Attualità

Roma / Migranti cacciati un’altra volta da via Cupa

Oggi inoltre ricorrono tre anni dalla strage di Lampedusa, il collettivo Askavusa: “Se i soldi spesi per frontiere e detenzione migranti fossero impiegati per viaggi regolari e politiche sul lavoro non avremmo avuto migliaia di morti”.

03 Ottobre 2016 - 17:36

Nuovo sgombero per l’accampamento di fortuna che a Roma nei mesi scorsi aveva sostituito lo spazio di accoglienza Baobab Experience, sostenuto dal lavoro di numerosi volontari che avevano consentito il funzionamento di un dispositivo di prima accoglienza per i molti migranti in transito nella capitale. Dalla pagina facebook del Baobab gli attivisti raccontano gli avvenimenti di questi due giorni: “Sabato primo ottobre, presso la stazione tiburtina, sono stati portati via 17 ragazzi migranti. Per due ore si è tentato un dialogo con le forze di polizia per cercare di evitare l’ennesima identificazione in questura, ricordando loro che era già stata effettuata il giorno precedente, in seguito allo sgombero del presidio in via Cupa. Non ci hanno ascoltati e al nostro intento di proteggere i ragazzi evitando loro un ulteriore e inutile stress psicologico, alle 23:00 circa la loro risposta è stata circondare noi volontari e migranti con un numero esagerato di volanti e agenti. I migranti presenti erano già stati tutti identificati, chi la mattina precedente chi negli hotspot al loro arrivo in Italia. Non c’è stato nulla da fare e, tra le urla dei ragazzi impauriti tra cui quelle di una donna incinta in preda a un attacco di panico, sono stati uno per uno portati via dall’illegalità di quel freddo marciapiede. La sala operativa del Comune, presente sul posto, ha trovato solo 3 posti nei centri d’accoglienza sull’intero territorio di Roma. Da quel marciapiede sono stati strappati via e come oggetti rilasciati nuovamente sulla strada alle 4:00 della mattina, in via Patini di fronte la questura. Ieri, domenica 2, nel municipio II, è scattata una vera e propria caccia al migrante: ronde di polizia in ogni angolo vicino via Cupa, macchine della digos e 2 cittadini del comitato che guardavano a vista, con fare minaccioso, qualsiasi gruppo con più di due migranti. Giustamente, se sei arrivato da 2 ore a Roma dopo un viaggio della disperazione e sei homeless, pretendi anche il diritto di stare in compagnia? Solo devi stare, arrancando senza nessuno affianco. Sarebbe troppo facile. Quei ragazzi hanno vissuto l’inferno e l’inferno in questo modo continuano a vivere.”

In un altro post, spiegano poi la situazione degli ultimi mesi e come il rapporto con la nuova amministrazione comunale non si sia rivelato proficuo, a fronte delle chiusure e degli allarmi mediatici lanciati dalle istituzioni: “La situazione dell’accoglienza a Roma si fa di giorno in giorno più critica: dal 6 dicembre 2015, quando gli attivisti e i volontari di Baobab Experience hanno lasciato i locali di via Cupa dietro la promessa di un luogo alternativo per i migranti in transito, non fa che peggiorare. Una tendopoli di fortuna di fronte all’ex centro Baobab, chiuso e in stato di abbandono, allestita dallo scorso maggio e gestita ancora una volta solo dalla cittadinanza attiva, tavoli di confronto che nascono e muoiono senza che alcuna soluzione venga trovata. Da ultimo, quello con l’assessora alle Politiche Sociali Laura Baldassarre, che si era impegnata a trovare una soluzione strutturata e definitiva, sia in termini di spazi che logistici, che coinvolgesse e valorizzasse tutte le realtà che si occupano di accoglienza a Roma.
Il 12 settembre il dialogo è stato improvvisamente interrotto; a ciò hanno fatto seguito lo sgombero dello scorso venerdì 30 e le colpevoli inesattezze delle dichiarazioni della stessa Baldassarre: i migranti ospiti a via Cupa quel giorno erano 300, ora in difficoltà, alla ricerca di una sistemazione di fortuna in una città che continua a non avere posti per fronteggiare la portata del fenomeno migratorio attuale. Per non contare i nuovi arrivi delle ultime ore. Infine ieri, sabato 1 ottobre, l’ultimo atto irresponsabile, l’identificazione forzata delle stesse persone fotosegnalate solo il giorno prima, con un dispiegamento di forze dell’ordine del tutto immotivato, di fronte all’amministrazione inerme e scarica barili, che forse non sa più distinguere la destra dalla sinistra, il bene dal male.”

Oggi alle 15 gli attivisti di Baobab e alcuni migranti colpiti dallo sgombero hanno quindi tenuto una conferenza stampa per raccontare gli avvenimenti di sabato e rendere giustizia all’esperienza che stanno portando avanti da tempo, nel silenzio delle risposte da parte dell’amministrazione e nell’assenza delle istituzioni cittadine: “Stasera molte persone non sanno dove dormiranno. Avremo 120-150 persone senza un posto per riposare. Come abbiamo intenzione di muoverci? Noi continuiamo a dire che un’accoglienza è possibile, e che finchè le istituzioni non lo faranno noi continueremo farlo. Queste persone che sono state portate in questura non hanno nessuna colpa. I migranti non hanno colpa per la loro condizione. I migranti in transito, in tutto il mondo, vengono ospitati vicino ai luoghi di transito, stazioni dei treni e dei bus. Via Cupa è il luogo adatto a questo scopo. Se vuole, la politica ci mette un attimo a stabilire che quello è il luogo adatto. Gli attivisti di Baobab sono disponibili ad allestire un campo già domani. Più si investe in accoglienza, più si sottrae materiale alla criminalità.”

Un’attivista del coordinamento legale, che si è messa a disposizione dei migranti ospitati in via Cupa, dice ai microfoni: “Vorremmo restituire dignità a questa esperienza. Abbiamo intervistato oltre 400 migranti e abbiamo provato a raccontare le loro storie. Un cittadino su tre è una donna, nell’85% dei casi viaggia da sola, e una piccola percentuale di loro è in gravidanza. Il 97% degli intervistati ha dichiarato di voler transitare in Italia per poter proseguire verso altri paesi europei, ma ora che sono state chiuse le frontiere del nord, l’Italia è divenuta una grande prigione a cielo aperto per tutte queste persone. 40 persone che sono passate dal campo sono state forzatamente rimpatriate in Sudan grazie all’accordo firmato ad agosto dall’Italia, rispediti in un regime dittatoriale. Ci chiediamo chi è a creare l’emergenza? Il Baobab experience o le istituzioni? Non esiste l’emergenza di cui parla l’amministrazione comunale: tutte queste persone sono in transito, e non intendono fermarsi qui. L’accoglienza deve essere un esercizio di democrazia, non di atteggiamenti pietistici.” Concludono quindi i volontari parlando delle prospettive future dopo lo sgombero del campo di fortuna: “Ora toccherà riorganizzare le nostre forze. Oggi 3 ottobre è l’anniversario di una strage, ma oltre alla strage sono ormai decine di migliaia coloro che sono morti mentre tentavano di raggiungere l’Italia e l’Europa. Non è un’unica strage, ma un genocidio quello che è in atto.”

Lampedusa, cimitero delle barche - foto da flickr Carlo Alberto ClericiOggi infatti ricorrono i tre anni dalla strage che lasciò quasi 400 morti nel mare al largo di Lampedusa, il 3 ottobre del 2013. Riportiamo alcuni stralci della ricostruzione dei fatti di quella tragica notte, contenuta in un reportage del collettivo Askavusa, che a Lampedusa opera da tempo in sostegno ai migranti in arrivo sulle coste dell’isole, dal titolo “03/10/2013 Il naufragio della verità”: “Il 2 ottobre 2013, alle 03:00, un peschereccio di circa 20 metri partiva dalla costa della città di Misurata, in Libia, con a bordo 540 persone, la maggior parte di nazionalità eritrea. Dopo circa 24 ore di navigazione l’imbarcazione arrivava in prossimità dell’isola di Lampedusa e il conducente della barca spegneva il motore. Per quasi due ore la barca rimaneva ferma davanti all’isola con il motore spento. L’imbarcazione cominciava ad imbarcare acqua sottocoperta. Tra le 2.30 e le 3.00 del 3 ottobre due barche si avvicinano all’imbarcazione carica di persone. Le due barche provenivano dalla direzione del mare, una dalla destra e l’altra dalla sinistra della barca. Dopo aver puntato i fari sulla barca carica di persone e averle fatto un giro attorno, le due imbarcazioni facevano rotta verso il porto di Lampedusa. Attorno alle 4.30 la barca affondava. Verso le 06.30 un gruppo di persone che si trovava in barca nella zona della Tabbaccara, per una battuta di pesca, svegliati dalle grida dei naufraghi escono fuori dalle cabine e vedono centinaia di corpi in mare. Viene subito dato l’allarme con una telefonata.”

Queste le valutazioni del collettivo sulla strage di tre anni fa: “A 3 anni dall’accaduto pensiamo sia giusto mantenere viva l’attenzione su alcuni punti quali il mancato soccorso e gli interessi economico-politici che stanno alla base di questo e di altri naufragi. Riteniamo che il problema delle migrazioni contemporanee nell’area del Mediterraneo si debba far derivare dalle leggi che l’UE ha imposto agli stati membri per aderire al Mercato Interno Europeo e a Schengen. Si possono pagare fino a diecimila euro e impiegare anche molti anni prima di arrivare in Europa. Spesso si scappa da una guerra, altre volte dallo sfruttamento del proprio territorio, altre volte si è semplicemente alla ricerca di un lavoro. Se i soldi spesi nella militarizzazione delle frontiere (Sicurezza) e nei centri di detenzione per migranti (Accoglienza) fossero stati impiegati nella regolarizzazione dei viaggi e nelle politiche sul lavoro, sicuramente non avremmo visto morire migliaia di persone con queste modalità. Dal nostro punto di vista il problema rimane il sistema economico attuale che ha fatto del profitto il fine ultimo di ogni azione. Il capitalismo neoliberista di cui l’UE è una delle espressioni politiche fa ogni giorno migliaia di vittime che non hanno spazio nei TG e nelle rappresentazioni di Stato, non servendo a giustificare alcun tipo di politica: ne sono semplicemente le vittime. Nessuno parlerà di loro, nessuno nominerà i loro nomi. Una delle cose più aberranti della strage del 3 ottobre è proprio questa: le vittime vengono continuamente evocate divenendo uno strumento per giustificare le politiche di quei soggetti responsabili delle loro morti. Alle vittime dell’imperialismo capitalistico.”