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Opinioni / Il sorriso d’ordinanza del divertimento galleggiante

Devi Sacchetto e Valentina Longo su ‘il Manifesto’ di ieri: “Marinai e personale viaggiante. Una composizione sociale multinazionale. Il naufragio della nave Concordia fa emergere la dura realtà della manodopera e dei servizi di bordo”.

19 Gennaio 2012 - 19:31

Nel naufragio della Costa Concordia stride l’enorme attenzione rivolta ai passeggeri da accreditati commentatori che per contro hanno lasciato sullo sfondo il destino del personale lavorante a bordo. Anzi all’operato dell’equipaggio sono state rivolte numerose critiche con toni che non riuscivano a occultare un sottile razzismo. D’altra parte, a bordo la distribuzione spaziale con i numerosi ponti e la diversificazione delle cabine enfatizza non solo le divisioni lavorative, ma anche la gerarchia sociale presente tra i terricoli. Nelle navi da crociera si mette in scena una rappresentazione esotica e post-coloniale nella quale a ogni ruolo sono accostate caratteristiche piuttosto precise per quanto riguarda la nazionalità, il colore della pelle, il genere, l’età. La celebrazione di quella che vorrebbe atteggiarsi a classe media internazionale prevede una meticolosa divisione del lavoro con forme raffinate di discriminazione e una stereotipizzazione per molti aspetti estremizzata rispetto alla società di terraferma.

Nonostante l’andar per mare abbia sempre costituito un rischio per gli esseri umani, dalle reazioni dei passeggeri si evince che l’elemento marino, in quanto mezzo potenzialmente pericoloso, scompare dal loro orizzonte per configurarsi come componente estetica della loro vacanza. A tale rimozione del pericolo contribuiscono le architetture e le attività di bordo: il gigantismo delle imbarcazioni contemporanee sottrae protagonismo al mare a favore sia delle strutture di bordo, come le piazze dello shopping o gli stadi di ghiaccio, sia delle attività organizzate nei vari spazi disponibili, come i giochi di gruppo o il bingo. Lo stimolo a partecipare e a consumare all’interno della struttura è continuo, mentre il mare diventa solo un sottofondo, un paesaggio come quello che si vede dal balcone di un resort qualsiasi.

Nel 2010 sono stati circa 300 mila i lavoratori (di cui il 20% di donne) che si sono letteralmente presi cura dei 5 milioni e mezzo di passeggeri imbarcati in una nave da crociera in un porto europeo. La stragrande maggioranza (80-85%) degli equipaggi opera nel cosiddetto settore alberghiero e del tempo libero, attento alle necessità dei passeggeri 24 ore al giorno, mentre solo il 15-20% sono marittimi, cioè si occupano della conduzione della nave. Anche se l’intero equipaggio dovrebbe imbarcarsi con il libretto di navigazione, capita che quanti sono impiegati nella sezione alberghiera ne siano sprovvisti, soprattutto durante i primi imbarchi.

Quest’equipaggio multinazionale, talvolta più di un centinaio di nazionalità diverse, vive fianco a fianco per mesi, e in alcuni casi per anni, condividendo spazi di lavoro e spazi di vita. Se le nazionalità dei marittimi nelle navi da crociera sono sovente piuttosto «occidentali», cioè bianchi (italiani, esteuropei, talvolta inglesi) con magari alcuni filippini, nella sezione alberghiera/riproduttiva si trova invece una maggiore varietà: asiatici e latinoamericani, accanto a europei e a una manciata di africani.

Il ritmo nel sangue

Solitamente a mano a mano che le mansioni cominciano a entrare nell’obiettivo dei passeggeri, si assiste a uno sbiancamento delle maestranze, sebbene permangano alcune eccezioni volte a rafforzare i meccanismi di riproduzione dell’inferiorità. Sotto la linea di galleggiamento nelle lavanderie ci possono essere cinesi, in cucina indiani, mentre qualche piano più su le pulizie nelle cabine vengono svolte da malgasci e indonesiani, e poi baristi e camerieri esteuropei, agenti della sicurezza israeliani e indiani, animatori così come ufficiali di macchina e di coperta italiani, bassa forza marittima rumena. Nel migliore spirito colonialista non possono mancare animatori e animatrici brasiliani perché hanno il ritmo nel sangue e coinvolgono i passeggeri in danze che si vorrebbero sfrenate. Quanti si relazionano quotidianamente con i passeggeri parlano almeno l’inglese: se molte animatrici conoscono più di una lingua straniera, anche se sono pagate in modo miserabile, tra i cinesi si trovano talvolta su di una nave non più di uno o due lavoratori in grado di pronunciare le parole indispensabili in inglese. I compiti a contatto con i passeggeri richiedono infatti competenze linguistiche che non sono normalmente verificate tra quanti svolgono mansioni segregate. Oltre a quelle linguistiche, sono richieste anche competenze relazionali: i passeggeri sono in vacanza, vogliono divertirsi piuttosto che rilassarsi e il personale di bordo è pagato (o dovrebbe essere pagato) anche per sfoggiare continuamente il sorriso d’ordinanza.

Il sorriso è una caratteristica fondamentale nel lavoro di quanti interagiscono con i passeggeri, una parte concreta del lavoro come la divisa che essi indossano. L’altra faccia della medaglia è infatti la sindrome da sorriso permanente, la stanchezza muscolare ed emotiva che tale atteggiamento comporta: il naufragio, un vero e proprio black out, rompe qualsiasi rappresentazione e i passeggeri perdono quella sicurezza fornita dall’essere coccolati, riveriti e serviti costantemente durante la loro permanenza a bordo. Sono soprattutto le donne, impiegate quasi sempre in posizioni che prevedono contatti diretti con i passeggeri, ad incarnare il sorriso perenne e a prodigarsi per il benessere emozionale dei passeggeri, mettendo così a valore le competenze che le donne hanno storicamente realizzato nella sfera del lavoro riproduttivo.

La mancia come salario

È una forza lavoro sottoposta a orari estenuanti, 10-12 ore al giorno, spesso senza un giorno di riposo con uno sventagliamento salariale enorme: dai 50 ai 2-3.000 dollari mensili. Una parte di questi lavoratori vive infatti di mance e quindi della capacità di svolgere con competenza e ossequio il proprio lavoro, ma deve sempre far conto sulla benevolenza dei passeggeri. I contratti di lavoro, esclusivamente a termine dai tre fino agli otto mesi, sono differenziati: si può essere assunti direttamente dalla compagnia che gestisce la nave, ma anche da agenzie di reclutamento internazionale collocate ai quattro angoli del globo che agiscono da potente filtro per reperire la manodopera più adeguata per ognuna delle mille posizioni lavorative che si possono trovare a bordo. D’altra parte, per le compagnie è essenziale disporre di un ampio bacino di personale adeguato da reclutare: di fronte a ritmi estenuanti, rigida disciplina e bassi salari, lavoratrici e lavoratori in particolare del settore alberghiero votano con i piedi e cercano altrove migliori occupazioni.

Il secondo registro

L’assordante silenzio sindacale è dovuto anche alle difficoltà di sindacalizzare un posto estremamente eterogeneo la cui composizione si modifica in fretta e dove vige una multi-regolazione. In effetti, la bandiera di una nave rimane uno dei riferimenti centrali, anche se non l’unico, per disciplinare le attività commerciali e lavorative. La legislazione che regola le navi, e la vita dei marinai, è infatti quella commerciale. Le navi da crociera, quando non battono bandiera di comodo, si affidano ai cosiddetti secondi registri che comportano contratti di lavoro, ma anche regolamentazione diversa rispetto alle bandiere di primo registro. In pratica, è il modello Marchionne di spazi di eccezione che in mare è stato imposto da lunghi anni: in Italia a varare il secondo registro è stato nel 1999 un navigatissimo governo di centro-sinistra. Forse le navi da crociera non si situano socialmente nel punto medio tra i panfili da centocinquanta metri dei magnati e i barconi colmi di migranti che tentano la traversata del Mediterraneo o dei Mari del Sud verso l’Australia; ma ammesso e non concesso che le navi da crociera si piazzino più dalla parte dei panfili, i crocieristi costituiscono un coacervo sociale che è ben lontano dall’ormai famoso e deprecato «un per cento» di privilegiati. C’è da augurarsi che sia i salvati sia quanti hanno solidarizzato con loro si ricordino domani di quanti in Italia e altrove hanno compiuto una rottura da rozzi terricoli di un principio plurimillenario, sanzionando come reato l’aiuto che gli equipaggi da sempre recano in mare, anche ai cosiddetti clandestini in pericolo di vita.