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Speciale / Chiedi (ancora) alla polvere:
quattro anni dopo [mappa+foto]

Dopo la prima edizione della mappa degli spazi sgomberati e poi rimasti abbandonati a Bologna, nuova inchiesta di Zic.it per raccontare cos’è successo dal 2013 ad oggi: pochi ripristini, decine di nuovi stabili murati.

24 Giugno 2017 - 13:31

  POLVERE ERI E POLVERE RESTERAI

Sono passati quattro anni da quando Zic presentò l’inchiesta “Chiedi alla polvere – La mappa degli spazi sgomberati e poi rimasti abbandonati a Bologna”. Molti dei luoghi che indicammo allora nella nostra “mappa ragionata”, potremmo dire la stragrande maggioranza, sono rimasti vuoti e inutilizzati, sempre più condannati a un progressivo disfacimento. Alcuni degli immobili segnalati sono stati abbattuti lasciando al suolo, come testimonianza, cumuli di macerie. Pochi altri sono stati ripristinati, o sono in via di ristrutturazione, e destinati ad altro uso.

Nel frattempo il numero di palazzi, immobili e fabbricati “offuscati da una polverosa legalità” è aumentato a dismisura. Per via del “monopoli repressivo” a cui si sono divertiti a giocare procura, questura e amministrazione comunale, il numero degli sgomberi di questi ultimi quattro anni è stato il più alto che mai si ricordi da queste parti: ne abbiamo conteggiati addirittura una quarantina. Erano decenni che, sotto le due torri, non si vedevano “evacuatori” così determinati, maghi del cemento a presa rapida così abili ad alzare muri e manganellatori così belluini.

E nel mentre, che fine ha fatto la mappa degli immobili comunali inutilizzati che l’amministrazione annunciò in pompa magna quattro anni fa? Fu proprio quella promessa a darci lo spunto per la nostra inchiesta. Il Comune mise on line la mappa qualche mese dopo e, puntualmente, nel giorno della pubblicazione la pagina risultava inaccessibile. Un piccolo incidente di percorso, si dirà, ma provate a cercare oggi di consultare lo stesso database: “Not found”, ovviamente. La tanto decantata mappa, insomma, non esiste.

Rifare il punto della situazione ci è sembrato perciò opportuno, lasciando intatta la struttura della precedente inchiesta, segnalando con questo aggiornamento i minuscoli cambiamenti che sono avvenuti, procedendo ad alcune correzioni e aggiungendo il nuovo elenco di spazi svuotati dalla socialità (comprese alcune occupazioni temporanee, conclusesi senza un intervento di polizia ma comunque utili da segnalare nell’ambito di questo approfondimento).

Clicca qui per ingrandire la mappa e qui per consultare la legenda,
leggi il testo completo dell’inchiesta e guarda la fotogallery:

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  CHIEDI (ANCORA) ALLA POLVERE: QUATTRO ANNI DOPO

Partire dai luoghi ripristinati, in corso di ripristino oppure abbattuti non porta via parecchio tempo.

L’ex Arcobaleno di piazza Re Enzo 1, al centro dell’occupazione del novembre 2011 da parte del movimento di Santa Insolvenza, con a seguire uno sgombero repentino, è stato sottoposto a una vasta (e lunga) ristrutturazione. Un accordo del Comune con la proprietà ha portato a ricavare nell’atrio del vecchio cinema un negozio di articoli di lusso. La sottostante sala cinematografica, a lavori ultimati, verrà gestita dalla Cineteca di Bologna per la programmazione di film restaurati, prendendo l’antico nome di Modernissimo.

La casa colonica e la tensostruttura di via del Battirame 11, che era stata utilizzata dal Livello 57 fino al giugno 2006, quando l’autorità giudiziaria vi appose i sigilli, dopo diversi anni di abbandono è stata assegnata alla cooperativa Eta Beta, facente parte del Consorzio di area cattolica Ceis che comprende realtà come Il Pettirosso e Il Villaggio del Fanciullo. Eta Beta si definisce un’associazione tra artisti impegnati nella ricerca e nella sperimentazione di materiali, con un’attenzione particolare al sociale. Dopo consistenti lavori di ristrutturazione, nella tensostruttura Eta Beta ha creato una sorta di smart village, con attività artigianali temporanee, percorsi didattici e dove vengono ospitati concerti in occasione di quelli che vengono definiti “eventi particolari”. La casa colonica è stata ristrutturata per attività di alimentazione articolate, come dice il progetto, in molteplici valenze: culturali e scientifiche, salutiste e psicologiche, formative e conviviali. La cucina è iper professionale ed è stata allestita grazie al contributo della Electrolux Zanussi.

Nell’ex Maternità di via D’Azeglio 56 è in corso il cantiere per approdare alla destinazione d’uso prevista: albergo di lusso o futura sede del Tribunale penale (non si tratta della stessa cosa).

A San Ruffillo, in via Toscana 180, vicino al ponte sul Savena, la palazzina “tonda” dell’ex Dazio, che era stata la sede di un Centro giovanile, è stata abbattuta per fare posto al raccordo stradale tra la Fondovalle Savena e la via Toscana.

In via Donato Creti 36, alcuni vecchi capannoni che furono occupati, per una Taz, il 5 dicembre 1998, durante “Catch the Space”, sono stati abbattuti e al loro posto è sorto un mega supermercato Despar. Con parcheggio che dà su via Stalingrado.

L’ex asilo della Manifattura Tabacchi di via Stalingrado 86, che fu occupato dal collettivo del Livello 57, dopo la chiusura della magistratura dello centro di via Muggia, è rimasto vuoto diversi anni dopo lo sgombero. Poi la struttura è stata rasa al suolo e oggi rimane ancora l’ammasso delle macerie.

Stessa sorte per la palazzina di via Libia 67 che era stata sede dei vigili del quartiere San Vitale e che fu occupata il 13 aprile del 2012 da un gruppo di attivisti di area anarchica che issarono sui tetti e alle finestre dello stabile bandiere “No Tav”. Oggi è un’enorme montagna di macerie, situata in un’area che era proprietà della Provincia e che è finita in piano di alienazione, dopo diverse aste andate deserte. E’ bene ricordare che in quel luogo ci fu anche la sede storica di Piazza Grande. Prima della vendita (e della demolizione), per alcuni anni, nell’area, si sono svolte anche le attività delle “Fucine vulcaniche”. Si trattava di laboratori, mercatini e di una programmazione di eventi nella stagione estiva.

Il progetto originario, redatto quando l’area era ancora di proprietà dell’allora Provincia, prevedeva di vendere il comparto (base d’asta 2,5 milioni di euro) per realizzarvi un intervento misto tra residenziale e piccolo commercio, più un parco pubblico di 3.000 metri quadrati e una pista ciclabile. La vendita, però, è andata più volte a vuoto e la Provincia pensò bene di rendere più appetibile l’interventoriducendo gli oneri di urbanizzazione, cioè la pista ciclabile e il parco (si parlò di sostituirlo, si fa per dire, di una semplice fascia verde lungo i binari).

Ultimamente è spuntata la notizia della realizzazione di un supermercato. Qualche tempo fa la vendita è andata in porto (per 1,4 milioni) e ora la nuova proprietà, una ditta di costruzioni bresciana, ha chiesto al Comune di valutare una destinazione commerciale, avendo già un operatore pronto a iniziare i lavori. E il Comune non ha detto di no.

Tra le altre cose, per aprire un passaggio sotto il ponte di via Libia, per collegare l’area con la strada al di là del cavalcavia, sarà necessario sgomberare l’associazione “Il Cerchio” (attiva molto con i migranti) che ha proprio la sede in alcune sale che si trovano sotto le arcate del viadotto.

Passiamo ai locali in via San Petronio Vecchio da cui il 23 gennaio 2013 fu sgomberato il collettivo Bartleby, che aveva ottenuto dall’Ateneo di poter autogestire quegli spazi dopo la precedente esperienza in via via Capo di Lucca. “Muri da una parte e manganelli dall’altra. Queste sono le uniche risposte che in questa città vengono date alle istanze che poniamo da tempo”, dichiararono gli attivisti di Bartleby dopo le cariche con cui la polizia rispose alle proteste seguite allo sgombero. Nella prima inchiesta di Zic sugli spazi sgomberati e poi abbandonati, il caso di via San Petronio Vecchio non fu approfondito perchè al momento della pubblicazione lo sgombero era arrivato solo da pochi mesi. E’ decisamente il caso di recuperare oggi la vicenda, visto che ad ormai quattro anni e mezzo di distanza quei locali sono ancora inutilizzati. Eppure, stando alle promesse dell’Università, non dovrebbe essere così.

Il 28 ottobre 2015, infatti, il prorettore Emilio Ferrari affermò che ci sarebbe voluto un anno o poco più per completare lo studentato da circa 50 posti che l’Università si apprestava a costruire in via San Petronio Vecchio, nel grande edificio ex Croce rossa che comprendeva anche Bartleby. In quell’occasione si disse che erano praticamente finiti i lavori per la realizzazione di tre nuove aule e Ferrari affermò che le stesse sarebbero state disponibili “nel giro di pochi mesi”. Inoltre, si annunciò come imminente l’avvio dei cantieri dello studentato, prevedendo “un anno o un anno e pochi mesi” per il suo completamento, assicurò il prorettore. E’ nell’ambito di questa operazione che si progettava di ristrutturare anche i locali che erano stati utilizzati da Bartleby. Ferrari ci tenne a precisare che all’epoca lo spazio era sgomberato perchè sarebbe stato interessato anche dai lavori nel frattempo compiuti per le aule. Sarà, ma intanto dall’ottobre del 2015 è passato ben più del famoso “anno e pochi mesi” e ad oggi l’intero stabile che affaccia su via San Petronio Vecchio risulta completamente fasciato da ponteggi e reti: l’accesso che fu di Bartleby è murato come quattro anni e mezzo fa e all’interno, sbirciando dalle finestre, si vedono solo muri al grezzo e tracce di cantiere.

Un altro spazio coinvolto da una dinamica abbandono / occupazione / sgombero / abbandono è l’ex Convento di Santa Marta in Strada Maggiore 74, di proprietà dell’Asp Città di Bologna, che fu occupato proprio da Bartleby dopo San Petronio Vecchio e presto sgomberato. Al di là delle chiacchiere, dei buoni propositi, dei progetti annunciati, dei partner diversi che si sono fatti avanti, l’immobile risulta ancora essere vuoto e inutilizzato. Da alcuni mesi il giardino viene aperto da un comitato di vicinato. La dirigenza dell’Asp, recentemente, sembra riproporre un vecchio progetto per la realizzazione di 34 mini alloggi per anziani. Dell’asilo nido annunciato a suo tempo dall’ex assessora Frascaroli, come una “cosa da far partire a giorni” non si ha più nessuna traccia. Le colpe di tutti gli intoppi, i ritardi, i cambi di programma, secondo le parole del presidente dell’Asp, sembrano essere dei “vecchi contenziosi che hanno frenato i lavori”, ma, sempre per bocca dell’alto dirigente, saremmo “in dirittura d’arrivo con la nuova progettazione”. Come si dice in questi casi? Chi vive sperando muore c…

Infine, l’ex centro giovanile dei Giardini Margherita: dopo un’interminabile vicenda, fatta di sfratti, ristrutturazioni lasciate a metà, occupazioni e sgomberi, la storica palazzina dei Giardini Margherita, realizzata nel 1959, davanti al pratone e accanto ai campi da basket, uno dei primi progetti di centri giovanili a gestione comunale, verrà utilizzato come struttura per bambini dai 3 ai 5 anni. A settembre del 2017 lo stabile verrà riaperto dopo 14 anni di sostanziale inutilizzo da parte dell’amministrazione comunale.

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LE VECCHIE GLORIE

In questa inchiesta inseriamo due luoghi che in quella precedente ci erano sfuggiti, ma che rappresentano le punte di diamante di un abbandono che dura da decenni.

Il primo è la casetta rossa in via Zanolini 6, ormai talmente pericolante che dà l’idea di poter cadere alla prima raffica di vento. Fu occupata nel 1975 da un “Circolo del proletariato giovanile”, allora si diceva che fosse di proprietà di un ordine religioso. Le porte e le finestre, dai colori (pur se sbiaditi) molto vivaci e che fanno a pugni con lo stile architettonico della palazzina, furono pitturate dopo accese discussioni delle assemblee di gestione. Per quanto riguarda l’occupazione, si trattò di un’esperienza molto vivace, difficile dire, a tanti anni di stanza, se finì per consunzione interna o per uno sgombero. Certo è che, dopo un primo periodo ricco di iniziative culturali e musicali, il piccolo stabile divenne la casa di alcuni ragazzi dell’area freak del movimento. E, comunque, vuota e inutilizzata dal 1976, si tratta proprio di un bel record.

Con il G7 sull’ambiente e tutti gli “apparecchiamenti” vari con cui ha invaso la città il ministro Galletti ha cercato di diventare un personaggio di caratura internazionale, qualcuno sostiene che ha fatto pagare ai contribuenti la sua anticipata campagna elettorale per diventare il prossimo sindaco di centro-sinistra. Chi ha un po’ di memoria, però, non si è scordato che agli inizi del 2000 era assessore al bilancio e al patrimonio della giunta di centro-destra guidata da Giorgio Guazzaloca. Con quell’incarico si trovò a rispondere a una denuncia, fatta attraverso un Taz, per lo stato di abbandono in cui era lasciata una proprietà comunale. Si trattava di uno stabile, situato in via Massarenti 232/234 che, di fronte all’emergenza abitativa che già allora cominciava a mordere, poteva essere utilizzato per edilizia sociale. Eravamo nel 2001, Galletti giurò pubblicamente, nell’aula del consiglio comunale, che i lavori di ripristino dell’immobile sarebbero partiti in poche settimane e che ne sarebbero scaturiti 7 alloggi di Erp.

Il cantiere non partì mai, qualche anno più tardi, a fronte del cedimento del tetto, il Comune fece attaccare dei cartelli di “pericolo di crollo”.

La Giunta Cofferati mise la palazzina all’interno di un elenco di alloggi destinati a un bando di autorecupero, ma, dopo la presentazione, il tutto naufragò miseramente.

Il 16 gennaio 2012 la Giunta Merola riaprì il progetto per l’autorecupero di 9 immobili, tra questi c’era anche lo stabile di via Massarenti. L’idea di fondo non era cambiata: un’Associazione Temporanea di Scopo, costituita dall’associazione Xenia, dal Consorzio abn e dalla Cooperativa sociale ABCittà, avrebbe sostenuto la costituzione in cooperativa degli autorecuperatori che sarebbero stati selezionati attraverso il bando.

L’allora assessore alla casa Riccardo Malagoli assicurò che i cantieri sarebbero partiti entro l’estate di quell’anno. Andate a fare un giro dalle parti di via Massarenti e vi rendere conto che nessun lavoro è mai cominciato e che il pericolo di crollo si è allargato anche ai muri portanti.

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QUATTRO ANNI DI FUOCO: SGOMBERI A RAFFICA

Ex residence Dima in via Emilia Levante

“Abbiamo occupato per uso abitativo e sociale l’ex residence di via Emilia Levante 10 vuoto dal 2012”, con questo comunicato la sezione bolognese della Cispm (Coalizione internazionale migranti rifugiati e sans-papier), annunciava il 22 maggio 2015 una nuova occupazione all’ex Dima che coinvolgeva oltre 150 persone. Si trattava di rifugiati politici, migranti, disoccupati e rom: la maggior parte di loro proveniva da altri spazi occupati, che in precedenza erano stati sgomberati, oppure che avevano ricevuto una notifica di allontanamento coatto. Tra gli occupanti c’erano anche sei famiglie e una ventina di minori. Il grande fabbricato era composto da un centinaio di mini-appartamenti quasi praticamente nuovi, come non fossero mai stati utilizzati. Erano, però, privi di luce e acqua. Dopo tre giorni, il 25 maggio 2015, lo stabile venne sgomberato a forza dalla polizia, a nulla valse la resistenza dei militanti del Cispm e degli abitanti, dopo che si erano asseragliate per alcune ore, dovettero desistere. Oggi l’intero fabbricato continua ad essere vuoto, nella sua maestosità, fa ancora più impressione e rabbia il fatto che non possa essere adibito a persone che non hanno un tetto.

Villa Adelante in viale Aldini

Sgombero Villa Adelante - © Michele LapiniIl 20 giugno 2015 fu sgomberata l’occupazione abitativa “Villa Adelante“. La palazzina era stata occupata nell’ottobre 2014 da singoli e famiglie organizzati con l’Adl Cobas. Militanti sindacali e occupanti si trovavano in presidio permanente chiamato in difesa della villa occupata dopo che due giorni prima era arrivata la notizia dello sgombero imminente.

Le forze di polizia, arrivate intorno alle 11 del mattino, sciolsero il presidio e caricarono gli abitanti e gli attivisti. Durante l’irruzione delle forze di polizia nella villa, un occupante rimase ferito e fu portato in ospedale. Dopo un anno gli ex occupanti denunciarono il fatto che la palazzina era ancora vuota. Un volantino scriveva: “La vostra legalità è quella dell’abbandono. Il 18 giugno dello scorso anno ha rappresentato il triste inizio di un cambiamento per la città di Bologna. Procura e prefettura, infatti, hanno adottato un pugno di ferro contro collettivi politici ed occupazioni abitative nate da comunità solidali di cittadini accumunati da situazioni di forte disagio abitativo, tutto questo di fronte ad un’ amministrazione silente ed inerme. In questo modo centinaia di persone provenienti da situazioni diverse ma che insieme hanno reso abitabili interi stabili regalati alla polvere arricchendo così le reti sociali sempre più deboli nei quartieri e nella città si sono ritrovati violentemente in mezzo alla strada, senza alcuna prospettiva possibile. A distanza di un anno decine di persone che hanno contestato lo sgombero della Villa e il disuso da parte di Muratori della stesa sono state raggiunte da denunce e addirittura da restrizioni alla propria libertà personale”.

Recentemente, il presidente del Consorzio Innova che era proprietario della villa ha dichiarato che l’immobile è stato venduto a una società di Roma di cui non è stato fatto il nome (“per ragioni di opportunità”). Di questa nuova società non si conoscono i programmi di utilizzo della prestigiosa palazzina.

Oxi in via dei Mille

Ad appena 24 ore dall’occupazione, il 18 luglio 2015, la polizia sgomberò un grande palazzo di via dei Mille, angolo via Montebello. Si trattava dell’edificio già sede dell’Enpas e poi dell’Inpdap, che rappresenta una delle migliori e più significative opere di Saverio Muratori, uno dei grandi maestri dell’architettura italiana del Novecento. Il fabbricato per uffici, negozi ed abitazioni fu progettato fra il 1952 e il 1957, edificato fra il 1959 e il 1961 e inaugurato il 4 Aprile 1963. L’edificio riprende il particolare sistema seriale costruttivo bolognese di derivazione lignea. Molto caratteristico è pure il portico con lo sporto, le lesene e il coronamento superiore merlato.

Nelle poche ore di una giornata quei quindicimila metri quadrati di stanze e uffici di grande pregio architettonico avevano ripreso vita, dopo anni di abbandono. #Ioccupo, il collettivo che aveva organizzato l’iniziativa, aveva dato allo stabile “liberato” il nome di “Oxi“. Ma, nemmeno dopo due giri di lancette dell’orologio, qualcuno volle che tornasse vuoto, con i muri di mattoni grigi innalzati subito a sbarrare le entrate. Gli occupanti scrissero in un comunicato: “Avete, ancora una volta, tolto il sorriso ai bambini che finalmente avevano trovato un tetto sulla testa“. Le persone sgomberate andarono in corteo sotto il palazzo del Comune per chiedere misure concrete in tema di politiche abitative, tra le quali l’applicazione del protocollo casa sull’immobile di proprietà dell’Inps, sfitto da anni.

Naturalmente nessuno li ascoltò e quel palazzo è rimasto mestamente preda della polvere e del degrado. Se passate da via dei Mille è lo sporco del tratto di portico che delimita le entrate dell’edificio a sbattervi in faccia l’assurdità di questa situazione.

La Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, solitamente abbastanza attenta allo stato di conservazione del patrimonio urbanistico di interesse storico, non ha detto una parola su tutto ciò.

Ex Telecom in via Fioravanti

L’occupazione era partita il 14 dicembre del 2014, organizzata dal collettivo Social Log . Settantasei famiglie entrarono nel grande stabile dell’ex Telecom, disabitato e abbandonato da anni. Ne fecero un luogo vivibile e piacevole, con tanti bambini rumorosi e vivaci. Alle beghe di condominio sostituirono la solidarietà e il mutuo soccorso tra gli abitanti della comunità. Quando il 20 ottobre 2015 duecento poliziotti circondarono l’immobile le famiglie erano novanta e i residenti circa 250. Resistettero per ore, con l’appoggio di tanti attivisti dei centri sociali e dei sindacati di base, ma anche con diversi abitanti della Bolognina che si schierarono con chi tornava a essere senza casa. Per settimane rimasero i blindati davanti agli ingressi, poi vennero sostituiti da pattuglie di vigilantes. Muri e catene fecero subito la loro apparizione, nelle prime ore successive allo sgombero. Dopo qualche messe uscì la notizia che il palazzone sarebbe diventato uno studentato d’elite, a farsi avanti era stata una catena multinazionale che gestisce residenze per giovani ricchi e benestanti. Dall’esterno si vedono pochi cambiamenti, continuano a persistere le ronde dei vigilantes di una polizia privata.

Il monumento allo spreco di via Agucchi

Gli ultimi affittuari del palazzone di Poste Italiane in via Agucchi 175 (tre piani, 75 appartamenti) furono mandati via dalla proprietà nel 2005, ma l’esodo era già iniziato alcuni anni prima. Da allora “Europa Gestioni Immobiliari”, la società di Poste Italiane che cura l’amministrazione e la valorizzazione del patrimonio immobiliare, ha scritto sul sito che l’ edificio “è in fase di commercializzazione”.

Il 7 dicembre 2015 il collettivo Social Log organizzò una riappropriazione dell’edificio dismesso con una sessantina di famiglie. L’occupazione durò poco tempo, quasi subito la polizia prese d’assalto il nascituro “condominio sociale”. Decine di occupanti si asserragliarono sul tetto, nel cortile sottostante si formò un presidio. La resistenza durò diverse ore poi il palazzo fu sgomberato..

Oggi è ancora desolatamente vuoto, l’unica novità è stata l’installazione di cancelli automatici che bloccano gli ingressi dei cortili.

Ex clinica Beretta in via XXI Aprile

La prima volta che l’ex clinica odontoiatrica Berretta fu occupata dal sindacato inquilini Asia-Usb correva l’anno 2012. Divenne una residenza collettiva e le fu dato il nome di “Casa popolare XXI Aprile 1945”, la data della liberazione di Bologna dai nazifascisti.

Quell’occupazione durò fino al 19 dicembre dello stesso anno, il giorno in cui polizia e carabinieri intervennero per sgomberarlo. Per gli occupanti, lo sgombero era stato motivato dai carabinieri per mancanza dei requisiti di sicurezza dell’impiantistica, ma quella motivazione non risultò mai agli atti. L’assessorato al Welfare del Comune disse allora che si trattava di uno sgombero giudiziario di cui l’amministrazione non era stata informata.

Per altri due anni l’istituto rimase vuoto, l’Asl che ne era proprietaria vide tutte le aste di vendita andare deserte.

L’1 marzo 2014, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato, Asia e il collettivo Abitanti resistenti tornarono a occupare l’ex struttura sanitaria, dopo lo sgombero di una precedente occupazione in zona Mazzini. La seconda occupazione durò molto di più che la prima. A un certo punto, le condizioni di vivibilità per gli abitanti diventarono molto dure per via del taglio delle utenze. Verso la fine del mese di dicembre del 2015 la Procura della Repubblica aprì un capitolo contro ignoti poiché la corrente elettrica che era stata staccata, era stata riallacciata dagli occupanti.

Il 14 gennaio 2016, dopo un accordo con il Comune, gli occupanti lasciarono lo stabile e diffusero un comunicato: “Lasciamo volontariamente: non è una vittoria, ma non ha più senso difendere un’occupazione che non garantisce più la dignità, privati come siamo dell’accesso alla rete elettrica il cui tombino è stato murato e impossibilitati a usufruire del riscaldamento”. Il Comune si impegnava a trovare alloggi nell’ambito del piano per l’emergenza abitativa, l’intesa con i servizi sociali del Comune fu accelerata nei tempi dopo la relazione dei Vigili del fuoco sulle condizioni critiche dello stabile dal punto di vista igienico e della sicurezza delle persone che lo abitavano.

Da allora lo stabile è, per l’ennesima volta, vuoto e inutilizzato e il suo livello di decadimento aumenta ogni giorno di più. L’Asl che ne è tutt’ora proprietaria confessa che tutte le aste organizzate per una sua eventuale alienazione sono andate tutte deserte.

Ex fienile in via Fantoni

Il 12 aprile 2016 i rifugiati dell’ex Beretta attuarono un presidio permanente davanti al fienile di via Fantoni 15, che nei mesi invernali era stato usato per il Piano freddo. I manifestanti chiedevano che l’immobile venisse utilizzato per ospitare senza fissa dimora.

L’amministrazione comunale, invece, fece la scelta di firmare una convenzione con il Link per un progetto chiamato Factory Lab (la convenzione scadrà nel 2018). Si trattava di adibire lo stabile a laboratorio di prevenzione di giorno (droghe, alcol, dipendenze da sostanze, internet e gioco d’azzardo), spazio di decompressione la notte. Insomma, l’ex fienile di fianco al Link si trasformava in una una chillout room permanente. Uno spazio dove rilassarsi al buio, abbassando il volume della musica, bere acqua, fare alcol e drug test, dove fare prevenzione e riduzione del danno, rimettersi in sesto prima di tornare a casa e e, se necessario, ricevere un primo soccorso. L’ex fienile continuerà ad essere usato per il piano freddo nei mesi invernali.

Ex scuole Ferrari in via Toscana

Le vecchie scuole elementari di San Ruffillo vennero occupate da Asia-Usb il 4 aprile 2013. Da anni erano in una situazione di abbandono. Nello stabile trovarono rifugio circa 70 persone, per lo più uomini e donne “single”. A novembre del 2014 vennero staccate le utenze, luce e acqua, e in quell’occasione i movimenti per l’acqua presentarono un esposto in Questura contro il Sindaco Virginio Merola.

Alla lunga esperienza dell’occupazione abitativa di via Toscana si pose termine all’alba del 10 febbraio 2016 con l’assalto di un battaglione antisommossa della polizia. A più di un anno da quello sgombero, passando davanti al palazzo abbandonato, colpisce la quantità di muri che sono stati eretti: dalle porte alle finestre al più piccolo degli spiragli.

La Carisbo, proprietaria dell’immobile, periodicamente annuncia che le ex Ferrari sono ancora in vendita, ma, allo stesso tempo, è costretta ad ammettere che nessuno si è fatto avanti per comprarle.

Lo sportello per la casa in viale Masini

Il 17 marzo 2016 la polizia eseguì un provvedimento di sequestro penale dello sportello per la casa di Social log in via Masini, disposto dal Procuratore della repubblica Antonello Gustapane il 18 dicembre 2015. All’interno degli uffici non fu trovato nessuno e, terminate le operazioni di sgombero, furono messi i sigilli agli ingressi, con un cartello con la scritta “immobile sottoposto a sequestro”. All’esterno fu predisposto un servizio di vigilanza.

Nelle ore successive ci furono proteste, a cui seguirono scontri tra manifestanti e agenti, un ragazzo rimase ferito alla testa. Lo sportello sociale, da quando era stato aperto il 28 novembre 2013, aveva dato supporto legale a più di mille e seicento famiglie. Oggi, passando dai viali, proprio di fronte all’Autostazione, quelle sale sono ancora vuote e completamente inutilizzate.

Il nuovo sportello per la casa in via di Corticella

Durante il corteo partito nel pomeriggio del 19 marzo 2016 da Piazza dell’Unità, il collettivo Social Log, come risposta allo sgombero di viale Masini, occupò una palazzina vuota in via di Corticella 56, all’incrocio con via Crespi, dove un tempo sorgeva il vecchio cimema Ca’ de’ Fiori. L’immobile che, dal punto di vista architettonico, ha scopiazzato malamente il Gaudì di Barcellona, è una palazzina degli anni settanta, difficile da non notare per via della sua pacchianit e per i gialli e i rossi sgargianti delle piastrelle che la rivestono. In anni recenti è stata la sede della biblioteca di quartiere “Casa di Khaoula”, prima del suo trasferimento in una “stalla” ristrutturata dell’Ippodromo. Poi, è stata sede di un centro educativo del Comune di Bologna. Terminato l’uso pubblico (in affitto) dello stabile, il fondo immobiliare che ne è proprietario ha cercato di metterlo in locazione sul mercato, ma è rimasto vuoto e inutilizzato per anni. Dopo lo sgombero avvenuto il 22 marzo 2016 ha continuato a persistere in questa condizione di abbandono.

Case Mandela in via Irnerio

Il palazzo, di proprietà del Policlinico Sant’Orsola, situato in via Irnerio 13, con i suoi 22 appartamenti, risultava vuoto dal 2009. Nel mese di ottobre del 2013, Asia-Usb organizzò un’occupazione e nelle Case Nelson Mandela vennero sistemate 14 famiglie (45 persone di cui 9 minori). Dentro lo stabile trovò ospitalità anche Terzo Piano, una sala studio autogestita e uno spazio di aggregazione promossi dal collettivo Noi Restiamo.

Dopo varie vicissitudini, con incessanti trattative, ordini di sequestro della magistratura, aste andate deserte per la vendita dell’immobile, la mattina del 3 maggio 2016 la polizia sgomberò gli alloggi occupati e manganellò duramente gli attivisti dei movimenti per la casa che avevano portato solidarietà. Oggi, il grande portone di legno che sta all’ingresso del palazzo risulta sbarrato con una grossa catena. Anche simbolicamente in quegli anelli di ferro ci sta tutta l’arroganza di chi, in nome della legalità e del diritto di proprietà, preferisce mandare in malora un patrimonio abitativo che potrebbe dare accoglienza a persone che la casa non ce l’hanno.

La proprietà, a ogni piè sospinto, dichiara che l’immobile sarà messo “presto” in vendita. Molto più realisticamente, andrà a far parte del Fondo Immobiliare della Regione Emilia-Romagna che comprende gli edifici delle Aziende Sanitarie non utilizzati.

Condominio sociale in via Mura di Porta Galliera

Social Log e gli abitanti della palazzina vicina a Porta Mascarella avevano da poco festeggiato i due anni di occupazione, ma la mattina del 12 luglio 2016 i reparti della celere circondarono il Condominio sociale di via Mura di porta Galliera e e bloccarono tutti gli accessi e buttarono in strada tutte le famiglie occupanti. In questi mesi la proprietà che, per anni, aveva lasciato lo stabile abbandonato, ha deciso di avviare i lavori di ripristino. Attualmente è in corso il cantiere.

Condominio sociale in via Mario de Maria

Anche questa era un’occupazione abitativa organizzata dal Collettivo Social Log nel mese di marzo del 2014. Lo sgombero del Condominio sociale di via de Maria, praticato con effetti molto “spettacolari” (blocco di diverse strade, giornalisti tenuti a distanza, spray al peperoncino contro gli occupanti) è avvenuto l’11 ottobre 2016. Da allora la palazzina ha visto mattoni e cemento solo il giorno stesso dell’evacuazione, per erigere muri a porte e finestre, nessun altro lavoro di ripristino degli alloggi sgomberati ha preso il via.

Palazzo dell’istituto Cavazza in via Solferino

Occupazione via Solferino - © Michele LapiniIl 18 febbraio 2015 venne occupato uno stabile in via Solferino. Appena entrati, gli occupanti appesero a una finestra no striscione con la scritta “Troppa gente senza casa, troppe case senza gente”, con le firme Làbas, Tpo e Adl.

Si trattava di una palazzina a tre piani dei primi del Novecento, di proprietà dell’Istituto per ciechi Cavazza di Bologna.

L’immobile era vuoto da alcuni anni ed era in attesa di ristrutturazione. L’Istituto Cavazza dichiarò che il bando di gara per lavori di restauro era stato pubblicato sul loro sito nel mese di novembre 2014, ma non disse nulla sull’inizio dei lavori e sui tempi del cantiere.

Gli attivisti su Twitter scrissero: “Da oggi almeno venti persone fra famiglie, migranti, minori e richiedenti asilo hanno di nuovo un tetto”.

Il 15 ottobre 2015 lo stabile di via Solferino 42 venne sgomberato, con violenza, buttando in strada migranti, lavoratori, precari, famiglie che vi avevano trovato riparo.

Particolare clamore furono le foto dei bambini, molto piccoli, finiti in strada.

La polizia giustificò il suo operato, sostenendo che non sapeva della presenza di minori nello stabile occupato.

A rendere la cosa ancora più grave e ridicola fu il sottosegretario Gianpiero Bocci, rispondendo a un’interrogazione parlamentare: “Le modalità operative dell’operazione erano state esaminate nel corso di un’apposita riunione del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, durante la quale era emerso, sulla base di informazioni acquisite, che l’occupazione non aveva carattere abitativo e il numero degli occupanti era costituito da poche persone aderenti al centro sociale, ragion per cui si era ritenuto che l’intervento non presentasse particolare difficoltà. Solo all’atto dello sgombero la questura di Bologna ha potuto verificare la presenza di quattro minori, verosimilmente aggregatisi all’occupazione in una fase successiva…”.

Oggi la palazzina è interessata a lavori di ripristino, il cantiere è ancora in corso.

Atlantide a Porta Santo Stefano

Lo sgombero di Atlantide scattò all’alba del 9 ottobre 2015. Il vecchio Cassero di Porta Santo Stefano a Bologna, uno degli spazi occupati storici era stato evacuato e poi murato su ordine del sindaco Virginio Merola che aveva interrotto una trattativa che andava avanti da mesi. Gli agenti trovarono ad aspettarli una cinquantina di attiviste Lgbt che avevano atteso carabinieri e polizia con cartelli e striscioni, intonando canzoni e cori contro il sindaco e la presidente del quartiere Ilaria Giorgietti (eletta da una coalizione di centro-destra) che da sempre richiedeva la loro cacciata.

Le attiviste furono portate fuori di peso e l’immobile fu immediatamente murato.

“Un bell’inizio – dissero quelle di Atlantide – per dare una sede ai servizi sociali, alzando un muro! E’ una scusa che fa ridere la motivazione fornita ufficialmente da Merola per lo sgombero”.

A quasi due anni di distanza il Cassero è ancora vuoto e murato.

La nuova presidente di quartiere Rosa Amorevole, a capo di una coalizione di centro-sinistra, ha ribadito recentemente che l’ex Atlantide dovrebbe diventare “presto” la nuova sede dei servizi sociali di quartiere (ma nel tempo si è parlato anche di sede per associazioni, Polizia municipale o altri servizi comunali) affermando, al contempo, che “i tempi non saranno brevi, visto che si tratta di un bene artistico che, ora, si trova in pessime condizioni”.

Condizioni che, di sicuro, così abbandonato, potranno solo peggiorare. Le dichiarazioni più recenti della Giunta sul Cassero di porta Santo Stefano risalgono al 23 giugno 2017 e non fanno ben sperare. L’assessore ai Lavori pubblici, Virginia Gieri, ha riferito che uno studio di fattibilità ha fatto emergere “alcune criticità legate alle dimensioni contenute del fabbricato e alle sue caratteristiche”. In più, l’immobile è sottoposto a vincolo quindi dovrà dire la sua anche la Sovrintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio. In teoria l’amministrazione avrebbe anche stanziato un primo finanziamento per la ristrutturazione, pari a 300.000 euro, ma “il superamento di tutte le criticità descritte- sono le parole di Gieri- comporta una serie di approfondimenti progettuali ancora in corso, molto delicati e non di facilissima risoluzione. Sono ancora in corso le attività istruttorie per individuare la destinazione d’uso dell’immobile”. Tradotto: secondo il Comune il Cassero ad oggi è ancora inutilizzabile, eventuali modifiche strutturali dovranno superare i vincoli della Sovrintendenza e l’amministrazione non ha la più pallida idea di come utilizzare la struttura.

Stazione della ferrovia ex Veneta in via Zanolini

Il 21 maggio 2016 il corteo del SomMovimento NazioAnale che intendeva riprendere un spazio per il movimento Lgbt dopo lo sgombero di Atlantide arrivò, dopo un giro per la città, davanti alla Palazzina della Ferrovia ex Veneta e vennero aperte le sale del bar della stazione, ormai chiuso da anni. Immediata scattò la minaccia di sgombero da parte della polizia, agenti circondarono la zona e bloccarono tutte le strade di accesso. Dopo un’assemblea, le attiviste decisero di uscire dallo spazio e far ripartire la manifestazione. Lo spazio ritornò vuoto e inutilizzato. Vennero murate le entrate e, oggi, si trova ancora così.

 

Consultoria in via Menarini

Il bisogno e l’urgenza di spazi di autorganizzazione per il movimento TransFemministaQueer portò, tre giorni prima della grande manifestazione delle donne l’8 marzo 2017, all’occupazione di sale di proprietà comunale in via Menarini. Al nuovo spazio venne dato il nome di Consultoria.

La mattina del 9 marzo, verso le 7, Polizia e Carabinieri arrivarono, preceduti dal furgone chiamato per la rimozione delle scritte sui muri fatte durante l’occupazione.

L’8 marzo era passato e per chi amministrava la città la Consultoria TransFemminista Queer si poteva sgomberare. Il commento delle occupanti di via Menarini fu questo: “Abbiamo ripulito un posto, che tornerà ad essere coperto di polvere. Abbiamo decorato questo spazio in questi giorni, chissà che adesso qualcuno non se lo compri. Noi andremo avanti, continueremo a decostruire i generi come facciamo ogni giorno. Ci chiediamo se chi ci sta sgomberando si interroghi su quello che fa o se obbedisca solo agli ordini. Il Comune, che fa il femminista con la sua assessora che ha addirittura aderito allo sciopero de Lottomarzo, per un garage di nove posti ha fatto questo. Per riconsegnarlo alla polvere”. E questo è avvenuto e sta ancora avvenendo.

Box Unicum in via Fioravanti

Il 7 mag 2015 attivisti e attiviste del collettivo
Ufficio Vendite Unicum di via Fioravanti. Il posto non era assolutamente utilizzato per via del fatto che di appartamenti nel comparto “Trilogia Navile” non è che ne abbiano venduti molti. Dopo poche ore, nel primo pomeriggio, poliziotti e carabinieri in tenuta anti sommossa si presentarono in forze e sgomberarono il piccolo stabile. Se a qualcuno venisse da chiedersi se oggi la struttura è utilizzata, gli si potrebbe rispondere, senza paura di sbagliare, come allora.

Stabile di Intesa San Paolo  in via Alessandrini

Il 23 maggio 2015, verso le 9, a poche ore dall’occupazione, un intervento ultrarapido della polizia sgomberò il collettivo Eat the rich da uno stabile in via Alessandrini 2 (di proprietà del gruppo Intesa San Paolo) che era stato vuoto per anni. Oggi l’immobile è circondato da una rete di plastica arancione che dovrebbe segnalare un cantiere in attività. In realtà il posto è ancora vuoto e abbandonato e non si segnalano lavori di alcun genere.

 

Ex Magazzini del popolo in via Stalingrado

Il collettivo Hobo il 20 aprile 2015 occupò un capannone (gli ex Magazzini del popolo) di via Stalingrado 31 che era prima la sede di Mercatone.

L’occupazione faceva parte di un percorso di azioni in contestazione dell’Expo, nell’ambito della campagna Space Invaders. L’immobile era di proprietà di Unipol, ma nei piani del gruppo finanziario non c’era nessun progetto di utilizzo in tempi ravvicinati.

Il 26 maggio successivo lo stabile venne sgomberato. Sia la proprietà dell’immobile che il Comune avevano chiesto lo sgombero e quella mattina la sollecitazione si concretizzò. Nei mesi successivi partirono alcuni lavoro che portarono alla rimozione del tetto in amianto e allo sventramento interno del capannone, mentre la palazzina prospiciente non fu toccata. Attualmente il cantiere è fermo e non ci sono segni che indichino una ripresa delle attività a breve.

Taksim in via Zanolini

Il 15 ottobre 2013 il Cua occupò uno collettivi stabile in via Zanolini 40. Lo spazio liberato venne chiamato Studentato occupato Taksim. La palazzina, in precedenza, era stata sede di un convitto religioso per sole studentesse ed era stata gestita dalle Suore di San Giuseppe di Torino, ed era di fronte all’ex stazione Veneta. L’immobile era vuoto da anni.

All’alba del 24 maggio 2014 polizia e carabinieri si presentarono in via Zanolini a sgomberare lo studentato occupato. La settimana prima la procura della repubblica aveva emesso un ordine di sequestro dell’immobile. A nulla valse la tenace resistenza dei ragazzi del collettivo universitario.

Attualmente è aperto un cantiere e lo stabile viene ristrutturato.

Taksim in via Irnerio

Il 24 settembre 2014 una nuova occupazione organizzata dal Cua sancì la nascita di un nuovo studentato Talsim. Si trattava di uno stabile in via Irnerio 53, di proprietà della Fondazione Lercaro, di cui era presidente monsignor Ernesto Vecchi. L’immobile era vuoto da anni, da quando aveva smesso di ospitare la Casa Alloggio gestita dall’Andlaids, dove veniva svolto un servizio di Centro Diurno per persone con Hiv e sieropositive e dove venivano rganizzati gruppi di autoaiuto e laboratori.

Prima di svolgere quella funzione, all’inizio degli anni novanta, la palazzina era stata occupata da artisti e teatranti ed era stata chiamata “53″ dal numero civico di via Irnerio dove si trovava. Ospitò la Compagnia Teatro esule, un’esperienza di autogestione teatrale, guidata da Eugenio Ravo (mimo, artista di espressione corporea e musica dei tubi). Oltre a Ravo trovarono casa altri artisti come Iannis Kopsinis, Claudio Bandello, Giuseppe Fusini, Gianni Viola, Rita Pelusio.

Nel 1993 venne organizzato l’evento collettivo “I 53” dove furono presentati dipinti sulla simbologia Tolteca (popolo protettore delle arti nel Messico dell´anno mille). Fu organizzata anche la mostra collettiva “Occupati del tempo”, dove vennero esposti lavori di pittura su vetro raffiguranti i simboli Toltechi.

Al momento dell’occupazione del Cua, l’amministratore della Fondazione Lercaro fece uscire un comunicato: “Lo stabile è vuoto da quattro o cinque anni e da allora la Fondazione ha inoltrato al Comune la richiesta di permessi per ristrutturare e mettere a norma gli interni. Così com’è, infatti, l’immobile per esempio non risponde ai criteri antisismici. Le autorizzazioni, però, non sono ancora arrivate a causa di un errore, a cui si sono aggiunte le solite lungaggini burocratiche”.

Dopo appena una settimana, l’1 ottobre 2014, la polizia arrivò a sgomberare anche quello spazio.

Qualche mese dopo, la Giunta Comunale licenziò una delibera di urbanistica: su richiesta della Fondazione Lercaro veniva avviato l’iter per l’elaborazione di un Poc finalizzato al recupero dello stabile di via Irnerio 53. La proposta era di demolire l’immobile e costruire con le stesse metrature una struttura per prestazioni odontoiatriche per minori e anziani in condizione di fragilità, e per interventi dermatologici e di oncologia cutanea e attività relative alle malattie sessualmente trasmissibili rivolti a persone in condizione di marginalità.

Dopo di che la palazzina è stata isolata con una rete di plastica arancione che segnala l’inizio di un cantiere. E’ stato tolto il tetto, l’interno è stato sventrato. Poi tutto si è bloccato e i lavori sono fermi da mesi.

Idra in via San Vitale

Idra (© Michele Lapini)Il 16 ottobre 2014, il collettivo Hobo occupò uno stabile in via San Vitale 122. Si trattava di un edificio privato inutilizzato da anni, che poteva ospitare 35 studenti e a cui venne dato il nome di Idra.

L’occupazione durò poco più di un mese, infatti, il 29 novembre, le forze dell’ordine intervennero in massa ed eseguirono lo sgombero.

Due degli occupanti resistettero per alcune ore sul tetto, poi scesero e si riuniscono con i solidali in presidio. Partì poi un corteo selvaggio, con blocchi del traffico e un’occupazione lampo in via Malaguti. Poi di nuovo in corteo fino in piazza Verdi.

La situazione oggi, a due anni e mezzo di distanza, è ritornata quella precedente all’occupazione.

Il civico 122 ha due scale. Gli appartamenti della scala B sono tutti di proprietà di un avvocato e sono tutti affittati a studenti o a migranti. Gli appartamenti della scala A, quelli che aveva occupato Idra, sono di proprietà della sorella, e continuano ad essere tenuti tutti sfitti. E’ una situazione che si protrae da anni e, scandalosamente, nessuno dai palazzi delle istituzioni dice nulla.

Idra in via Albiroli

Il 9 dicembre 2014, alla fine di un corteo convocato da varie realtà impegnate nella lotta per la casa, all’interno della mobilitazione nazionale indetta da “Abitare nella crisi”, venne attuata una nuova occupazionee. Si trattavadi una palazzina in via Albiroli 1, davanti a Torre Prendiparte. Lo stabile, abbandonato da tempo, era di proprietà della Curia.

Il 27 gennaio 2015, alle prime luci dell’alba, polizia, carabinieri, con l’ausilio dei vigili del fuoco, eseguirono l’ennesimo sgombero.

Attualmente è in corso un cantiere, secondo la Curia i lavori saranno ultimati entro il prossimo mese di dicembre.

Banca Rotta in via Zanolini

Il 21 ottobre 2016, nell’arco di tre ore l’occupazione organizzata dal collettivo Lubo, col nome di “Banca Rotta” fu sgomberata dalla questura, senza possibilità di nessuna trattativa.

Oggi l’immobile continua a essere chiuso e abbandonato.

Ex distributore a Porta Mazzini

Il 24 maggio 2014 si tenne per le strade cittadine una grande manifestazione antifascista, contro l’apertura di una sede di Casa Pound. Il corteo si concluse nelle vicinanze di Porta Mazzini, sui viali, con una Taz: ad essere occupato temporaneamente fu un ex distributore di benzina in disuso, che per la serata ospitò musica e socialità.

Adesso nel box, posto proprio di fronte a una delle entrate dell’Ospedale Sant’Orsola, ha preso sede una elegante agenzia di pompe funebri, aperta 24 ore su 24. Qualche penetrante burlone le ha affibbiato un nomignolo particolarmente azzeccato: “Voglia di morte.it.

Ex caserma Staveco in viale Panzacchi

Il 26 giugno 2014, all’indomani del corteo #civediamoingiro, l’occupazione temporanea dell’ex caserma Staveco si concluse con una conferenza stampa. I collettivi dichiararono: Abbiamo dimostrato che alla Staveco c’è uno stato di abbandono evidente, tra strutture fatiscenti, rottami di televisori, cumuli di escrementi di volatili e cadaveri di piccioni. E’ un luogo al centro dei processi di speculazione urbana e di gentrificatione”.

Dopo quella conferenza gli stabili dell’area militare, vicino ai Giardini Margherita tornarono all’abbandono, come tante altre aree dismesse. Intanto il progetto di nuovo campus universitario trionfalmente annunciato dal sindaco Virginio Merola e dall’ex rettore Ivano Dionigi è naufragato, dopo che in Università ci si è banalmente resi conto che l’operazione non era sostenibile dal punto di vista finanziario. Il Comune ha comunque promesso che l’area sarà destinata ad un “nuovo progetto culturale di rilevanza pubblica” e l’ex Staveco continua ad essere tirata in ballo come possibile sede degli uffici giudiziari, ma finora non si ha traccia di una pianificazione più concreta. Anche l’operazione in teoria più semplice, cioè l’allargamento dell’attuale parcheggio pubblico ricavato nell’ex caserma, sembra essersi incagliata nei rapporti tra amministrazione e Soprintendenza (essendo l’area vincolata).

La Rage in via Zago

La Rage era un’esperienza di autogestione nata il 9 maggio 2015, seguita all’occupazione di un ex centro “Cesare Ragazzi” in via Zago. Il 3 giugno successivo, su ordine del questore, agenti della Digos e del Reparto Mobile eseguirono lo sgombero. Ora la struttura è vuota e inutilizzata.

Stabile in via Saliceto

Il 25 ottobre 2013 fu occupato uno stabile in via Saliceto 47, disabitato in gran parte da tempo. Si trattava di una palazzina a uso uffici, con annessi locali adibiti a capannone. Chi aveva rimesso in vita l’immobile aveva scritto: “L’abbiamo occupato perché siamo senza una casa… lo abbiamo fatto per poter vivere in un posto fuori dalle logiche e dalle gerarchie della competizione, del lucro, per dare vita ad un luogo di incontro libero, per poterci conoscere ed organizzare contro i meccanismi soffocanti della metropoli che ci vuole muti al posto che hanno riservato per noi”.

Dopo sei giorni, il 31 ottobre, dopo la denuncia della proprietà, arrivarono gli agenti del reparto mobile per sgomberare. In sette si arrampicarono sul tetto, mentre altri si erano barricati all’interno. In strada attivisti di Fuoriluogo e dell’ex Aula C di Scienze Politiche.

A quasi quattro anni di distanza dallo sgombero l’immobile è ancora inutilizzato e continua ad avere porte e finestre completamente chiuse da muri.

Lo stesso gruppo di via Saliceto, il 9 novembre 2013, occupò una palazzina disabitata in via Spada 54, alla Bolognina. L’occupazione durò appena tre ore. Per resistere allo sgombero lampo di polizia e carabinieri, gli occupanti si asserragliarono all’ultimo piano, barricando la scala interna con tubi innocenti, mattoni e masserizie. Due di loro salirono sul tetto. Otto attivisti finirono in Questura, per tre di loro ci furono i fogli di via. Oggi la palazzina appare ristrutturata ed utilizzata.

 

Ex sede anarchica in via Paglietta

Il 2 aprile 2014 venne sgomberata la storica sede anarchica di via Paglietta. Era stata riaperta due giorni prima, dopo la conclusione, con assoluzione di 21 persone, del processo contro il collettivo Fuoriluogo. Avevano aspettato la sentenza in piazza Maggiore, poi ex imputati e solidali si erano mossi verso via Paglietta occupando poi i locali della vecchia sede libertaria.

L’occupazione aveva suscitato subito le reazioni della presidente del Quartiere Santo Stefano, Ilaria Giorgetti, la stessa che si era battuta per la chiusura di Alantide, e del procuratore aggiunto Valter Giovannini, che l’aveva definita una “sfida pericolosa”.

Gli occupanti intendevano farne “uno spazio per confrontarci e trovare il modo d’opporci con efficacia a un sistema che opprime, affama, devasta”. I poliziotti lo hanno riportato ad essere uno “scantinato del nulla”.

Casa Mannaja in via della Beverara

Il 17 giugno 2014 si concluso con uno sgombero l’occupazione abitativa Casa Mannaja, avvenuta sei mesi prima in una palazzina di via della Beverara 123/6. Alcune persone si barricarono al secondo piano dell’immobile, mentre in strada si formò un presidio solidale. Durante le azioni di resistenza tre ragazzi vennero arrestati e portati in carcere.

Attualmente si stanno per cocludere i lavori di sistemazione dell’immobile.

Acer-chiata in via Zampieri

Tutto avvenne in due giorni. Il16 giugno 2014 venne occupato lo spazio “Acer-chiata” in via Zampieri 14/a, con l’intento, da parte degli attivisti, di farne un “Circoletto anarchico di quartiere”.

Così scrissero in un volantino: “Abbiamo aperto un locale sfitto dell’Acer per farne un posto di discussione e un laboratorio di resistenza, per contrastare i problemi che la riqualificazione urbana sta generando in quartiere”. Nel primissimo pomeriggio del giorno dopo, invece, partì a stretto giro lo sgombero. Oggi lo spazio è ancora vuoto e sbarrato.

 

 

Ex caserma Stamoto in via del Parco

Durò tre giorni l’occupazione, da parte del collettivo Noi Restiamo, dell’ex caserma Stamoto di via del Parco. Il 4 giugno 2015 agenti della Digos e del VII° Reparto Mobile, insieme ai carabinieri, procedettero allo sgombero della struttura, su disposizione del questore. All’interno non venne trovato nessuno. Il collettivo Noi Restiamo scrisse: “Sgombero alla Zona Militare Liberata in via del Parco. E’ la risposta della Questura al tentativo di ridare vita insieme al quartiere a un’enorme spazio cittadino abbandonato”.

Da allora l’ex Stamoto è abbandonata e piena di amianto. Guarda caso, l’8 giugno, quattro giorni dopo lo sgombero, l’Esercito fece uscire una nota: “La bonifica partirà a breve”. Si parlava di inizio dei lavori di rimozione del materiale cancerogeno l’estate (non si precisava di quale anno).

Sempre dal ministero della Difesa fecero sapere che proseguiva l’iter per cedere definitivamente l’ex stabilimento agli uffici del Demanio, operazione che avrebbe favorito un riutilizzo pubblico. dell’enorme area: vedremo quanto ci vorrà davvero

L’11 novembre 2016, il sindaco Merola, in un’intervista, disse che la Stamoto era il luogo giusto per realizzare la tanto reclamata “Cittadella Giudiziaria”. In una nota il sindaco dichiarava: “Ho incontrato il direttore dell’Agenzia del Demanio la scorsa settimana a Palazzo D’Accursio e posso dire che finalmente abbiamo la grande opportunità di uno Stato che si fa carico della Giustizia. Non c’è niente di più razionale di avere tutte le attività che riguardano la giustizia in un unico luogo… Tempi previsti? Tutto pronto per il 2021”.

L’8 gennaio 2017 il ministero della Giustizia ha dichiarato che sta valutando la possibilità di rescindere il contratto d’affitto di via Farini e dell’ex Maternità. Contestualmente gli uffici del Guardasigilli starebbero lavorando per avviare l’iter per la cittadella della giustizia alla Stamoto.

Il 29 gennaio 2017, Giuseppe Colonna, il presidente della Corte d’appello di Bologna, ha bocciato il progetto della nuova cittadella giudiziaria all’ex caserma Stamoto. Contrario anche l’Ordine degli avvocati. All’inaugurazione del nuovo anno giudiziario, il tema degli spazi è stato ampiamente trattato ed è stato chiesto, anche dall’Associazione Nazionali Magistrati, l’intervento del Guardasigilli Andrea Orlando. I giudici vorrebbero che polo penale fosse mantenuto come sede futura all’ex Maternità.

Il 20 marzo 2017 il presidente dell’Ordine degli avvocati ha dichiarato: “L’ipotesi Stamoto non ci vede favorevoli, come avvocati ma prima ancora come cittadini”. Questa dichiarazione è stata fatta al termine di un’affollatissima assemblea straordinaria degli iscritti all’Ordine forense di Bologna, convocata per discutere del progetto di trasferimento degli uffici giudiziari della città nell’area dell’ex caserma Stamoto.

I redattori di Zic sono stati in via del Parco ai primi di giugno e tutto è rimasto come nei giorni dello sgombero. All’ex caserma Stamoto non c’è traccia di lavori o segnalazioni di cantieri in corso o futuri. Anzi, negli ultimi giorni, l’ipotetica nascita di una cittadella giudiziaria all’ex Stamoto ha fatto più passi indietro che in avanti: dalle parti del Comune si è realizzato che i finanziamenti messi a disposizione dallo Stato (è circolata la cifra di 93 milioni di euro) non basterebbero a coprire tutti gli interventi necessari, tra quelli interni ed esterni (legati, ad esempio, alla mobilità) e così da Palazzo D’Accursio è arrivata una decisa frenata rispetto agli entusiasmi iniziali.

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E POI, ANCORA, ALTRI SGOMBERI

Quello appena concluso è un elenco già molto lungo e dà bene l’idea di quanto, negli ultimi quattro anni, le istituzioni cittadine si siano date da fare per interrompere esperienze di autogestione, di riappropriazione e di risposta dal basso alla crisi che ulteriormente messo in difficoltà le fasce più deboli della popolazione. Ma purtroppo il bilancio è anche peggiore, perchè nello stesso periodo di sgomberi ce ne sono stati anche altri, che segnaliamo in quest’ultima sezione non presentando appieno le caratteristiche degli altri casi attorno a cui ruota principalmente questa inchiesta.

Vale comunque la pena citare, ad esempio: la biblioteca di via Zamboni 36 occupata nell’ambito delle mobilitazioni studentesche contro i tornelli, violentemente sgomberata lo scorso 9 febbraio e da allora tenuta chiusa dall’Ateneo; lo sgombero (costato 4.500 euro di danni) risalente al 28 febbraio di quest’anno della palestra di via Gandusio, nel frattempo riaperta e funzionante; la maxi-operazione che tra agosto e settembre del 2016 ha interessato decine di famiglie del Garibaldi 2 a Calderara di Reno; il brutale intervento della polizia in Università per sgomberare, il 22 marzo 2016, un’aula intitolata a Giulia Regeni dagli studenti, a Scienze politiche; lo sgombero l’11 maggio 2015, ancora a Scienze politiche, della storica Aula C poi riaperta nell’ottobre dello stesso anno dopo i lavori con cui i locali sono stati adibiti a laboratori di informatica; lo sgombero il 7 ottobre 2014 del Community center nel campus di via Filippo Re, che però continua ad ospitare eventi e iniziative autorganizzate; lo sgombero il 6 novembre 2014 di un appartamento Acer di via Mascarella occupato pubblicamente per dare avvio ad una campagna sul diritto all’abitare; lo sgombero l’1 novembre 2014 di un’intera palazzina in via Segantini, che era occupata da alcune famiglie rumene sfuggite alle piene abitavano sul Lungoreno; lo sgombero-fantasma di Làbas il 3 agosto 2013, del quale gli occupanti (tuttora impegnati ad autogestire l’ex caserma Masini) dichiararono di non essersi neanche accorti.

E oltre a tutto ciò non si può scordare la miriade di interventi di polizia che scattano per sgomberare alloggi di fortuna ed allontanare da casa le famiglie sotto sfratto, di cui questo giornale purtroppo dà conto quasi quotidianamente.

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> La gallery con le foto degli spazi inseriti in “Chiedi (ancora) alla polvere”:

Aggiornamento "Chiedi alla Polvere"