanti, ha bloccato l’area di Genova Ovest, dove si incontrano la A7 e la A10, oltre alla rampa per l’aeroporto.

Il provvedimento della magistratura ha sequestrato il prodotto dell’area a caldo (quella inquinante) lavorato negli ultimi quattro mesi. In questo modo, risponde strumentalmente l’azienda, l’area a freddo non può lavorare perché se lo trasforma in prodotto finito rischia, come è accaduto per quello prodotto fino ad oggi, di cadere in un nuovo sequestro. Da qui, la serrata, attuata nella totale mancanza di risposte chiare, e decise, dell’esecutivo. Proposte in merito arrivano dall’Usb tarantina che, sul modello di quanto si sta discutendo in Francia con l’acciaieria Arcelor Mittal, parla esplicitamente di “nazionalizzare l’Ilva”.