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Speciale / L’ex convento di Santa Marta agli ”imprenditori dell’abitare” ciellini

L’immobile venne sgomberato perché dovevano partire i lavori per residenze protette per anziani e per un asilo nido. Oggi, a distanza di due anni, si scopre il cambio di rotta.

16 Novembre 2015 - 12:28

_DSC9202Se c’è uno spazio a Bologna su cui gli amministratori pubblici si sono allenati a raccontare delle balle è l’ex Convento di Santa Marta, situato in Strada Maggiore 74, per decenni di proprietà dell’ex opera pia Poveri Vergognosi e di tutte le sue trasformazioni societarie successive, oggi facente parte del patrimonio dell’Asp Città di Bologna. Sin dal giugno 2011 Zic aveva realizzato un’ampia inchiesta sull’immobile e la sua storia, fatta di progetti che si perdevano nei cassetti, di chiusure, di spazi abbandonati per anni che avevano mandato in rovina l’importante complesso monumentale. A quel tempo la nostra denuncia fu completamente oscurata dai media ufficiali. Il coperchio su quell’enorme paiolo, pieno di cattiva amministrazione e di vergognosa sciatteria di certi amministratori pubblici, fu sollevato una seconda volta per via dell’occupazione promossa dal collettivo Bartleby, il 27 gennaio 2013, alla fine di un corteo di protesta contro lo sgombero della vecchia sede di via San Petronio Vecchio. Quel giorno, quando il gigantesco portone di ferro che dà su via Torleone venne spalancato, apparve agli occhi dei manifestanti lo sconcio di un grande palazzo storico, un tempo casa protetta per anziani, lasciato in uno stato di totale incuria e desolazione.

8420378116_be42cc2e1f_zAnche in quell’occasione, come aveva fatto almeno 20 volte in precedenza, l’allora presidente dell’Asp Poveri Vergognosi, Paolo Ceccardi, cercò di mettere insieme una inconsistente difesa sulle ragioni per cui l’ex convento era chiuso e abbandonato dal 2006. Addirittura il Ceccardi ebbe la spudoratezza di chiedere lo sgombero immediato dell’immobile occupato perché dovevano partire in tempi brevi i lavori di ristrutturazione per attrezzarlo a residenza per anziani. Appoggiato in questa sua richiesta dall’assessora alle Politiche sociali Amelia Frascaroli che, dalle finestre della sua abitazione in via Torleone, aveva visto l’occupazione, e che si era precipitata a sollecitare i ragazzi ad andarsene, perché, nel giro di poche settimane, doveva aprire il cantiere e non si poteva portare via quello spazio ad anziani e bambini che stavano aspettando. Infatti, il progetto prevedeva la realizzazione di 24 mini-appartamenti protetti per anziani e di un asilo nido.

E così, dopo solo tre giorni, il 30 gennaio 2013, arrivò lo sgombero. Santa Marta, come era già avvenuto in altri casi (e come ha continuato a succedere anche dopo), venne restituito alla polvere.

Le settimane passarono, passarono anche i mesi, passò un anno, ne passarono due, ma dei cantieri nessuna traccia. Chi pensava, però, che l’Amministrazione Comunale e la nuova dirigenza dell’Asp Città di Bologna, per tutto quel tempo, fossero stati con le mani in mano, sbagliava di grosso.

In questi giorni la nostra redazione ha raccolto una circostanziata documentazione (che, del resto, è pubblica) dove viene certificato un amplio lavoro dietro le quinte di funzionari e tecnici per raggiungere un nuovo e più ambizioso obiettivo.

E così abbiamo scoperto che la dirigenza dell’Asp, il 29 maggio 2014, prendeva atto “delle oggettive difficoltà a proseguire nel progetto di ristrutturazione e gestione dell’asilo nido e dei 24 appartamenti per anziani”. Pertanto, prima il 6 ottobre 2014, poi il 17 dicembre 2014, deliberava di “abbandonare definitivamente l’ipotesi di realizzazione dell’asilo e dei 24 appartamenti”. Al tempo stesso, l’Asp Città di Bologna dava mandato “per attivare l’acquisizione di manifestazioni di interesse per l’immobile, sito in Strada Maggiore 74, denominato Complesso Santa Marta… Per verificare la disponibilità di soggetti privati, del privato sociale, dell’associazionismo non profit, a investire nella ristrutturazione dell’immobile e nella successiva gestione di un Servizio sociale, sanitario, socio/sanitario, educativo, scolastico al servizio della città di Bologna”.

In una delibera successiva, del 23 settembre 2015, si apprende che l’Asp, dall’avviso pubblico per acquisire manifestazione d’interesse, ha preso atto che “è emersa come unica richiesta di utilizzo del complesso Santa Marta, la proposta della Fondazione Falciola di adibirlo a studentato”.

Nella stessa delibera è segnalato che l’Asp, nel frattempo, ha richiesto al Comune di Bologna l’eliminazione della dotazione pubblica per l’ex convento, prevista nel RUE, che è lo strumento di pianificazione urbanistica comunale cui compete la disciplina generale degli usi e dei modi di intervento sul patrimonio edilizio esistente.

L’Amministrazione comunale, a sua volta, sta valutando la modifica richiesta dall’Asp, da eseguire nel prossimo Piano Operativo Comunale. Se la domanda dell’Asp verrà accolta, sarà necessaria una modifica al RUE vigente per gli immobili di proprietà pubblica. Nella delibera, comunque, si precisa (rasserenando) che il provvedimento comunale di modifica è in fase di redazione e di prossima adozione. L’Asp, pertanto, ritiene di dover procedere alla modifica di utilizzo del complesso Santa Marta.

A questo punto, non è male fornire un po’ di notizie sull’unico soggetto che ha dimostrato interesse sull’immobile di Strada Maggiore 74, cioè la Fondazione Falciola.

Sul suo sito si può leggere: “La Fondazione Pier Giorgio Falciola si occupa di ospitalità per studenti universitari con l’intento di offrire loro le migliori condizioni abitative e di studio. Fondata nel 1995, gestisce su scala nazionale studentati e complessi immobiliari di varia tipologia e complessità gestionale; inoltre reperisce sul mercato degli affitti posti letto, appartamenti e altri tipi di alloggio per studenti universitari e lavoratori”.

Il suo ispiratore, Monsignor Pier Giorgio Falciola, fin da piccolo era affascinato dalla spiritualità carmelitana, pertanto, a 18 anni, entrò nell’Ordine dei Carmelitani Scalzi. Mentre, nel 50° della sua professione religiosa, gli fu conferita la dignità di Corepiscopo del Patriarcato di Antiochia dei Siri.

Pur essendo ispirati ai Carmelitani Scalzi, gli aderenti alla Fondazione Falciola hanno, invece, messo le scarpe in diversi luoghi.

Il suo presidente, Maurizio Carvelli, oltre ad essere un esponente di spicco della Compagnia delle Opere di Bologna, è pure CEO della Fondazione CEUR (Centro Europeo Università e Ricerca), che gestisce in diverse città italiane collegi denominati Camplus, ispirati alla tradizione dei “collegi universitari di merito”, ed è stato amministratore delegato della Cooperativa Nuovo Mondo che ha come finalità la costruzione e la gestione di studentati.

Nell’Archivio dei partecipanti del Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione su di lui si scrive: “Imprenditore, primo operatore privato non profit nel settore dei collegi universitari e nell’edilizia universitaria residenziale italiana”.

Maurizio Carvelli, sulla rete “Linkedin” si presenta così: “Sviluppo il business della ospitalità e della formazione degli studenti universitari e della residenzialità temporanea, sia impostando operazioni immobiliari in proprietà o proponendomi come gestore di proprietà altrui, fondi di investimento, proprietari”.

Su “Tempi”, il settimanale di Comunione e Liberazione, in un’intervista, Carvelli sostiene: “Le Fondazioni Ceur e Falciola hanno avuto uno sviluppo grazie a un percorso di sussidiarietà, ciò è accaduto attraverso lo Stato che ha finanziato il pubblico, ma anche il privato (L. 338 del 2000) e ha considerato il privato un attore finanziabile… Questa idea sussidiaria considera il privato come partner, non come nemico”.

Sicuramente meno positive sono le parole che si possono leggere sul libro/inchiesta “La lobby di Dio”, di Ferruccio Pinotti (ed. Chiarelettere). In quelle pagine, l’autore descrive Maurizio Carvelli come il tessitore di una trama che non si spiegherebbe senza la forza di Comunione e Liberazione, del suo braccio economico, la Compagnia delle Opere, e delle fondazioni vicine al movimento, come CEUR e Falciola. Pinotti racconta delle sbaraccate di soldi pubblici distribuiti “legalmente” alle fondazioni cielline, non attraverso appalti pubblici, ma per il principio di sussidiarietà.

Sono diverse le “soluzioni residenziali” che Falciola e CEUR gestiscono a Bologna: alloggi in residenza universitaria, foresteria, residence e appartamenti. Si va dal Camplus Bonomia al Camplus Living Bonomia, dal Camplus Living San Giovanni in Monte al Camplus Living Carpentiere, fino al progetto “Bussola” che comprende il Camplus Alma Mater e il Camplus San Felice. Poi c’è il Camplus Network di “Abitat Plus San Vitale e San Giuseppe”, dove per trovare un posto letto o una camera occorre il “Consenso all’invio da parte di Fondazione Falciola, Nuovo Mondo coop e Fondazione Ceur” (così è scritto sul sito).

In questi anni tutto è filato liscio, gli amministratori comunali hanno aperto le strade a queste “soluzioni abitative”, mentre il numero dei posti letto negli studentati pubblici era ridicolo, rispetto al numero degli studenti fuori sede presenti in città. Sono arrivati finanziamenti regionali e concessioni comunali, l’Università ha appoggiato. A livello politico quasi mai nessuno si è posto delle domande su questo strapotere ciellino. Quando qualcuno ha sollevato la questione, subito gli assessori di “sinistra” si sono giustificati dicendo “sono i migliori in questo campo”.

Solo nell’ultima inaugurazione, al Camplus Bonomia, alla presenza dell’ex Ministro ciellino Lupi, il 23 novembre 2013, ci fu una protesta di studenti universitari dei collettivi Cua e Taksim che sostenevano: “Questa è una residenza per eccellenze, ma soltanto in termini economici. La discriminazione sta nel prezzo di 13 mila euro all’anno per abitarci”.

Del resto, che gli “imprenditori dell’abitare ciellini” fossero i migliori è stato messo in dubbio, a Parma, lo scorso 25 aprile, dagli attivisti di “Oltrettorrente Libero e Solidale” che, durante il corteo per l’anniversario della Liberazione, entrarono con studenti e famiglie sfrattate nell’ex residenza Sant’Ilario di Borgo Bosazza 13. L’edificio di proprietà del demanio pubblico, era stato concesso all’Università di Parma, ed era stato gestito dalla Fondazione Falciola. “Una gestione fallimentare – secondo le persone che quella mattina erano entrate, occupando la residenza, abbandonata dalla Fondazione il 20 dicembre 2014”.

Quindi, rispetto alla storia passata dell’ex Convento Santa Marta e a quello che si prospetta per l’avvenire, non solo è il caso di leggere bene le carte, ma occorrerà, almeno per una questione di trasparenza, seguire tutti i passaggi che ci saranno in futuro.

E poi, diciamoci la verità, alle bugie dei pubblici amministratori siamo sempre stati allergici e converrà, anche per il domani, mantenere questa intolleranza.