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Opinioni / Grecia, “o con il popolo o con il governo”

Riceviamo e pubblichiamo un contributo sul paese ellenico all’indomani della vittoria elettorale della sinistra radicale: “Le forme di autogestione diffusa sono a rischio normalizzazione e cooptazione da parte del nuovo governo”.

16 Febbraio 2015 - 16:38
Vio.Me., fabbrica autogestita a Salonicco. © 2013 Michele Lapini
Vio.Me., fabbrica autogestita a Salonicco. © 2013 Michele Lapini

Quando la storia si ripete rischia di diventare tragedia. Ma anche rimanesse farsa non ci sarebbe di che rallegrarsi. Forse il punto è che la storia non si ripete mai uguale e allora qualche sparuta possibilità di evitare sia la farsa sia la tragedia l’abbiamo. Eppure a vedere l’entusiasmo che anche in Italia ha colpito alcuni settori dei movimenti in seguito all’elezione di Tsipras, non si può non pensare a tutte le passate illusioni socialdemocratiche e a tutte le regolarissime disillusioni che ne sono seguite.

Agli occhi degli antiautoritari quel che più stona nelle mobilitazioni in sostegno a Tsipras e a Syriza che si sono svolte in Italia è che esse sono state convocate “a sostegno del popolo e del governo greco”. Partecipate da un ampio schieramento della sinistra cosiddetta riformista hanno suscitato aperture di credito anche da parte di pezzi di movimenti e in qualche caso una vera e propria speranza.

Ma tale speranza è malriposta, per una serie di motivi. Nell’appoggiare Tsipras nella sua “vertenza” con la Bce e la Merkel si dà per scontato che uno suo successo aprirebbe nuovi margini di manovra ai movimenti stessi, i quali grazie a un governo amico – ora greco, ma forse presto europeo – potrebbero estendere le proprie pratiche di autonomia e di conflitto al neoliberismo. Pare, insomma, che vi sia la convinzione diffusa che forza dei governi progressisti da una parte e forza dei movimenti dall’altra siano elementi direttamente proporzionali tra loro: più è saldo il governo progressista più ampie saranno le possibilità di incidere sul sociale da parte dei movimenti.

Le cose invece stanno in maniera diversa e i due elementi sono tra loro inversamente proporzionali: più un governo progressista si pone come catalizzatore delle istanze dei movimenti, più questi ultimi si indeboliscono. Tale affermazione non è un atto di fede nel pensiero di Bakunin o nei deliberati di un qualche congresso, fosse anche quello di fondazione dell’Internazionale antiautoritaria (Saint-Imier 1872), ma è dimostrato da vari fattori. Si pensi al referendum contro la privatizzazione del servizio idrico del giugno 2011 frutto di una mobilitazione durata anni e in cui 27 milioni di persone hanno votato per l’acqua pubblica. Dopo il voto l’attività dei comitati si è fermata, lasciando di fatto il campo aperto all’accentuarsi dei processi di privatizzazione e mercificazione in aperta violazione dei risultati del referendum. Pensiamo ancora a quanto avvenuto negli ultimi anni in Sudamerica, dove formazioni nate all’interno degli stessi movimenti hanno preso il potere e hanno mutato i rapporti di forza all’interno delle istituzioni statali ottenendo così due risultati complementari: la disarticolazione di numerose organizzazioni popolari e la riproduzione di politiche che lungi dall’essere trasformatrici si sono rivelate essere in sostanziale continuità con quelle dei precedenti governi.

La logica statale è implacabilmente avversa ai movimenti, in quanto si fonda sulla rinuncia della propria attività politica in prima persona per delegarla a burocrazie che hanno il compito di governare. Ogni qualvolta ex militanti vengono cooptati e diventano dirigenti e funzionari delle istituzioni di governo lo stato erode uno spazio dei movimenti. Lo stato non è una cosa ma una pratica, un complesso di relazioni sociali, prima in movimento e che poi si fermano, per cristallizzarsi.

Il successo elettorale di Syriza è stato possibile solo grazie alla mobilitazione estesa di parte della popolazione greca che ha fatto proprio e praticato le forme dell’autogestione. In poco tempo i suoi consensi elettorali si sono impennati, facendosi catalizzatore di movimenti nei quali svolge un ruolo marginale: è un partito che a tutt’oggi non ha una base militante. Esiste solo in quanto governo!

Sono proprio queste forme di autogestione diffusa a essere ora a rischio normalizzazione e cooptazione da parte del nuovo governo. Quando leggiamo che l’autogestione di ERT, la ex tv pubblica da venti mesi guidata da seicento lavoratori, sarà statalizzata (proprio così: “l’autogestione sarà statalizzata”) sappiamo che la pratica statale non potrà convivere con una pratica autogestita. Lo sanno anche gli stessi lavoratori di ERT che intendono ottenere dal nuovo governo greco la garanzia di potere continuare con la stessa libertà degli ultimi mesi la propria programmazione. Così per le farmacie e gli ambulatori autorganizzati, per le assemblee di quartiere che danno soluzioni reali all’accoglienza dei profughi in fuga dalla Siria, per le mense popolari, per le fabbriche autogestite, per le cooperative e i gruppi d’acquisto solidale.

Quello che è successo in Grecia succederà probabilmente altrove: in Spagna con Podemos, in Croazia con Barriera Umana e magari in Italia, dove, ma la cosa è dubbia, qualcuno potrebbe riuscirà a dare vita a un simulacro di “nuovo soggetto” di sinistra. Il dirigente di Syriza Argiris Panagopoulos dal palco della manifestazione nazionale a sostegno della Grecia che si è tenuta a Roma sabato 14 febbraio ha detto: “Chi governa ora in Grecia viene da lontano, viene da Genova, viene dal G8 del 2001, viene da piazza Alimonda: il patrimonio politico è quello”. Chi è stato a Genova, e da quell’evento è stato segnato, sa che in piazza c’era tutto un movimento internazionale che allora come oggi rifiuta le logiche della rappresentazione e del governo, che sfugge al disciplinamento, che si oppone al dominio, a qualunque livello esso si dia, e alla ricerca dell’egemonia.

In Grecia come altrove l’errore più grande da parte dei movimenti sarebbe quello di delegare ancora una volta le soluzioni dell’attuale “crisi sociale” ai nuovi governanti, smobilitando, rinunciando all’impegno in prima persona, o limitandosi a “fare pressione” su di loro. Questo potrebbe portare enormi rischi non ultimo, una volta evaporate – perché evaporeranno – le promesse elettorali, quello di dare un’ulteriore chance all’estrema destra, in Grecia così come nel resto d’Europa.

Le uniche strade percorribili sono quelle del rafforzamento delle organizzazioni popolari, delle istanze e delle pratiche di autonomia e di conflitto, del radicamento sui territori attraverso la pratica assembleare e l’azione diretta, dell’accrescimento della consapevolezza dell’inconciliabilità tra autogestione e governo, dell’allargamento della distanza tra governanti e governati. Questa posizione è di fatto l’unica strada per salvare i movimenti sul lungo periodo e per dare gambe alle dinamiche radicali di trasformazione sociale.

La sola opposizione fruttuosa alle politiche di austerity è perseverare sulla via dell’autonomia da ogni espressione dell’istituito per rafforzare movimenti transnazionali, mediterranei, in grado di mettere istituzioni sovranazionali e governi con le spalle al muro e di fare finalmente da sé.

Toni Senta