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Opinioni / Oltre cinque miliardi per salvare le banche, briciole per il reddito

Fumagalli: “Ancora una volta, il governo mette mano al portafoglio per salvare parti di un sistema creditizio allo sbando e incapace persino di perseguire i propri interessi di profitto tanto è invischiato con i poteri locali”.

30 Giugno 2017 - 19:50

di Andrea Fumagalli (da Effimera – articolo pubblicato in contemporanea su Bin-Italia)

Oltre cinque miliardi per salvare le banche, briciole per il reddito

Il Consiglio dei ministri ha varato domenica 25 giugno 2017 in una riunione durata appena 20 minuti il piano di salvataggio delle banche venete, Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza, di fatto in fallimento dopo la pessima e truffaldina gestione dei potentati economici locali (Zonin in testa), nonostante il ricorso al Fondo Atlante.

Il provvedimento consentirà di avviare la liquidazione ordinata dei due istituti e aprire la strada alla separazione delle attività con la creazione di una bad bank e creando così le basi per la cessione della parte sana a Intesa San Paolo, secondo gruppo bancario italiano dopo Unicredit.

Per la cifra simbolica di 1 euro, Banca Intesa San Paolo ha così acquistato le due banche. In tal modo, la banca torinese si troverà a disporre di attività finanziarie per circa 8,9 miliardi di euro, attività fiscali per circa 1,9 miliardi di euro, depositi per circa 25,8 miliardi di euro, obbligazioni senior per circa 11,8 miliardi di euro, raccolta indiretta per circa 23 miliardi di euro, di cui circa 10,4 miliardi di risparmio gestito, circa 900 sportelli in Italia e circa 60 all’estero, inclusa la rete di filiali in Romania, 9.960 persone in Italia e 880 all’estero. Non stupisce che il giorno dopo il titolo di Banca Intesa sia in forte rialzo.

In cambio, lo Stato si accollerà il rischio di far fronte ai crediti inesigibili (NPL, Not Performing Loans), pari a circa 26 miliardi di euro, con l’avvallo della Commissione Europea. L’operazione ha i seguenti costi per lo Stato:

– un contributo pubblico in contanti di 3,5 miliardi di euro (non sottoposti a tassazione) a copertura degli impatti sui coefficienti patrimoniali;

– un ulteriore contributo pubblico pari 1,285 miliardi di euro anche questi non sottoposti a tassazione e sempre in contanti, a copertura degli oneri di integrazione che riguardano, tra gli altri, “la chiusura di 600 filiali e l’applicazione del Fondo di Solidarietà in relazione all’uscita, su base volontaria, di 3.900 persone del gruppo risultante dall’acquisizione, nonché altre misure a salvaguardia dei posti di lavoro quali il ricorso alla mobilità territoriale e iniziative di formazione per la riqualificazione delle persone”.

– garanzie pubbliche, per un valore di 1,5 miliardi di euro dopo le imposte.

In totale, l’operazione costerà allo Stato 5,2 miliardi di euro subito che però potrebbero arrivare a quota 17 miliardi (già mobilitati per le garanzie). Un’operazione, ha detto il ministro Padoan, realizzata “con misure che non impattano sul deficit” (in quanto già contabilizzate nella manovrina economica appena votata), ma che tuttavia costerà ai contribuenti italiani in termini di aumento del debito: il rapporto debito/Pil, infatti, peggiorerà dell’un per cento del Pil.

Ancora una volta, il governo mette mano al portafoglio per salvare parti di un sistema creditizio allo sbando e incapace persino di perseguire i propri interessi di profitto tanto è invischiato in una logica di commistione con i poteri locali. Era già successo circa un anno e mezzo fa con il governo Renzi per il salvataggio della Banca Marche, Banca popolare dell’Etruria e del Lazio, Cassa di risparmio di Ferrara e CariChieti. Si era continuato con la costituzione del Fondo Atlante per un valore di circa 4,250 miliardi di eur sottoscritti da banche, fondazioni bancarie, assicurazioni, Enti previdenziali e Cassa Depositi e Prestiti (soldi pubblici). Il fondo è stato quasi interamente utilizzato per l’acquisto della maggioranza delle azioni proprio delle due banche venete, al punto da dover costituire nell’agosto 2016 un Fondo Atlante 2, questa volta finalizzato a intervenire nell’acquisizione delle sofferenze bancarie del Monte dei Paschi di Siena.

Oltre il danno, la beffa. Di fatto le due banche venete hanno subito due salvataggi pubblici per finir poi a far parte a costo zero del portafoglio di una grande banca privata. Della serie: “socializzazione delle perdite (con pesanti effetti occupazionali), privatizzazione dei profitti (incremento delle plusvalenze per gli azionisti di Intesa San Paolo)”. Nulla di nuovo dunque sotto il sole, se non l’efficienza e la celerità del governo Gentiloni ad operare. D’altra parte, Gentiloni era stato nominato primo ministro proprio per salvare le banche.

Se consideriamo tutti gli interventi finora effettuati, l’esborso complessivo è stato di 15,8 miliardi [1], di cui oltre il 50% a carico diretto dello Stato, a cui bisogna aggiungere gli altri 30 miliardi messi a garanzia dallo stesso Stato. Si tratta di una somma di denaro non trascurabile, soprattutto in tempi di austerità. Se si considera che nel corso degli ultimi due anni sono stati versati al sistema delle imprese oltre 11 miliardi di soldi pubblici (tra incentivi per il Jobs Act, tagli fiscali, – Irap, Ires, e ammortamenti, e altri provvedimenti), il sistema capitalistico italiano nel suo complesso ha beneficiato del più ampio afflusso di soldi pubblici che si sia registrato nella storia economica del dopoguerra.

Nessun teorico dell’austerity si è scandalizzato per il fatto che, in modo del tutto assistenziale, lo Stato abbia di fatto garantito un profitto e una rendita finanziaria di base. Mentre molti, soprattutto a sinistra, si scandalizzano quando si parla di reddito di base incondizionato. Al riguardo, il governo approva un provvedimento ignobile che va sotto il nome di Reis [2] (Reddito di Inclusione) come contentino per la vera emergenza sociale che c’è nel nostro paese: l’incremento continuo della povertà. Il budget stanziato è per quest’anno di 700 milioni e per il 2018 di 1,4 miliardi, ovvero meno del 10% di quanto stanziato per il salvataggio delle banche.

Si può dire che questa politica economica ha un chiaro connotato di classe?

Si può dire che l’introduzione di un reddito minimo incondizionato non è un problema di sostenibilità economica (visto che la stima del suo costo è di circa 14 miliardi) ma piuttosto un problema politico, all’interno di una struttura di potere con interessi ben definiti?

Note

[1] È il risultato che si ottiene sommando i 3,6 miliardi per il salvataggio delle 4 banche dell’Italia Centrale, i 4,2 del Fondo Atlante, i 2,8 del fondo Atlante 2, e gli attuali 5,2 miliardi per le banche Venete.

[2] Il Reis è un sostegno di ultima istanza tra i 190 e i 480 euro al mese, a seconda della situazione sociale dele famiglie beneficiarie. Condizione per accedervi è disporre di un reddito ISEE inferiore ai 5.000 euro lordi l’anno, almeno due figli, oppure un disoccupato ultra 55 anni, o un figlio disabile o un anziano in cura. Date queste vincoli di accesso (le famiglie che ne potranno beneficiare sono circa il 20% di quelle che si trovano una condizione di povertà assoluta), considerando che è una misura familiare, per di più con un livello di erogazione di reddito inferiore non solo alla soglia di povertà relativa ma anche assoluta, e condizionata da una serie di obblighi per l’inserimento lavorativo, è difficile poterlo annoverare tra le misure di reddito di base.