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Speciale / Siria del Nord, ”Efrin
diventerà la nuova Kobane”

La situazione e i gli scenari che si aprono nei territori liberati nell’intervista di Zeroincondotta a Davide Grasso, in città per presentare il libro in cui racconta la sua partecipazione alla guerra contro Daesh.

17 Dicembre 2017 - 14:15
La situazione sul campo al 9 dicembre 2017 (clic sulla mappa per ingrandirla in una nuova tab)

Davide Grasso nel 2016 si è unito alle Forze democratiche siriane per combattere Daesh, l’Isis. Hevalen, che in curdo suona simile a “compagni”, è il titolo del libro, pubblicato da Alegre, che alcuni giorni fa è venuto a presentare in città. “L’idea nasce da due esigenze – racconta a Zeroincondotta – la prima di informare rispetto a quello che è accaduto e sta accadendo in medio oriente. Da quando ho cominciato a interessarmi a questi eventi sono sempre rimasto scandalizzato dal fatto che i mezzi d’informazione non davano la versione completa dei fatti. Nessuno ha mai reso giustizia alle donne e agli uomini che hanno portato avanti questa resistenza e queste trasformazioni. Io sin dall’inizio ho fatto un’attività di reportage che pensavo sarebbe rientrata in un libro e in effetti qui sono riuscito a riportare parte delle mie ricerche. A questo si è aggiunta un’altra esigenza, perchè dopo aver combattuto nelle Ypg ed essere ritornato in Italia ho molte volte affrontato conferenze e dibattiti pubblici vivendo il paradosso di non rispondere a un certo tipo di domande, perchè i fatti di guerra non si prestano a una narrazione pubblica disinvolta e ci sono aspetti interessanti, drammatici, complicati o poco gradevoli che infine non ho mai affrontato dei fatti di guerra. Mi è sempre stato chiesto perché una persona decida di andare a combattere in un altro paese. Ho scritto questo libro anche per rispondere a questa domanda”.

Davide è anche corrispondente di Radio Onda d’Urto e Infoaut. Impossibile non cogliere l’occasione per chiedergli come si è evoluta la situazione dopo la liberazione della città a lungo considerata la capitale di Daesh, Raqqa, portata  a termine due mesi fa, e quali scenari si aprono nella Siria del Nord liberata.

La campagna contro Daesh sta terminando, quasi tutto il territorio siriano a nord dell’Eufrate è stato liberato dalle Sdf. Parte di questi territori conquistati nell’ultimo anno e mezzo non sono a maggioranza curda. Come va con la popolazione? Pensi che in tutte quelle regioni potrà funzionare il confederalismo democratico?

A incaricarsi della liberazione di Raqqa sono stati soprattutto combattenti arabi, residenti di Raqqa, e della sua provincia, e anche di quella di Deir ez-Zor. Un mese fa mi trovavo in Siria e parlando con persone che hanno partecipato a tutte le fasi della liberazione della città, tutti confermavano che i combattenti arabi sono stati quelli che hanno sostenuto anche le fasi di combattimento più dure, avanzando anche per primi nelle zone nemiche e questo è naturalmente dovuto al fatto che da un lato c’è l’entusiasmo di chi ritorna magari da un periodo di esilio di diversi anni, ma anche dalla necessità che la cittadinanza viva la liberazione come effettivamente tale, e che quindi la riconsegna della città ai residenti avvenga per mano di forze che la città riconosce come proprie. Questo non vuol dire che le Ypg non fossero presenti, o che la popolazione di Raqqa non ami le Ypg: l’operazione militare è stata concepita in questo modo. Bisogna poi dire che ancora prima che l’operazione partisse era già pronto il consiglio di amministrazione civile della città liberata, composto in gran parte da chi risiedeva nella città prima che lo stato islamico l’avesse occupata. Come co-presidente del consiglio cittadino è stata scelta Leila Mohamed, una ragazza giovane. Quest’atto indica un rovesciamento totale della concezione che aveva lo stato islamico, ma anche il regime di Assad e tutta la storia della Siria. Questo inevitabilmente crea dei “mal di pancia” a una parte della popolazione, principalmente quella maschile, talvolta legata ai clan presenti nella città, che in parte hanno vissuto una vita senza grossi problemi sotto Daesh. Certamente sono state donne e dissidenti politici a pagare il prezzo più alto di quel regime politico. La vita, se una persona era conformista, poteva andare benissimo sotto lo stato islamico, se non ci si impressionava troppo a vedere i cadaveri esposti o le decapitazioni. Per la popolazione femminile invece è stato un incubo: in primo luogo le donne l’hanno vissuta come una liberazione. I conflitti sociali ci sono: una liberazione fatta da una forza comunistica come le Ypg insieme alle forze democratiche arabe non è solo una conquista ma anche una rivoluzione. Non si può risolvere il problema Isis semplicemente cambiando bandiera ma si tratta anche di attaccare certe strutture sociali perchè il cambiamento avverrà comunque per gradi. L’approccio che stanno avendo le militanti è infatti sempre quello del dialogo e della formazione, coinvolgendo la popolazione attraverso momenti di incontro. Ci sono e ci saranno saranno altri conflitti, ma non sono conflitti arabi contro curdi, ma sono conflitti fra chi vuole una società gerarchizzata in un certo modo e tradizionale con chi invece vuole voltare pagina.

A partire dall’assedio di Raqqa si è creata una situazione inedita: da una parte del fiume le Forze Siriane Democratiche, dall’altra l’esercito di Assad. Ci sono stati o ci sono problemi? C’è il rischio che l’esercito siriano prima o poi attacchi?

Questo rischio c’è, è concreto, e ha che fare con la prospettiva politica nel senso che la confederazione democratica della Siria del Nord, che ormai controlla quasi un terzo della Siria popolata e che controlla il 60% delle risorse energetiche della Siria di fatto è l’ultimo esito esistente della rivoluzione siriana, tutto il resto è ormai stato praticamente represso, quindi il regime dovrà decidere che atteggiamento adottare con questa rivoluzione vincente. Potrebbe anche scegliere l’opzione militare. Ci sono stati sicuramente dei problemi. Le Sdf hanno detto al regime di non oltrepassare l’Eufrate verso Est, il regime invece l’ha fatto, ma le Sdf non hanno risposto alla provocazione. C’è da dire però che ci sono dei quartieri di Deir ez-Zor che si trovano appunto a Est del fiume: le Ypg nella loro avanzata hanno occupato la parte industriale della città, ma sono state bombardate dalla Russia e dal regime, con molti feriti. Il rischio di escalation c’era, ma a metà settembre le Sdf hanno scritto un comunicato nel quale sostenevano la necessità di concentrarsi sulla lotta contro lo stato islamico e non cadere nelle provocazioni. Comunque non c’è stata una degenerazione del conflitto, sebbene si parli di persone ferite o uccise e quindi sempre di eventi gravissimi. C’è una novità degli ultimi giorni molto importante: mentre Trump telefonava a Erdogan per dirgli che avrebbe smesso di dare supporto alle Sdf in funzione anti-Isis, le Ypg e Ypj (Unità di protezione delle donne, ndr) hanno avuto dei colloqui diretti con le forze armate russe e in una conferenza stampa congiunta hanno detto che inizia una collaborazione tra le Ypg e la Russia anche a est dell’Eufrate. Questo non significa comunque che ci sarà una collaborazione col regime siriano, che ormai dal punto di vista finanziario è un’estensione dell’Iran e dal punto di vista militare è semplicemente un’unione tra Hezbollah libanese, le guardie rivoluzionarie siriane e le forze speciali russe: ormai l’esercito siriano non è più in grado autonomamente di sostenere una grossa operazione, senza forze e decimato, è un esercito di leva di un paese il cui governo ha perso il sostegno in molte aree. L’accordo con la Russia si spera possa anche preludere a un accordo tra le Sdf e il regime: questo significherebbe la possibilità della pace in Siria. La possibilità c’è davvero, ora dipende dalla volontà sia delle parti siriane sia di quelle straniere.

Che notizie ci sono dal cantone di Efrin, a cui l’occupazione turca di Jarabulus e Al-Bab ha impedito di ricongiungersi al resto del Rojava?

Adesso che l’autonomia democratica del Rojava si sta configurando come federazione democratica, tramite un processo elettorale in atto, i tre cantoni sono diventati sei e quelli che erano i tre cantoni si chiamano regioni. Nella regione di Efrin la situazione è molto negativa. La Turchia ha ottenuto dalla Russia e dall’Iran l’autorizzazione a penetrare da nord nella regione, che già confina a nord e ovest con la Turchia ed è in pratica completamente circondata dai carri armati turchi. La Turchia ha anche coordinato una serie di forze locali interessate ad attaccare questo cantone, perlopiù milizie di turcomanni e fascisti turchi, così come forze arabe salafite anch’esse legate alla Turchia, nonchè Tahrir al-Sham, che sarebbe Al Qaeda in Siria: chiaramente il legame non è ufficiale ma esiste di fatto. Gli attacchi e i bombardamenti turchi hanno fatto anche molte vittime. Quello che Erdogan sta cercando di imporre alla comunità internazionale è un’invasione complessiva del cantone di Efrin. Le Ypg e Ypj stanno prendendo in considerazione questa ipotesi seriamente: è stato lanciato un appello internazionale per arruolarsi nelle Ypg per difendere Efrin, e la situazione è che se questo accadrà Efrin diventerà idealmente la nuova Kobane, che verosimilmente subirà un destino terribile, ma sarà anche un luogo da cui la Turchia non uscirà più. Nemmeno per la Turchia, nonostante il gran numero delle sue forze armate, è possibile prendere una città come Efrin, che fra tutte quelle del Rojava è la più politicizzata, con l’adesione da sempre più alta alla sinistra curda. Bisogna evitare in tutti i modi che questa occupazione avvenga, perchè sarebbe un bagno di sangue. A Efrin sono comunque presenti delle forze dell’esercito russo, quindi senza l’assenso dei russi questo non potrà accadere. Ypg e Ypj sono pronte in ogni caso a far fronte a questa situazione. Non manca comunque l’entusiasmo rivoluzionario dei compagni a Efrin, che vedono anche le situazioni di conflitto come chiavi per dare una risposta rivoluzionaria.

Nelle zone liberate da più tempo, come si sta sviluppando il confederalismo democratico?

Diciamo che nella visione di questo movimento il confederalismo democratico è l’obiettivo finale del processo: o la democrazia è senza capitalismo e senza stato oppure non è. Deve essere anche una democrazia basata sulla dinamica assembleare delle popolazioni. Questo allo stato attuale non esiste nella federazione. Il confederalismo democratico è espresso concretamente dalle comuni, che sono già 4000 circa in tutta la federazione, comuni che hanno già proceduto alla messa in comune delle ricchezze sul territorio, con la costruzione di cooperative che mettono in atto delle forme socialiste di cooperazione sociale. Esiste ancora la proprietà privata ed esistono ancora proprietari terrieri a cui non sono state confiscate le terre. E’ ancora un processo parziale. Questo movimento è reale ma si deve riconciliare con lo stato di cose presenti, perchè non è in grado di distruggerlo in un attimo: questo processo è chiamato “autonomia democratica”, di fatto quello a cui punta il movimento in questa fase è il riconoscimento di questa autonomia, per poter continuare a costruire quel processo di democrazia economica e sociale dal basso, che mira alla riuscita del confederalismo democratico, che però appunto come tale prevede la rivoluzione in tutta la Siria ma anche in medio oriente e in tutto il mondo. Quindi è comunque un qualcosa a-venire. Nel concreto l’autogoverno nelle zone liberate avviene con l’amministrazione dei consigli cittadini, che riuniscono tutti i rappresentanti dei quartieri e dei rioni delle città a vari livelli, e che sono tra loro coordinati secondo un meccanismo che parte dalle comuni e elabora il processo fino ai livelli più alti della federazione. Tutto ciò che da un punto di vista sussidiario può essere risolto a livello cittadino o di villaggio (per esempio le controversie fra cittadini, l’educazione, l’autodifesa o anche la gestione economica) è già tutto autogovernato dalle comuni. C’è un meccanismo di assunzione di potere popolare già avanzatissimo, anche se non assoluto. Ci sono state delle riforme importanti per esempio rispetto al diritto di famiglia, come l’abolizione della poligamia, del delitto d’onore, del matrimonio con minori: questi provvedimenti sono stati presi dal movimento delle donne che li ha imposti alla federazione, e le comuni non possono rimetterli in discussione, sebbene forse in alcuni casi vorrebbero la reintroduzione di queste forme tradizionali di rapporti sociali, ma questo non fa parte del percorso rivoluzionario. Non sono infatti tanto le comuni il soggetto rivoluzionario unico. In primo luogo a muoversi è stato il movimento rivoluzionario armato, con i suoi militanti, senza il quale non ci sarebbe stata nessuna rivoluzione nel nord della Siria. Le comuni sono state rese possibili da questo movimento, queste ultime si stanno sviluppando in autonomia e ora esiste una dialettica fra queste due parti. Si tratta della possibilità di forme di autogoverno sempre maggiore, garantita da un movimento che ha un progetto ben chiaro ed è disposto a battersi fino alla fine perchè sia vittorioso.