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Palermo / I migranti denunciano le condizioni di vita nei centri d’accoglienza

Un piano regionale incapace di dare risposte ai richiedenti asilo che denunciano: “Qui siamo invisibili. Abbiamo tante cose da fare, siamo giovani e dobbiamo continuare a vivere, non possiamo sprecare le nostre vite qui ad aspettare”.

14 Novembre 2016 - 17:29

migranti Sicilia ph fb Arci Porco Rosso “Siamo andati via dai nostri paesi per fuggire dalla sofferenza e veniamo in questo paese per trovarne di nuova, anche se è un altro tipo di sofferenza: c’è un qualche ragionamento distorto alla base di questo. Viviamo in questi Cas (centri d’accoglienza straordinaria, ndr), spesso in posti completamente isolati, con tanti, troppi problemi. Molti di noi si trovano in questi centri da più di sette mesi, mentre sappiamo che non dovremmo restarci così tanto. Chiediamo di essere ascoltati”. E’ l’appello disperato lanciato dai migranti che risiedono nei centri d’accoglienza in Sicilia e da troppo tempo aspettano di essere ascoltati.

Quella che scrivono di loro pugno in italiano, inglese e francese, è una lettera rivolta al prefetto e alla questura di Palermo:  “I tempi per avere i nostri documenti sono infiniti. In questi tempi lunghi non sappiamo cosa aspettarci e siamo molto confusi sulla nostra condizione. Spesso non si riesce neanche a fissare la data del primo appuntamento in questura per la richiesta d’asilo. Anzi, a molti non viene neanche spiegato cosa sia, l’asilo: tu puoi essere stato perseguitato per ragioni politiche o religiose, puoi essere omosessuale, ogni caso andrebbe trattato con la giusta attenzione. La lentezza nel rilascio dei documenti ci rende molto preoccupati e incerti sul nostro futuro, mentre noi vogliamo solo sapere la verità e che qualcuno ci spieghi cosa stia accadendo, invece di evitarci e rimandare sempre a domani”.

La maggior parte di loro provengono da Gambia, Mali, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal, Guinea Conakry, Sierra Leone, Bangladesh, e tutti per arrivare sulle coste della Sicilia hanno dovuto viaggiare su un barcone rischiando la vita. Hanno affrontato il mare e la guerra e oggi si trovano in balia della burocrazia distratta che non riesce a farsi carico delle loro richieste e risolvere la condizione urgente nella quale vivono: “Cosa fare se stai in un centro da un anno e tre mesi, noi hai i documenti né informazioni, non hai lavoro e se stai male non hai la cure specifiche? Se quando hai bisogno di qualcosa di fondamentale ti viene risposto di andartene se non ti piace il posto dove stai? Siamo richiedenti asilo, dove dovremmo andare? Un centro di accoglienza dovrebbe accogliere e aiutare: che senso ha tutto ciò? In alcuni casi veniamo anche minacciati: ci dicono che non avremo i nostri documenti se continuiamo a lamentarci. Se chiediamo più informazioni, capita che veniamo cacciati via, anche fisicamente. Vieni qui per chiedere la libertà, ed ecco che la tua mente si riempie di stress per condizioni di vita impossibili. Nei nostri paesi avevamo tanti problemi, ma almeno sapevamo cosa dovevamo affrontare. Il non sapere è terribile”.

Migranti ex-Ena - © Michele LapiniLa condizione dei centri di accoglienza in Sicilia è sempre più difficile e troppo spesso le strutture non si dimostrano pronte a gestire il fenomeno: “Durante questa attesa, le condizioni di vita sono degradanti per la persona umana. In uno dei Cas l’acqua viene aperta solo due volte al giorno, per un’ora, ed è sempre fredda. Se ci serve l’acqua in altri momenti della giornata dobbiamo prenderla noi stessi dalla cisterna, dove l’acqua è putrida e maleodorante, non va bene neanche per gli animali…e noi siamo essere umani. Altro problema è il cibo: vorremmo almeno avere la possibilità di cucinarci da noi. In un altro centro non ci danno neanche i vestiti necessari e molti di noi sono arrivati qui direttamente dal porto di Palermo, senza niente. I vestiti che abbiamo ci sono stati dati da altri fratelli che erano nel centro da prima di noi. Ma è quasi novembre, in montagna fa freddo e molti di noi hanno ancora le infradito. In un altro centro ancora, quando è venuta la polizia per i controlli della struttura, gli abbiamo detto che c’è freddo, che dormiamo vestiti e non c’è il riscaldamento: c’è stato risposto che in Africa non abbiamo il riscaldamento. A chi rivolgersi per segnalare delle ingiustizie? Da maggio la scuola d’italiano non c’è stata mai, solo adesso da qualche giorno abbiamo le lezioni. I pochissimi di noi che parlano italiano lo hanno imparato in un centro per minori, dove però non gli è stata fissata neanche la data del primo appuntamento in questura.

Tra i numerosi fatti gravi denunciati dai migranti di Palermo, c’è pure il paradosso sui minorenni: “Chi arriva in questi Cas dai centri per minori non capisce perché l’assistenza che gli viene riservata fino a quando è considerato minore, si trasforma in abbandono compiuti i 18 anni”.

In Sicilia il piano d’accoglienza spesso è stato affidato ai piccoli comuni lontani dalle città e isolati, dove tanto i cittadini quanto le amministrazioni non sono capaci di rispondere alle necessità: “Chi è stato portato direttamente dal porto, pensa che la Sicilia sia tutta boschi, tanto sono isolati alcuni di questi centri, e gli unici italiani che ha mai visto sono gli operatori. Vogliamo studiare, vogliamo lavorare, vogliamo parlare con la gente, vederla quantomeno. Qui siamo invisibili. Abbiamo tante cose da fare, siamo giovani e dobbiamo continuare a vivere, non possiamo sprecare le nostre vite qui ad aspettare”.

Per questa ragione, uniti nella protesta queste persone chiedono: “di avere i nostri documenti e che la procedura della richiesta di asilo sia velocizzata: non possiamo aspettare 11 mesi per un appuntamento in questura; che i nostri diritti vengano rispettati: non chiediamo tanto, solo di essere trattati come esseri umani all’interno dei centri, di essere ascoltati, e che vengano assicurati i servizi che ci spettano di diritto, di essere trasferiti in altri centri che ci possano garantire tutto questo e migliori condizioni di vita”.