Attualità

Roma / La vittoria di una lavoratrice in nero

La storia di una studentessa che, dopo essere stata licenziata, denuncia il ristorante dove era impiegata senza alcua garanzia e vince la causa: società costretta a pagare ventisei mensilità.

08 Novembre 2013 - 20:05

La precarizzazione dell’esistenza è un processo subdolo che parte dalle aziende, indifferentemente dal dato dimensionale, e si avvale della complicità dello Stato che, dal 1997 in poi ha fatto letteralmente a pezzi il sistema di tutele giuridiche del lavoro, dei lavoratori e del reddito. In questo contesto, fatto di collusioni tra Stato e capitale finanziario, i precari si trovano giornalmente sotto il ricatto del lavoro, a causa del quale sempre più spesso sono costretti ad accettare condizioni lavorative e trattamenti economici al limite della sopravvivenza.

Nell’assenza più totale, non diciamo di garanzia del reddito, ma di una qual si voglia politica di sostegno al reddito, i precari e le precarie italiane frequentemente cadono nella tela appiccicosa del lavoro nero, costretti a svolgere qualsiasi forma di lavoro senza la benché minima tutela salariale, previdenziale, assicurativa, lavorativa. E’ in questo contesto che matura l’esperienza di Agata (nome di fantasia per tutelare la privacy della lavoratrice), che per potersi (e doversi) mantenere da sola durante gli studi universitari e nell’assenza di offerte di lavoro decente, decide di accettare l’offerta di lavoro di un ristorante, come cameriera, scelta più o meno obbligata per molti giovani precari e precarie. Agata accetta di lavorare con turni arbitrari, con orari di lavoro mai fissi e predeterminati, con una retribuzione “a merito”, determinata giorno per giorno.

Una strategia padronale non solo di convenienza economica ma sembra proprio per costringere i giovani precari a non pensare al futuro, intrappolarli in un perpetuo vivere alla giornata…Così il rapporto di lavoro procede in maniera familiare, al “famo a fidasse”, al “se lavori bene ti diamo qualche altro giorno”, finché il padrone di turno non decide di interrompere questo limbo lavorativo licenziando Agata così, su due piedi, senza addurre una motivazione e senza garantire alla ragazza una benché minima indennità per la cessazione del rapporto di lavoro. Agata, però, a differenza di molti precari e precarie ha il coraggio e la forza di reagire e decide di non sottostare a questo ricatto.

Agata si rivolge all’info-point precario “Difenditi dal lavoro”, hub cospirativo del precariato metropolitano, una camera del lavoro e non lavoro che animiamo a Roma Sud nell’ambito del percorso della piattaforma per il reddito di base e i diritti.

Diventa, così, necessario un intervento legale. Dopo diversi tentativi – falliti – per cercare un’ipotesi di “cash and crash” (sporchi, maledetti e subito) si decide di perseguire la strada della tutela dinnanzi alla Magistratura del Lavoro. Qual è lo strumento d’attacco? Paradossalmente è lo strumento che la Ministra Fornero (si proprio lei, la “coccodrilla esodante” dei sacrifici solo per noi…) aveva introdotto per agevolare le aziende nella rapida definizione dei licenziamenti nulli o illegittimi. Un’arma impropria che, questa volta, è stata ritorta contro l’arroganza di chi detiene il capitale e gli strumenti di produzioni. Viene così deciso di depositare un ricorso ex art. 1 della L. n. 92 del 2012 per far accertare la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato stipulato solo oralmente e quindi “in nero”, fare riconoscere quella che doveva essere la retribuzione legittima spettante alla lavoratrice ed, infine, la chiave di volta del ricorso, il licenziamento comminato solo oralmente.

Già nella propria memoria la Società palesa le proprie carenze difensive, avallando giustificazioni non comprovate dai fatti. In sede di giudizio, a seguito della discussione orale della causa, i nostri legali mettono in evidenza tutte le carenze difensive, nonché le gravi condotte illegittime tenute dalla Società senza che questa sia riuscita a provare altrimenti. Il rischio è stato corso, il ricorso era ben fondato, ma la giustizia spesso segue ragioni che la ragione non ha. Tuttavia “Ci sarà pure un Giudice a Berlino”, e c’era anche a Roma!!! Così, con Ordinanza immediatamente esecutiva, il Giudice dispone l’accoglimento totale delle istanze di Agata: riconosce la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato; accerta e riconosce l’orario di lavoro descritto nel ricorso dalla ricorrente; condanna la Società alla reintegrazione della lavoratrice nel posto di lavoro; ed in fine condanna la Società al pagamento di tutte le retribuzioni spettanti alla lavoratrice dal giorno del licenziamento fino alla effettiva reintegrazione.

Il resto è storia: la Società prova a resistere all’esecuzione, la lavoratrice opta per la tutela risarcitoria delle 15 mensilità quale alternativa alla reintegrazione, arrivando a vantare un credito lordo di 26 mensilità nei confronti del datore di lavoro; la Società, messa alle strette dai nostri legali è spinta ad accettare un atto di transazione finalizzato all’esecuzione dell’Ordinanza del Tribunale di Roma, ottenendo il riconoscimento di una somma netta da versare in favore della lavoratrice.

Con buona pace per il posto di lavoro precario e precarizzante, oggi un pezzetto del reddito che ci spetta ce lo siamo ripreso direttamente dagli speculatori!

Con buona pace di chi ha frammentato i diritti dei lavoratori, polverizzandoli, oggi le vostre armi hanno colpito finalmente il bersaglio giusto.

Sarà ancora lunga e gioiosa la strada della Vendetta precaria!


Info-point precario “difenditi dal lavoro” – Roma