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Scuola, ancora fondi pubblici alle private

Lo stanziamento arriva dalla Regione. Noi Restiamo contro l’alternanza scuola-lavoro, per in coinvolgimento dell’Esercito e dopo i fatti di Monza. Il contributo di un docente sul ruolo dei dirigenti e gli effetti della legge 107.

17 Luglio 2017 - 12:37

Ancora finanziamenti pubblici per le scuole private. La Giunta della Regione, infatti, nei giorni scorsi ha assegnato 4,1 milioni alle scuole d’infanzia paritarie dell’Emilia-Romagna, sia quelle comunali che quelle private, in tutto 832. A Piacenza, in base al testo approvato, vanno 254.004 euro a Parma 403.670 euro, a Reggio Emilia 715.651, a Modena 677.743, a Bologna 723.289, a Ferrara 335.924, a Ravenna 387.157, a Forli’-Cesena 325.004 e a Rimini 277.553 euro.

Dalla campagna Noi Restiamo, intanto, arriva la seguente segnalazione sui progetti di alternanza scuola-lavoro: tra le notizie che appaiono sulla questione, “una ci sembra particolarmente interessante. Qui in Emilia Romagna, l’Ufficio Scolastico Regionale e il locale Comando Militare dell’Esercito hanno siglato un protocollo d’intesa per la realizzazione di attività di Alternanza Scuola lavoro. Si tratta di piccole mansioni ma il gesto è carico di significato, in un periodo in cui l’attacco al mondo del lavoro si fa sempre più cruento e i diritti sindacali vengono erosi pezzo dopo pezzo, come vediamo in questi giorni con il tentativo di limitazione al diritto di sciopero, in un periodo in cui l’emigrazione Italia tornano a cifre che si avvicinando a quelle del dopoguerra, si inserisce questa terza ipotesi. In questi tempi di austerità in casa, guerra alle porte dell’Europa e militarizzazione dei territori e delle città l’iniziativa assume un certo valore simbolico…”.

Sempre Noi Restiamo, poi, rende nota un’azione comunicativa sulla porta dell’Ufficio scolastico regionale dell’Emilia-Romagna: “Da mesi ormai è noto a tutti cosa implica il percorso della cosiddetta ‘alternanza scuola-lavoro’ previsto dalla legge 107: centinaia di ore sottratte allo studio per gli studenti dell’ultimo triennio delle scuole superiori per lavorare gratuitamente presso aziende ed enti pubblici. Un’attività, è bene ricordarlo, resa obbligatoria ai fini del conseguimento del diploma di maturità: al datore di lavoro (o a un suo referente/tutor aziendale) spetta infatti il compito di valutare la prestazione fornita dagli studenti e le ‘competenze’ da essi acquisite: in sintesi, un vero e proprio percorso di educazione alla precarietà, allo sfruttamento e alla rassegnazione di fronte al ricatto cui già da tempo sono sottoposte le fasce giovanili, e l’ennesimo regalo alle imprese, che trovano così la possibilità di utilizzare manodopera a costo zero. Al progressivo svuotamento del ruolo formativo della scuola pubblica, dopo anni di tagli e di austerity, si unisce l’apprendimento coatto del servilismo, una materia che poco ha a che fare con gli obiettivi ditattici e formativi che un’istruzione pubblica degna di questo nome dovrebbe avere. Come se non bastasse, a tutto questo si aggiunge la violenza, come apprendiamo da quanto capitato a Monza, dove quattro studentesse, alle quali va tutta la nostra solidarietà, sono state violentate dal titolare di due centri estetici presso i quali svolgevano lo stage. Un atto in sé gravissimo, che si carica di ulteriore gravità ricordando che dal giudizio del titolare dipendeva gran parte della valutazione, e quindi l’estito dell’esame di maturità in cui questa è inserita”.

Continua Noi Restiamo: “Se è questo il grado di totale subordinazione e ricattabilità cui sono sottoposti studenti e studentesse, perfettamente gettati nella ‘guerra tra poveri’ – migliaia di tirocinanti obbligati a lavorare gratis permettono infatti di ridurre notevolmente gli organici e di licenziare chi lavora già in cambio di un pur misero stipendio –, non osiamo immaginare cos’altro possa succedere nel paese in cui più di mille persone muoiono ogni anno sul posto di lavoro, nel paese in cui si è obbligati a scegliere tra l’emigrazione e un futuro fatto di precarietà assoluta e di assenza totale di diritti. Non avevamo certo bisogno di quest’ultimo orrendo episodio per avere la conferma di quanto l’alternanza scuola-lavoro, spacciata come soluzione ‘contro la disoccupazione e il disallineamento tra domanda e offerta nel mercato del lavoro’, e come favolosa esperienza grazie alla quale sviluppare ‘senso di iniziativa e imprenditorialità’, sia in ogni caso, a prescindere dall’effettiva attività svolta dagli studenti, l’ennesimo meccanismo per mantenere la working poor generation sempre più tale”.

Infine, ancora in tema di scuola, pubblichiamo il testo (intitolato “Uomini o caporali”) inviato alla nostra redazione dal docente Lucio Garofalo: “Nella mia lunga carriera professionale mi sono imbattuto in prevalenza in due diverse tipologie di dirigenti scolastici. La prima categoria, forse la più diffusa nel mondo della scuola, è quella del preside dispotico, che tratta l’istituzione in un modo autocratico e verticistico, scambiando l’autonomia scolastica per una tirannide di tipo individuale e stimando i rapporti interpersonali in termini di supremazia e di subordinazione. Questa figura non predilige affatto le norme e le procedure di carattere democratico, bensì preferisce scavalcare gli organi collegiali ed assumere ogni decisione in maniera arbitraria e discrezionale senza consultarsi con nessuno. Inoltre, costui si pone sempre in modo protervo ed autoritario, esibisce un cipiglio severo per intimorire e mettere in soggezione gli altri. Ed abusa sovente dei propri poteri, perpetrando facilmente angherie o soprusi nei riguardi dei sottoposti, trattati alla stregua di sudditi privi di ogni diritto e tutela, con i quali si comporta in modo inclemente. La seconda tipologia, che è probabilmente la più pericolosa, è quella del dirigente affarista e demagogo, che potrebbe sovrapporsi o coincidere con il tipo assolutista. Un dirigente siffatto tende a concepire la scuola come una sorta di proprietà privata e la sfrutta per scopi di lucro e prestigio personale, per cui la gestisce in modo tale da trasfigurarla nel più breve tempo possibile in un vero ‘progettificio scolastico’. In tal senso si adopera per reperire finanziamenti economici aggiuntivi stanziati a disposizione delle scuole, da cui attingere ed elargire i fondi senza criteri equi, applicando logiche di tipo clientelare e paternalistico al fine di premiare una cerchia oligarchica composta dallo ‘staff dirigenziale’. Da un simile assetto politico-gestionale discende un carrozzone di stampo assistenzialistico carico di una pletora abnorme di iniziative didattiche e progettuali eccedenti, con scarse ricadute ed incidenze positive sulla formazione educativa e culturale degli studenti. Una simile sovrabbondanza di sovvenzioni e contributi finanziari è funzionale in primis a beneficiare un’esigua minoranza di insegnanti che supportano il dirigente. Inoltre, esiste un’altra tipologia, ossia quella del preside umano, con pregi e difetti caratteriali. Si tratta, senza dubbio, di un esemplare assai raro, ma è l’unico che ispiri la mia simpatia, la mia stima e la mia approvazione sincere. Infine, qualcuno mi risponda sul potere di ‘chiamata diretta’ dei docenti in base a criteri discrezionali o arbitrari dei presidi. Temo che non sia il miglior antidoto rispetto alle pratiche clientelari, già diffuse nel mondo della scuola. È ovvio che tali fenomeni rischieranno di acuirsi ed estendersi a macchia d’olio. In buona sostanza, la legge 107/2015 ha sterzato bruscamente in direzione aziendalista e liberista, stravolgendo ulteriormente l’assetto e l’architettura istituzionali della cd. ‘autonomia scolastica’. Un’infelice, grottesca ed inquietante caricatura di ‘sceriffo’ (ovvero una sottospecie burocratica di ‘manager privato’) detiene anche il potere discrezionale di assegnare, mediante meccanismi di nomina diretta, sede e cattedra di insegnamento, oltre a determinare addirittura cosa e come insegnare. In altri termini, la tanto vilipesa e bistrattata ‘libertà didattica’ mi pare destinata a farsi benedire in maniera definitiva”.