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Opinioni / «Make our university!»

Ripubblichiamo un editoriale di Uniriot: uno sguardo da Padova sulla praticabilità reale dei processi di trasformazione dell’Università e sulle mobilitazioni di questo autunno negli atenei e nelle città colpite dalla crisi

28 Settembre 2010 - 21:11

di Caterina Peroni e Omid Firouzi

Quella che nei prossimi mesi avremo la possibilità di giocare in Italia è una partita estremamente interessante nella quale possiamo costruire concretamente la possibilità di incidere nei processi sociali in attuale mutamento. Siamo di fronte a uno scenario che rompe ulteriormente i quadri interpretativi con cui, anche in tempi recenti, eravamo abituati a leggere il contesto sociale e culturale italiano. Il panorama è oggi particolarmente chiaro.
Da una parte c’è l’intricata rete di interessi economico-finanziari di mercato e le strategie (camuffate da “riforme”) che, nel quadro del governo della crisi, devono riprodurre un ordine sociale in grado di garantire questi interessi e dall’altra molti soggetti che, anche se in forme non organizzate, iniziano a esprimere nello spazio pubblico italiano, e spesso con determinazione, un profondo sentimento di rabbia e insoddisfazione presente nella loro vita quotidiana.
Disoccupazione, povertà, precarietà, deterioramento dei servizi, indebolimento e standardizzazione delle relazioni sociali, diffusione di ignoranza e razzismo sono la cifra di un paese che si sveglia dopo anni di sostanziale immobilismo sociale. Anni in cui le politiche neoliberiste combinate con il clientelarismo mafioso italiano non hanno nei fatti trovato una sostanziale resistenza.
Dall’altra, osservando e vivendo direttamente le mobilitazioni che si moltiplicano nel paese intorno alla condizione di precarietà ormai divenuta esistenziale per un’intera generazione, sembra aprirsi la possibilità concreta di costruire nello spazio pubblico un nuovo protagonismo capace di incidere sulla realtà trasformandola. Ci sono dunque alcuni segnali che ci possono dare grande forza e da cui dobbiamo partire scacciando la rassegnazione e lo scetticismo. Le lotte degli operai della Fiat di Pomigliano e di Melfi, quelle dei comitati che portano avanti la battaglia in difesa dei beni comuni come l’acqua, la mobilitazione dei precari della scuola e dei ricercatori universitari contro la riforma Gelmini ci consegnano una nitida fotografia di un’Italia spaccata in due.

La recente accelerazione dei processi di ristrutturazione del mondo della formazione, avviati con il cosiddetto Bologna Process e con la riforma Zecchino-Berlinguer, con cui si sancisce il disinvestimento pubblico nella scuola e nell’Università, è un deliberato attacco alla cultura e alla ricerca nel nostro paese. Un attacco per nulla velato a chiunque intenda la produzione e lo scambio di un sapere critico e la ricerca libera e indipendente come strumenti necessari o meglio come beni comuni fondamentali per innovare di continuo la società seguendo i nostri bisogni e i nostri desideri. Un inno all’ignoranza, alla superficialità e all’omologazione. Un’offensiva rozza e volgare alle nostre intelligenze.

Verrebbe da dire: niente di nuovo sul fronte occidentale. L’annientamento sistematico delle possibilità di sviluppare pensiero critico e cooperante è una delle armi principali della strategia governamentale liberista per garantire controllo e consenso e, last but not least, pacificazione dei conflitti che spontaneamente si accenderebbero di fronte alla continua erosione di diritti, aspettative e vivibilità cui stiamo assistendo da decenni. È così che i processi di precarizzazione e impoverimento generazionale dovrebbero passare indisturbati, in un contesto di individualizzazione e frammentazione sociale che impedisce ogni possibilità ricompositiva di qualsiasi rivendicazione.
Questo sembra essere il disegno biopolitico che ha attraversato l’ultimo decennio di smantellamento dell’intero sistema formativo in Italia. Un processo che ha però visto diversi momenti di rottura, provocati dai movimenti studenteschi che fin dall’inizio avevano individuato e denunciato i nodi cruciali della privatizzazione, della licealizzazione, dell’inserimento organico del paradigma aziendalistico in tutto il ciclo formativo, particolarmente in quello universitario.
Con un’occasione persa, quella dell’opposizione al Ddl Moratti nel 2005, in cui anche ricercatori e parte del corpo docente sembravano aver finalmente intuito le conseguenze e la continuità di tale processo, salvo però accontentarsi di un arruolamento immediato di parte del precariato per chiudere velocemente la partita.
Sullo sfondo della mancata alleanza di tutti i segmenti che compongono il mondo accademico (studenti, precari, ricercatori e professori) non ci fu d’altronde solo una miopia strategica, quanto piuttosto una prospettiva sostanzialmente differente proprio nel merito delle trasformazioni in atto e degli obiettivi stessi delle rivendicazioni. Da un lato la difesa strenua di un sistema di potere feudale, gerarchico, ricattatorio che voleva riprodursi senza soluzione di continuità, dall’altro la critica sferrata all’esistente, senza alcuna nostalgia per ciò che le varie riforme dichiaravano formalmente di voler trasformare.

A partire da queste chiavi di lettura in questi anni si sono sviluppati diversi percorsi che hanno attraversato le mobilitazioni sedimentando allo stesso tempo processi di praticabilità reale della trasformazione dell’Università pubblica.
L’autoformazione come istituzione di percorsi critici e partecipativi, che si contrappongono alla sterilizzazione scientifica dei piani di studio; l’apertura di un ragionamento approfondito sui sistemi di valutazione della didattica e della rilevanza della ricerca che superi il lessico efficientista e produttivista proposto dai riformatori di destra e di sinistra, ma che scardini anche il sistema mafioso e feudale radicatosi nei decenni in ogni ateneo, mettendo al centro la funzione cooperativa, critica e trasformativa della circolazione dei saperi e della conoscenza; il superamento del paradigma del diritto allo studio per affrontare in maniera strutturale il contesto di precarizzazione esistenziale in cui siamo tutti inseriti, spingendo verso la rivendicazione generalizzata di reddito e nuovo welfare.
Nodi, questi, intorno ai quali i collettivi e le realtà studentesche che si sono riconosciuto in Uniriot hanno saputo costruire esperienza, visibilità, momenti di rottura e avanzamento. Non senza aprire interrogativi sulla necessità di verificare continuamente la loro funzione di mutamento, un interrogativo più che mai vivo oggi considerando che, a distanza di due anni dalle mobilitazioni dell’onda Anomala, viviamo una forte empasse su alcuni terreni da noi individuati come centrale quali possono essere quello dell’Autoformazione, quello del Merito, quello dell’Inchiesta e quello del Reddito

Oggi la mobilitazione di ricercatori, precari, studenti e parte dei docenti strutturati partita dall’opposizione al ddl Gelmini, che prevede il colpo di grazia a ciò che resta dell’Università e l’estinzione di fatto della ricerca pubblica, apre una nuova, fondamentale prospettiva: quella della ricomposizione di tutti i segmenti di precarietà del sistema universitario intorno ad una critica radicale del progetto di desertificazione intellettuale e di impoverimento generazionale portato avanti negli ultimi anni. La prospettiva di una lotta “reale” dentro la quale misurare le nostre capacità organizzative e i nostri paradigmi interpretativi. Una ricomposizione che solo grazie a un intervento politico fresco e innovativo può avere luogo su scala nazionale.
L’indisponibilità dei ricercatori a sostenere il carico didattico, ribadita anche dalla “Rete 29 aprile” nell’ultima assemblea tenutasi a Roma, è nello stesso tempo uno strumento radicale di pressione per ottenere il ritiro del DDL, e una grande possibilità per riaprire una fase nuova di lotta e discussione intono al nodo della formazione. Una grande opportunità che molti rettori vorrebbero sottrarci coprendo le ore di didattica con personale esterno in modo da neutralizzare la protesta dei ricercatori. Come ribadito dai ricercatori di Bologna la nostra “indisponibilità” a questo rozzo tentativo dei rettori deve essere senza ambiguità

Da più parti giungono appelli alla generalizzazione delle lotte del precariato e alla costruzione di universi del comune che spazzino via ogni residuo di governamentalità statale e ogni tentativo di privatizzazione delle sfere di esistenza di ognuno: noi la crisi non la paghiamo, ma non solo!
Crediamo infatti che si stia aprendo la possibilità reale, a partire dalle condizioni reali di devastazione e saccheggio delle nostre vite e intelligenze, di costruire nuovi percorsi comuni di lotta e mobilitazione, che superino una volta per tutte schemi di resistenza e conservazione dell’esistente, anche e soprattutto quando questo risulta essere frutto di ritualità e ortodossie scaturite dalle lotte stesse.
Immergendoci con entusiasmo in questo nuovo flusso e all’interno del Forum Formazione Bene Comune che abbiamo organizzato in alterità al forum per il diritto allo studio “Younivercity”, vetrina della governance universitaria e istituzionale sulla cittadinanza studentesca, proponiamo a tutte le realtà con cui abbiamo lavorato finora e a tutte quelle che come noi vogliono aprire un nuovo ciclo di conflitti comuni contro la crisi, di partecipare alla giornata assembleare che apriremo alle ore 10:30 del 29 settembre nella facoltà di Lettere dell’Università di Padova. Invitiamo inoltre tutti a partecipare, la mattina del 30 in Piazza dei Signori, alla contestazione organizzata contro la presenza del Ministro Meloni, del presidente Zaia, del sottosegretario al Ministero della Pubblica Istruzione Pizza e del Presidente della Crui Decleva. Sarà una delle tante occasioni in cui ribadiremo la nostra “indisponibilità” alle politiche governative, ma anche al tentativo pacificatorio di presidi e rettori, i quali cercano insistentemente di frammentare la mobilitazione e di accordarsi con il Ministero perché pienamente e coscientemente responsabili dello stato in cui versa la formazione oggi in Italia e per qualche misero e indegno tornaconto personale.

(da Uniriot)