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Parma / Violenza sessuale nella sede Raf, quattro a processo

La vicenda, risalente al 2010, è rimasta sottotraccia finché un recente intervento sul blog “Abbatto i muri” ha aperto il dibattito tra realtà antifasciste e autogestionarie. Da Bologna prendono posizione Mujeres Libres e Nodo antifa.

20 Dicembre 2016 - 18:20

(foto Mujeres Libres)“Nel settembre del 2010 in via Testi a Parma un numero imprecisato di individui (da 4 a 6) ha preso parte attivamente e/o come spettatore ad uno stupro di gruppo ai danni di una ragazza, che da poco aveva compiuto diciotto anni. La violenza è avvenuta su un soggetto totalmente incosciente, condizione che pare impossibile possa essere stata causata soltanto dal (poco) vino che lei ricorda di aver bevuto. Al momento dello stupro era incapace di dare il suo consenso o di opporre resistenza fisica o verbale. Lo sappiamo perché i suoi stupratori hanno ripreso la scena con un cellulare”. Così inizia un lungo post a firma “Romantic Punx” sul blog “abbatto i muri” che alcuni giorni fa è finito nelle cronache mainstream nazionali e alimenta da allora un diffuso dibattito su sessismo e violenza all’interno di realtà di base e movimenti sociali, perché in via Testi, continua il post, “c’era la sede della Raf (la Rete Antifascista di Parma) ed i soggetti coinvolti in questa storia di orrore e violenza sono uomini e donne che appartenevano o frequentavano la RAF”.

Il video salterà fuori solo tre anni dopo durante delle indagini su un attentato incendiario alla sede di Casapound nella città emiliana; i Carabinieri decidono di interrogare la ragazza: “Dopo ore interminabili – si legge sempre sul blog – vengono fuori i nomi di persone che lei ricorda nella sede della Raf il giorno dello stupro”. Ieri è iniziato il processo a quattro persone, ma nel frattempo “per ‘vendicare’ chi era stato convocato dalle forze armate o proteggere gli stupratori è stata messa in moto una macchina spietata che si è alimentata di voci assurde, minacce e persino aggressioni fisiche nei suoi confronti. Nel darle dell’infame, nel trattarla da infame, è passato il messaggio che è più grave denunciare uno stupro che stuprare”.

“L’omertà è da sempre fedele compagna della violenza maschile. Come possiamo oggi definire questi spazi liberati e noi liberi?”, è una delle domande che concludono la lunga riflessione, che seppure qui necessariamente ridotta in pochi stralci merita una lettura integrale.

Si sono susseguite adesioni al comunicato e prese di posizione da diverse realtà emilianoromagnole e non solo. Da Bologna lo ha rilanciato il blog Staffetta curato dal Nodo Sociale Antifascista, scrivendo: “Ognuno di noi cresce e si forma in una società che diffonde a piene mani discriminazione di genere, nelle parole, nelle immagini, nei gesti, nelle allusioni, a scuola, sul lavoro. Nessuno se ne libera se non attraverso un percorso critico e una continua sperimentazione di sé. Per questo riteniamo importante far conoscere i fatti relativi allo stupro di gruppo avvenuto nel 2010 all’interno della sede della Raf, la Rete antifascista di Parma, e manifestare la nostra solidarietà alla compagna che sta affrontando il processo.”

Interviene inoltre il collettivo femminista Mujeres Libres: “Se potessimo prendere la nostra comprensione, il nostro affetto, la nostra empatia, le nostre emozioni, il rumore delle nostre pance intrecciate, i nostri silenzi, e i nostri sospiri. Se potessimo prendere le ore passate insieme a riflettere, a interrogarci, ad ascoltarci, a organizzarci. Se potessimo prendere tutti i minuti passati a sentir parlare di violenza, a rialzarci da una storia di violenza, a condannare una storia di violenza. Se potessimo prendere tutto quello che ognuna di noi ha provato quando abbiamo subito, quando abbiamo ascoltato, quando abbiamo sofferto, quando abbiamo fatto un passo avanti. Ecco, se tutto ciò che ci scorre nelle vene, quando una con l’altra capisce che “non è sola”, potessimo prenderlo e metterlo in qualche forma, faremmo un gigantesco pacco dove farti stare. La nostra sincera solidarietà e le nostre riflessioni di lotta quotidiana ad una cultura patriarcale e violenta sono quello che vorremmo offrire e mettere in campo per te e per ogni donna che la subisce. La nostra sincera convinzione che combattere l’isolamento di chi subisce violenza, e dare un sostegno politico e umano, è davvero un tassello importante per non soccombere”.

Continua la nota: “Non abbiamo a ora una chissà quale analisi dei fatti. Ne abbiamo sentito parlare anni fa e ora di nuovo giù a discuterne. E se siamo arrivate a questo punto, forse è il caso che qualche domanda ce la facciamo. O meglio noi di domande ce ne facciamo e anche tante. Sul come le esprimiamo e su chi dovrebbe trovare le risposte ad alcune annose questioni sulle violenze e soprattutto sulle violenze negli spazi ancora di strada ne abbiamo da fare. Una strada in salita per cui abbiamo attrezzatura, schiena dritta e uno zaino carico. Ma è una strada che, se percorsa da sole, ci fa tornare indietro, al punto di partenza. È ora che di sessismo se ne occupino tutti e tutte, è ora che il femminismo non sia più una delega e neanche un tribunale, è ora che si faccia autocritica su come, dove e quando si debba affrontare il problema. È ora che nessuno venga più giustificato. È ora che anche gli uomini senza ancelle emancipatrici si sveglino. Che se il patriarcato era solo un problema delle donne da mo’ che era finito! Sul come fare questo percorso è ovvio che dobbiamo ancora riflettere, trovare mezzi e metodi adeguati, perché è chiaro che finora non ci sono state grandi vittorie, ma non saranno le femministe a dover far tutto. È tempo che ognun@ si guardi allo specchio e di fronte al sessismo in qualsiasi forma non faccia finta di niente. Avremo, ahinoi, ancora occasione di parlarne”.

Così la conclusione del comunicato: “Ribadiamo che contro la violenza la solidarietà nelle sue mille sfaccettature fa la differenza. Ribadiamo che l’oggetto da porre sotto giudizio – qualsiasi forma di giudizio – non è e non sarà mai la vittima di violenza. Ribadiamo che sostenere chi ha subito violenza è la cosa prioritaria. Ma non dobbiamo dimenticarci chi è uno stupratore e chi sono i suoi complici (e con complici intendiamo non solo chi è uno stupratore, ma tutti quelli che in questo periodo hanno sprecato parole per “giudicare” la ragazza). Certo i sessisti ci fanno schifo, ma quello che proviamo per i ‘compagni’ che mischiano estetica militante con analisi infime a fini stigmatizzanti è qualcosa di più, qualcosa di più che non ci farà dimenticare questa storia. Che i nostri sguardi complici diventino reti invincibili. Che le nostre lacrime diventino ferite salate per chi ce le ha provocate”.