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Riapre il 36, ”senza tornelli ma con meno posti”

Nei bagni solo con il badge. Cua: “Vittoria parziale, da settembre continueremo a dare battaglia”. Intanto, Libertà di studiare in rettorato per gli universitari sospesi: “Solo attraverso la lotta è possibile ottenere quanto ci è dovuto”.

18 Luglio 2017 - 12:26

“Dopo mesi di chiusura e ormai alla fine della sessione d’esami estiva l’Università si decide a riaprire la biblioteca e le sale studio di via Zamboni 36”. E’ la segnalazione diffusa dal Cua su Facebook. “La situazione che ci si presenta è la seguente: il corridoio d’entrata è libero, i tornelli che bloccavano l’accesso sono stati disinstallati. Questa è la parziale vittoria delle importanti lotte portate avanti in modo determinato da centinaia e centinaia di studenti e studentesse, che dal primo giorno della loro installazione, ne hanno impedito il funzionamento e per mesi hanno prodotto azioni di protesta e boicottaggio. L’ingresso alla biblioteca non è limitato da dispositivi di controllo agli accessi o guardioni e anche qui possiamo rivendicarci una parziale vittoria: dovremo comunque monitorare che non venga controllato o impedito ad alcuno l’accesso da parte dei lavoratori della stessa”, scrive il collettivo, che prosegue: “L’accesso ai bagni funziona però diversamente, è infatti aperto solo a chi possiede il badge universitario, strumento che limita la fruizione di un servizio fondamentale e anche l’utilizzo della sala lettura e che di conseguenza mette in difficoltà chi frequenta la biblioteca per lo studio personale o agli iscritti all’Accademia di Belle Arti. Ciò è inaccettabile, ma il cambiamento più grave consiste nella chiusura della Sala Affreschi, prima attrezzata a sala studio con computer utilizzabili liberamente e gratuitamente. L’aula ora chiusa di fatto elimina molti posti per studiare diminuendo notevolmente la capienza di Zamboni 36″.

Commenta il Cua: “Se possiamo dichiarare parziale vittoria rispetto all’eliminazione dei tornelli all’ingresso, alcune modifiche non possono essere accettate. Non abbiamo paura di continuare a lottare finché l’Università che frequentiamo ogni giorno e che sosteniamo pagando migliaia di euro di tasse possa essere aperta e accessibile a tutti e tutte. Dall’installazione dei tornelli alle continue sospensioni, contro chi rivendica una zona universitaria a misura di studente, l’Alma Mater di Bologna non si ferma a riflettere o dialogare sui bisogni e desideri espressi con forza dai suoi iscritti, ma ragiona in termini di profitto e repressione del dissendo. Questo atteggiamento deve cambiare e noi saremo sempre pronti a metterci in gioco nel lottare in questa direzione! Da settembre continueremo a dare battaglia, contro le sospensioni pesanti che colpiscono singoli elementi di lotte partecipate da migliaia di studenti e studentesse, contro chi limita e vuole chiudere spazi di aggregazione e socialità, contro chi vorrebbe la zona universitaria disciplinata, militarizzata e attraversata solo da persone sottomesse alle logiche economiche di competizione ossessiva, individualismo e meritocrazia”.

Ieri mattina, intanto, “abbiamo voluto essere tutte e tutti in Rettorato a depositare le memorie di difesa degli studenti colpiti” dall’Alma Mater con sanzioni disciplinari per le contastazione di Panebianco e per l‘occupazione della biblioteca di Discipline umanistiche.  “Per ribadire insieme che non fermeranno la nostra rabbia e che non accetteremo la gestione arbitraria e discrezionale dei processi farsa del senato accademico”. Lo scrive su Facebook Libertà di studiare in un comunicato dal titolo “No ai processi del tribunale Unibo”.

Si legge: “L’università è sempre più un luogo di normalizzazione del sapere critico e di criminalizzazione del dissenso, e questa è una verità che ci è ben nota da tempo. Eppure quello che constatiamo al termine di quest’anno è una modalità nuova e patologica di gestione del conflitto politico da parte dell’Unibo. A maggio uno studente dell’università di Bologna è stato colpito da un provvedimento disciplinare, corrispondente ad una sospensione di due mesi dall’ateneo, a causa di una protesta di tre anni prima contro il professore ed editorialista del corriere della sera Angelo Panebianco, di cui sono note le posizioni guerrafondaie, razziste e xenofobe che propina dai giornali come dalla cattedra. Le opinioni aberranti non restano mai solo opinioni, ma producono effetti sulla realtà che ci circonda, una realtà che a noi giovani riserva ad oggi solo precarietà e sfruttamento, contro cui lottiamo ogni giorno dentro e fuori le aule. Loris viene dunque sospeso senza che ci sia ancora stato alcun processo penale che dimostri la sua colpevolezza né tantomeno la sua effettiva presenza quel giorno.L’Università gioca a fare il feudo medievale, giudicando e condannando sulla semplice base del fatto di essere imputati per azioni che fanno storcere il naso al feudatario e ai suoi vassalli, che non sono capaci nemmeno di rispettare il principio della non colpevolezza fino a prova contraria”.

Prosegue il comunicato: “Dopo il 9 febbraio, successivamente alla lotta che ha visto partecipi studenti e studentesse nella contestazione alla gestione scellerata del rettore riguardo alla biblioteca di Via Zamboni 36, la procedura si ripete. Il lupo, si sa, perde il pelo ma non il vizio. Due studenti vengono identificati nel fascicolo aperto dalla procura come presenti il giorno della rioccupazione della biblioteca sulla base di alcune foto sgranate e che tutto lasciano all’ampia immaginazione della Digos, ma che al rettore bastano per giudicare colpevoli i due di violazione del regolamento. Come i due studenti, tante e tanti altri che hanno partecipato a quella lotta sono stati colpiti da questi provvedimenti, e non possiamo fare a meno di vedere dietro questo attacco una precisa volontà politica da parte del rettore Ubertini: quella di troncare sul nascere qualsiasi voce si levi contro la sua amministrazione poliziesca, che in due anni di mandato ha scelto come unica forma di dialogo con i suoi studenti quella di mandare per ben tre volte la celere all’interno degli spazi universitari. L’aver combattuto contro i provvedimenti disciplinari tre mesi fa ci ha dimostrato che solo attraverso la lotta ci è possibile ottenere quello che ci è dovuto, nonostante questo non ci basti. Infatti è solo grazie alla capacità che si è avuta collettivamente di interrompere il senato accademico e di combattere contro il codice etico -l’altro vergognoso strumento che il rettore ha iniziato ad usare contro chi lotta, dai lavoratori agli studenti- ad aver permesso che Loris non ricevesse i nove mesi di sospensione di cui era stato minacciato. Un risultato che dimostra la legittimità della nostra posizione e da cui partire per dire che non accetteremo il minimo sindacale della pena, ma pretendiamo non si comminino mai più misure disciplinari a studentesse e studenti”.

Scrivono gli universitari in conclusione: “La campagna Libertà di Studiare nasce dunque per denunciare la pericolosa comunanza di intenti che sempre più è presente tra procura e università, un sodalizio inquietante e lesivo del diritto allo studio. Questi procedimenti vanno a colpire chiunque lotti per l’università che vogliamo, un luogo di scambio di saperi e di crescita, e non un tribunale da inquisizione spagnola. Esprimiamo massima solidarietà a tutti gli studenti e le studentesse colpiti/e dalle sanzioni e invitiamo tutti i professori e professoresse, lavoratori e lavoratrici e chiunque attraversi l’Università e creda in un sapere libero e collettivo a prendere posizione contro i dispositivi repressivi dell’Alma Mater”.