Opinioni

Opinioni / Di Basquiat e di altre indomabili arti

Dopo lo sbigottimento per l’idea di Roversi Monaco di staccare i “pezzi” dai muri per destinarli ai musei, stasera in università si torna a parlare di street art: occasione la proiezione del biopic sull’artista di Brooklyn.

10 Febbraio 2016 - 15:03

di Simona De Nicola

basquiat-gagosian-chelsea-two-heads-on-gold

Era la fine degli anni 70, quando sui muri dei quartieri popolari di una Brooklyn pervasa dal fervore di artisti e musicisti comincia ad apparire la scritta SAMO.

L’autore non rimase a lungo sconosciuto: Keith Haring, Andy Warhol e tutto l’entourage dei circoli creativi si innamorano incondizionatamente del tratto primitivo e materico, a metà strada tra pittura rupestre e letteratura.

Aveva molto da dire la mano e il cuore di chi aveva tracciato quei muri, rapido e fuggente, molto di più di quel criptico SAMO – Same Ol’ Shit, la solita vecchia merda.

Il suo nome era Jean-Michel Basquiat e tutto il resto è già leggenda. Stava nascendo una nuova forma di arte: proprio nelle strade grigie, impersonali e violente della metropoli americana, qualcuno aveva trovato la via della bellezza.

In queste settimane abbiamo assistito sbigottiti all’iniziativa di Fabio Roversi Monaco di staccare dai muri di Bologna alcuni pezzi di street art per portarli all’interno di un progetto espositivo museale.

Ancora più sconvolgenti sono state le parole con cui il creatore del Genius Bononiae ha difeso il folle gesto di sottrarre pezzi di arte pubblica e collettiva: l’avrebbe fatto per evitare che “andassero in malora”. Una dichiarazione che mostra la completa ignoranza di fronte a una forma d’arte che per sua natura e vocazione è effimera, dedita alla strada, allo sguardo urbano, ai rumori della città.

Un’arte che ama arrampicarsi sui palazzi e sulle architetture, instabile, indomabile, figlia del cielo e del cemento.

Deve sfuggire, a chi è abituato a misurare il valore delle cose (e dell’arte) solo sulla base del possesso, della proprietà, della durata, che ci sono espressioni che non possono essere possedute, catturate, immobilizzate. Fabio Roversi Monaco ragiona e agisce sulla street art più come un imbalsamatore, che come un amante d’arte. E se dice di amare la street art, ma la vuole chiusa in un museo, agisce più come il direttore di uno zoo che come un amante degli animali.

A questa vicenda dedicheremo un approfondimento a breve. Segnaliamo intanto che proprio su Basquiat è prevista questa sera alle 18.30 la proiezione del film autobiografico omonimo del 1996, diretto da  Julian Schnabel, nell’ambito di tre giorni di iniziative promesse dai Laboratori Autogestiti alla Scuola di Lettere dell’Alma Mater, in via Zamboni 38; seguirà dibattito sulla street-art.